Da campione del mondo a talento smarrito, da secondo pilota a leader della classifica iridata in MotoGP. Joan Mir è da qualche stagione su un’altalena di emozioni e adesso, dopo il terzo posto conquistato ad Aragon, è al comando della classifica della massima categoria motociclistica senza aver mai vinto una gara – a testimonianza che quest’anno la stagione è strana e irripetibile. Non solo per la pandemia, per le assenze illustri per via del Covid, per la mancanza di Marc Marquez per infortunio, per la riduzione del calendario (14 tappe invece che 20). Ma anche perché nessuno sembra davvero voler vincere questo Motomondiale.
Ovviamente, è una provocazione: tutti lo vogliono vincere. Ma nessuno sta riuscendo a prendere il sopravvento sugli altri e le gare, ogni volta, sono equilibratissime. C’è solo una costante, Mir. Nelle ultime sette gare lo spagnolo è andato a podio cinque volte (tre secondi posti e due terzi). Nessuno come lui, una costanza che paga e che lo ha portato provvisoriamente davanti a tutti – e non accadeva da tanto tempo, da quando gareggiava in Moto3.
Era il 2017: in Moto2 dominava Franco Morbidelli, oggi suo avversario in MotoGP, mentre Marquez teneva lontano dal titolo Andrea Dovizioso, che quella stagione aveva fatto godere tutto il popolo ducatista. In Moto3, invece, Romano Fenati cercava di limitare il talento esuberante di Mir, ma senza riuscirci. Fino a metà stagione il pilota ascolano aveva avuto la possibilità di giocarsi il titolo, ma poi Mir aveva vinto sei delle ultime dieci gare e si era piazzato altre due volte secondo. A Fenati erano rimaste le briciole, anche se era comunque riuscito a conquistare due vittorie importantissime a San Marino e in Giappone. La sensazione era quella di avere un gigante in pista.
In Moto3, infatti, da quanto esiste la categoria nessuno ha vinto quanto Mir. Per trovare qualcuno che ha fatto bene come lui bisogna tornare al 2010, quando era ancora 125 cc, e a conquistare dieci vittorie era stato Marc Marquez. L’unico, nel moderno motociclismo, a fare di meglio è stato un certo Valentino Rossi, che nel 1997, quando ha conquistato il suo primo mondiale 125, ha collezionato undici vittorie in una stagione. Record che a Mir era sfumato proprio all’ultima gara, nella quale era arrivato secondo dietro al connazionale Jorge Martin.
La cosa l’aveva segnato. Da una parte c’era il fenomeno capace di distruggere e annichilire gli avversari, mentalmente prima ancora che in pista, e dall’altra l’ombra di se stesso che aleggiando sopra la sua moto non gli permetteva di essere libero e di correre senza pensieri. Un indelebile incapacità di vivere la pista in modo sereno, è questo ciò circolava nel paddock quando Mir non riusciva a guidare in Moto2. In sella alla Kalex del team Marc VDS Racing non è mai riuscito a esprimere il suo talento e ha chiuso sesto in classifica con solo quattro podi ottenuti in stagione. Da una parte c’è chi non riusciva a percepire più quell’energia da fuoriclasse che aveva dimostrato in Moto3 e che lo etichettava come uno dei tanti, dall’altra – per fortuna – è arrivato Davide Brivio e il team Suzuki.
Il 2019 è stato un altro anno di debutto, difficile riuscire a fare risultati, ma la fiducia da parte del team non è mai scemata e in questo matto 2020 i risultati non si sono fatti attendere. Tutti pensavano che la vera stella potesse essere Alex Rins. Guida elegante, veloce, agile, sicuro di sé e con più esperienza, ma poi è arrivato il secondo posto nel Gran Premio d’Austria, dietro ad Andrea Dovizioso, alla quinta tappa del mondiale a svegliare il talento incatenato dello spagnolo. Ora è davanti a tutti, ma i podi non bastano per vincere. Mir riuscirà a conquistare una tappa del Mondiale oppure dimostrerà ancora una volta – e per la prima volta in MotoGP – che si può vincere senza mai salire sul gradino più alto del podio?