A otto anni dal Sospetto, Mads Mikkelsen torna a lavorare con Thomas Vinterberg, regista Dogma 95 del film Festen – Festa in famiglia, in Un altro giro, presentato prima all’ultimo Festival del cinema di Toronto, quindi vincitore del BFI London Film Festival e adesso tra i titoli più attesi della Festa del cinema di Roma 2020. Mi sono innamorato sia del soggetto sia di Mikkelsen, che interpreta un alcolista (e si candida già agli Oscar 2021); e delle singole performance di tutti gli attori, che ti catapultano in un film divertente e profondo allo stesso tempo, un po’ alla Amici miei. L’avevo visto solo in streaming e l’altro giorno, grazie a un pr dello studio di produzione, sono riuscito a rivederlo al cinema. Grazie al fattore sala, allo schermo gigante, al buio e al sound system, mi sono reso conto che è ancora meglio di quanto ricordassi, e sono ancora più convinto di aver visto uno dei migliori drammi degli ultimi anni, con un finale dolceamaro che gli conferisce di diritto il termine “classico”.
Mads, tu e Thomas quando avete iniziato a pensare di lavorare ancora insieme?
Un anno dopo Il sospetto, Thomas aveva già in mente questa storia, e abbiamo iniziato a parlarne. A quel tempo era molto diversa da quella che è diventata, eravamo sempre quattro amici ma facevamo lavori diversi. Io ero un controllore di volo, e fare quel mestiere da ubriaco avrebbe reso il film una commedia fin troppo sarcastica. Poi è diventata un’opera più riflessiva sull’amicizia, sull’amore, sulla passione per la vita, per il proprio lavoro, sull’importanza di vivere nel presente senza rimpiangere il passato. In ogni caso, Un altro giro non è un film sull’alcolismo.
È anche un film sulle relazioni familiari e sulle conseguenze dell’abuso di alcol, però.
Sì, però non è un film su questi problemi, non stiamo cercando di fare la morale sulla gente che beve, o sui problemi che derivano da una condizione estrema come quella del protagonista. Ci sono altri film che hanno affrontato questo tema e i pericoli della dipendenza, come Via da Las Vegas con Nicolas Cage o I giorni del vino e delle rose con Jack Lemmon. La missione del nostro film non era aumentare la sensibilità sull’argomento. È vero che ci sono molti ragazzi e famiglie che soffrono a causa di questo problema, ed è vero che durante il lockdown molte situazioni sono precipitate. Ma per noi era importante fare un altro tipo di film, sottolineare la bellezza della vita e tutto quello che si perde quando non la viviamo pienamente. Se la tua vita non è come la vuoi, cerca di cambiarla: solo tu puoi renderla migliore.
Come ti sei preparato per il ruolo?
Ho cercato di capire come avrei dovuto muovermi e come interagire in gruppo, come fingere di essere ubriaco senza sembrare ridicolo. Con gli altri attori abbiamo deciso di ubriacarci una sola volta e ci siamo filmati, perché ovviamente non potevamo essere sfasciati sul set per settimane: non credo ne sarebbe uscito un gran film! Abbiamo usato molto quella registrazione, ma abbiamo guardato anche molti video di gente ubriaca su YouTube. È stato molto istruttivo, il materiale non manca!
È cambiato qualcosa nella tua vita dopo questo film?
No, per niente. Non bevo né più né meno di prima, per me questa è la storia di quattro uomini che, nonostante siano molto diversi tra loro, sono arrivati a un punto di stallo. Per varie ragioni, hanno perso il treno e non sono contenti delle conseguenze che si sono creati vivendo la vita in modo passivo. Non assomiglio per niente al mio personaggio, e quindi non posso dire di aver imparato qualcosa interpretandolo. Io sono una persona molto positiva, quando mi alzo al mattino sono curioso di vedere quello che mi porterà una nuova giornata. È vero che bere un paio di bicchieri di buon vino ci rende più felici? Secondo me sì, però, come per tutte le cose, quando si esagera le prospettive cambiano. C’è sempre un prezzo da pagare.
Il film finisce con una meravigliosa sequenza di ballo.
Niente di eccezionale, evitiamo di dire che mi muovo bene, per favore: anche se ho un passato da ballerino… Diciamo che mi trovavo in uno spazio mentale rilassato. E allora mi sono lasciato andare. Se Thomas avesse scelto il bowling, avrei giocato a bowling. Visto che il mio personaggio aveva vissuto una serie di traumi, era però più importante che si liberasse, che si capisse quanto fosse felice, e i passi avanti fatti, e come avrebbe voluto vivere da lì in poi. Ho lavorato con un coreografo ma, una volta sul set, Thomas m’ha fatto cambiare tutto, m’ha detto di improvvisare. E allora mi sono concentrato solo sul non farmi male.
Prima hai menzionato il lockdown: come lo hai vissuto?
Mi sarebbe piaciuto imparare un’altra lingua. Parlo già danese, inglese, francese, tedesco, russo, svedese e italiano, anche se non tanto bene. Ma poi ho deciso di giocare a tennis, di passare più tempo con la mia famiglia, i miei amici, il mio nuovo cane. Ho iniziato a costruire una casetta dove passare le vacanze con mia moglie. Mi sono divertito, mi sono reso conto che sono molto bravo a non fare niente o a fare molte cose tutte insieme. Purtroppo pagheremo per anni la sofferenza emotiva ed economica di questo periodo. Ma, come Martin nel film, anch’io vivo nel presente.