Ieri in Italia ci sono stati più di 5000 nuovi casi di coronavirus, il governo sta parlando della possibilità di fare dei mini-lockdown in aree specifiche – come ad esempio a Monte di Procida, dove c’è stato un focolaio a un matrimonio con 200 invitati – per evitare un lockdown nazionale, lo stato di emergenza è stato prorogato per altri tre mesi, di qui a qualche giorno verrà pubblicato un nuovo Dpcm con nuove misure di prevenzione per contrastare l’epidemia, intanto le mascherine sono obbligatorie ovunque, anche all’aperto, a qualsiasi ora, e ieri il Ministero dell’Interno ha diramato un comunicato stampa per dire che, ovviamente, l’obbligo “non riguarda la corsa, anche quella svolta con finalità amatoriali, in quanto riconducibile ad attività sportiva. Quindi jogging e footing potranno continaure a svolgersi senza obbligo di mascherina”.
Nessun obbligo di mascherina se si corre pic.twitter.com/cMWQHEFyNI
— Marco Di Fonzo (@marcodifonzo) October 11, 2020
Davanti a tutto questo, la prima impressione di una persona che nel 2020 ha vissuto in Italia è un forte senso di déjà-vu. Siamo a metà ottobre ma potremmo benissimo essere a metà marzo: non fosse per la nostra memoria personale – siamo certi che non può essere così, perché il lockdown l’abbiamo vissuto, ci ricordiamo le gite all’Esselunga ogni due settimane per fare scorta di alcolici e di introvabile lievito, ci ricordiamo la cucina trasformata in una panetteria – quello che ci succede intorno non ci dà abbastanza informazioni per affermare con certezza né la prima né la seconda ipotesi. I numeri dei contagi sono gli stessi. L’atteggiamento dell’opinione pubblica è più o meno lo stesso di prima che le cose precipitassero, quando ancora c’era chi diceva di non fare allarmismi, che “è poco più di un’influenza”. Le restrizioni imposte alla nostra libertà individuale in nome della salute pubblica cominciano piano piano a essere le stesse e la cosa più incredibile è che di fronte ad esse anche le cose che diciamo, i dibattiti che ci troviamo a fare, sono gli stessi. Si può andare a correre senza la mascherina? E dove passa la differenza tra camminare molto veloce e correre molto piano?
E quindi via di nuovo a prendercela con i runner, via di nuovo a colpevolizzare la movida. E dall’altra parte, via di nuovo a dire che non serve a niente fare il coprifuoco dopo le 22 perché “non è che il virus circola solo la sera” e che sarebbe meglio pensare ad aumentare le corse sui mezzi pubblici affollati e chiudere le fabbriche non essenziali. E via di nuovo col negazionismo, col dare la colpa alla Cina perché quelle foto di gente che torna alla normalità a Wuhan (dove tutto è cominciato) non ce la raccontano giusta, con le polemiche su Immuni e i suoi problemi di privacy proprio adesso che cominciamo a conoscere persone – nel mio caso due, per ora – che hanno ricevuto la temutissima notifica.
È l’eterno ritorno dell’uguale, direbbe Nietzsche abbracciando un cavallo, la storia che si ripete prima come tragedia e poi come farsa, direbbe Marx, o più prosaicamente il giorno della marmotta della pandemia globale di coronavirus, per citare il celebre film Ricomincio da capo in cui Bill Murray si sveglia la mattina ed è sempre il 2 febbraio, e la giornata procede sempre allo stesso modo, e allora prima cade in depressione e si uccide in vari modi, poi finisce a scolpire il ghiaccio e a imparare il francese. Un po’ come lui, anche noi sappiamo già cosa ci riservano i prossimi mesi. Le file al supermercato. Fabio che grida “ce la faremo”. “Andrà tutto bene”. Il vicino di casa molesto con l’impianto stereo sul balcone che mette Azzurro. I flashmob da balcone. Gli aperitivi nichilisti guardando la conferenza stampa giornaliera della protezione civile. La fase 2, la fase 3, l’estate spensierata e poi tutto da capo, fino al giorno in cui verranno a somministrarci il vaccino di Putin.