Il cognome è uno, Bernstein, i nomi sono due, Elmer e Leonard. Leonard (1918-1990) è un maestro, musica nobile. C’è un dato indiscutibile ad avallare: un sondaggio del magazine Classic Voice, che fa testo, lo ha collocato al secondo posto fra i più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, dopo Carlos Kleiber. Grande la sua fama internazionale accreditata dai ruoli che ha coperto, i più alti, come la direzione dell’Orchestra filarmonica d’Israele o di quella di New York. È stato anche “italiano”: presidente e direttore onorario dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha diretto in tutti i più importanti teatri del mondo.
Rai 5, che privilegia l’arte, la qualità e la cultura, propone spesso Leonard sia nei concerti che nelle prove. West Side Story è stato trasmesso nel suo percorso e attraverso orchestrazioni dissimili. Il maestro ha creato quella musica e poi l’ha organizzata secondo partiture diverse. Il registro romantico, di immediata assunzione del cinema, diventava sinfonia alta, con arrangiamenti che privilegiavano strumenti diversi. E poi c’era l’aspetto, il fascino personale (Bradley Cooper interpreterà e dirigerà prossimamente il suo biopic per Netflix, ndr). Il suo gesto, le sue espressioni secondo il momento musicale, l’ammiccamento ai membri dell’orchestra e al pubblico portavano una partecipazione diversa all’esecuzione. La classifica detta sopra era stilata dai maestri colleghi. Un elemento in più di verità. La vocazione classica non ha impedito al maestro di misurarsi in altre esplorazioni, una delle quali è la chiave “romantica” del teatro. West Side Story ne è un’espressione. Decisamente importante.
I produttori Robert E. Griffith e Harold Prince chiamarono Bernstein per le canzoni del musical che stavano montando ispirato al Romeo e Giulietta di Shakespeare. La prima avvenne il 19 agosto del 1957 al National Theatre di Washington. Fu l’inizio di una leggenda dello spettacolo. West Side Story è il musical più rappresentato della storia (l’ultima versione, firmata Steven Spielberg, è stata rimandata al 2021 causa Covid, ndr). Il film relativo, del 1961, andò persino oltre. Basta una notizia: ha vinto ben 10 Oscar, occupa il quarto posto assoluto in quella classifica, dopo Titanic, Ben-Hur e Il signore degli anelli. La regia era di Robert Wise (Oscar al film e alla regia), Richard Beymer e Natalie Wood erano Tony/Romeo e Maria/Giulietta. Tutte le canzoni di Bernstein sono diventate dei classici. Le più popolari: Somewhere, Maria, Tonight, America, I Feel Pretty e Something’s Coming.
Elmer Bernstein (1922-2004) è invece un musicista che appartiene, quasi in esclusiva, ai film. Ha firmato le colonne sonore di titoli che fanno parte del corpo del cinema. Possedeva una gamma creativa al livello più alta. Scenari, sentimenti, tensioni, epica, dramma, risolti dal musicista in film del tutto diversi. Di getto emerge un tema dei Dieci comandamenti (Cecil B. DeMille, 1956). Charlton Heston/Mosè che apre le acque del Mar Rosso sostenuto da quella sinfonia potente, di violenza estetica, è una delle immagini simbolo di tutto il cinema. Così come l’impatto quando appare il monte Sinai, con tutto ciò che rappresenta nella storia, nella tradizione e nella mistica umana. E poi I magnifici sette (1960) di John Sturges, con Yul Brynner protagonista, con quel motivo western irresistibile, riaffermato nei vari sequel, che ricorre continuamente, nelle sigle, negli spot, che evoca un’avventura che non è solo epica, ma si evolve a esprimere una parte in più di attesa e di evasione. Il 1962 è un anno importante e impegnativo per il compositore. Firma le colonne di due classici diversi: L’uomo di Alcatraz di John Frankenheimer, con Burt Lancaster, sostenendo il dramma di un uomo recluso in prigione per gran parte della sua vita; e Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan, con Gregory Peck premio Oscar, dove deve risolvere il tema del razzismo negli anni più drammatici e violenti.
Nel 1963 compone per quello che è considerato il film di evasione più popolare e divertente, La grande fuga, sempre di Sturges, con l’indimenticabile Steve McQueen. Del 1964 è L’uomo che non sapeva amare di Edward Dmytryk, con George Peppard. Dove Bernstein, oltre alla colonna, scrisse anche la canzone, rapinosa, ricordabile, con milioni di dischi venduti. Elmer si impose in un classico del musical che creò un precedente che diede una scossa al genere, The Blues Brothers di John Landis (1980), con John Belushi e Dan Aykroyd. Nel 1983 venne chiamato per la musica dell’Aereo più pazzo del mondo di Zucker-Abrahams-Zucker, che inaugurava il filone demenziale-fuoriditesta. Non era un registro facile da inventare e risolvere. Ma per Elmer tutti i registri erano buoni.
L’età dell’innocenza di Martin Scorsese (1993), con Michelle Pfeiffer e Daniel Day-Lewis, è la summa del talento del musicista. Doveva evocare la grande letteratura, il romanzo di Edith Wharton, una storia d’amore struggente in uno scenario sfarzoso e sofisticato, e le indicazioni di un regista ultraesigente. Infine, l’Oscar. Bernstein ha ottenuto 14 nomination e un solo Oscar per Millie (1967), per la regia di George Roy Hill, con Julie Andrews. Una composizione certo di qualità, ma niente a che vedere con le citazioni fatte. Una delle tante stranezze degli Oscar. Elmer Bernstein ha composto oltre duecento colonne. Significa selezione e omissioni. Purtroppo.