Doveva uscire oggi al cinema per tre giorni uno dei film più belli della stagione, forse il più bello (a patto che di stagione si possa parlare, ma vabbè). Avevo pronta la mia recensione, ma a questo punto non vi dico qual è e rinvio pure io: continuano a rinviare James Bond, i miei commentini valgono forse meno? Ora dovrebbe arrivare il discorso accorato: stoppare i cinema e i teatri e i concerti e l’oro l’argento le sale da tè non ha senso, sono luoghi sicuri, e soprattutto sono un’industria che produce un indotto, e che dà da mangiare a migliaia di famiglie, e via così. Ovvio che è tutto vero, ma per il discorso accorato ci sono già gli status dei vostri amici su Facebook, quindi non li ripeterò.
Se mai, comincio a pensare, questo è solo un piano per farci diventare scemi. Sì, ancora più scemi di quanto già siamo: è possibile. Per questo governo Grande Fratello (non nel senso di Orwell, o forse ormai anche sì), la Casa è l’unica prospettiva. La casa privata di tutto, in cui tornare dal lavoro e dove bastare a sé stessi. Il piano – inizio a diventare cospirazionista pure io – è non farci vedere l’orizzonte, ormai manco quello più prossimo. Qualche settimana fa ho comprato due biglietti per De Gregori, a inizio dicembre farà (dovrebbe fare) a Milano quello che ha fatto alla Garbatella l’anno scorso, che sembra ventisette anni fa. Tanta gente mi guardava stranita: ma sei sicuro? E se poi lo rimandano? A questo punto lo rimanderanno di sicuro, ma m’è venuto naturale, un po’ perché quando c’è il Principe si va punto, un po’ perché era un modo per non convincermi «a restare chiuso dentro casa quando viene la sera» ora e per sempre. E sono la persona più casalinga che conosca.
Poi c’è un’altra questione, per la quale non vanno accusati solo i governi presenti e passati. Il nuovo Borat, forse più tragicamente spassoso del primo, insegna (attenzione: mezzo spoiler) che un virus altrettanto stronzo s’aggira da ben prima del Covid. Il virus dell’essere ignorantissimi e compiacersene, dell’abdicare a qualsiasi forma di complessità, del considerare qualsivoglia prodotto culturale un esercizio di pochi. A costo di fare il vecchio moralizzatore, forse è il caso di dare un po’ di colpa anche a noi. I cinema strapieni non lo erano nemmeno prima della pandemia (soprattutto nelle annate senza Checco Zalone), per non parlare dei teatri. Oggi in tantissimi firmano le sacrosante petizioni per riaprire le sale (l’ho fatto anch’io) nella misura in cui mettono like a un articolo che non hanno manco aperto (lo faccio anch’io).
Il Grande Fratello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi ci ha insegnato che – sto per parlare come certi attori dolenti del cinema italiano – la cosa più importante di tutte sono le storie. No: che le storie sono la salvezza. E oggi – nella catena di un sistema che è più ampio, che parte dal piccolo esercente e arriva al grande studio – rischiano di non poter più essere raccontate. Non si salvano neppure i ricchi: Netflix – che, si dice, avrebbe provato a comprare il nuovo 007 per 600 milioni di dollari: non gliel’hanno sganciato, lo vogliono a tutti i costi far uscire al cinema (quando tutti i cinema del mondo saranno ormai chiusi) – ha sospeso la produzione di GLOW e probabilmente non finanzierà un nuovo Mindhunter. Sono i primi esempi che mi vengono in mente, perché sono quelli che piacciono a me; e sono l’effetto diretto della situazione attuale. Sul fronte nazional-popolare nostrano, se no mi accusate d’essere sempre e solo bolla, Doc – Nelle tue mani su Rai 1 ha registrato, nelle settimane clou del lockdown, ascolti bulgari. Poi s’è interrotto per set bloccati e, ora che ha ripreso la produzione dunque la programmazione, sta facendo nuovi numeri da Nazionale di calcio. Questa è industria, non è (solo) guardare la tv quando si torna a casa dal lavoro (su mezzi pubblici affollatissimi).
Che i grandi si salvino e i piccoli vengano spazzati via per sempre è, appunto, un’illusione. Quello che sta succedendo a Hollywood lo spiega bene. O forse, per tornare a Borat, era già cambiato tutto da un pezzo. Il coronavirus ha semplicemente incoraggiato una tendenza in corso. Lo storytelling aveva già preso il posto delle storie. Eravamo già diventati scemi. Tutti: anche noi tromboni che pensavamo che, con la quarantena, la gente si sarebbe messa a vedere tutto Rohmer su Mubi. Invece fanno tutti, piccoli e ormai pure grandi, i balletti su TikTok. E forse è giusto così. Questo mese al cinema non ci si potrà andare. Non uscirà niente: nemmeno Woody Allen, per una volta che, negli ultimi tre anni, aveva una data sicura (il 5 novembre). E non potremo andare fuori a cena, o ascoltare un tizio che canta. Tanto vale metterci a fare i balletti pure noi. Tanto il governo ci vuole in casa. E noi che vogliamo salvare la cultura abbiamo visto i film di Fred Astaire: forse partiamo avvantaggiati.