Il più grande è anche il più fragile. L’icona inarrivabile dal cuore d’oro per gli altri è lo stesso che ha una tendenza autodistruttiva verso sé stesso. L’extraterrestre che in campo non sbaglia una giocata, cammina al fianco dell’uomo che nella vita non riesce a dribblare un errore. Maradona è tutto questo e anche di più. Ancora nel 2020 è un feticcio da adorare (o disprezzare), non solo dai napoletani o dagli argentini, ma un po’ da tutto il mondo del calcio. Non si riesce a fare a meno di paragonare ogni giocata spettacolare con una delle sue, che sembra sempre un pizzico più magica. Neppure l’avvento di Lionel Messi, uno che ha segnato come nessuno nella storia, che ha vinto sei Palloni d’Oro, che ha staccato ai numeri (per ora) quella macchina di ostinazione-tecnica-muscoli che è Cristiano Ronaldo, benché sia anche argentino come “Il Pibe” non ne ha intaccata minimamente l’aura di sacralità che regna quando rimbalza un pallone fra i piedi di un bambino.
“Diegoooo!” è il nome che riecheggia nel calcio da 30 anni. L’origine del fenomeno, che è più aderente al misticismo che allo sport, è ben raccontata nel libro dell’amico e compagno di quell’avventura con la maglietta azzurra, Ciro Ferrara. Si intitola, non a caso, Ho visto Diego. E dico ‘o vero (Cairo editore) e celebra il 60esimo compleanno di Diego Armando Maradona ricordando con affetto e grande umanità il calciatore e l’uomo, così diversi ma insieme così speciali.
Per tutti coloro che lo hanno amato rimane semplicemente un “mito”, il piccolo grande uomo che è arrivato in una città come Napoli a cambiarne per sempre e irrimediabilmente la storia. 1984-1991: sette anni che valgono infinitamente di più, sette anni che sono una favola in cui il posto della bacchetta magica viene preso da un piede sinistro. Ciro Ferrara, uno dei pochissimi nella cerchia degli “eletti”, di quelli che hanno potuto ammirare con i propri occhi la verità. Uno che ha “visto” Diego – come un po’ come le apparizioni mariane -, nel vero senso della parola.
Quando Maradona è giunto a Napoli, Ciro era un giovanissimo difensore. Si sono ritrovati compagni nella prima squadra e, quando quel Napoli ha vinto tutto, insieme sono diventati protagonisti di una storia unica, impossibile da ripetersi. Con il passare del tempo, il destino ha costantemente creato appuntamenti magici – la magia torna sempre, in particolare per i sudamericani – tra queste due vite, in apparenza lontane, ma nella realtà dei fatti vicinissime e complici. Proprio come un’amicizia vera, bellissima e rara.
La prefazione, scritta dallo stesso numero 10, dimostra tutte le contraddizioni di un personaggio con il quale, finché esisterà il gioco del calcio, bisognerà volenti o nolenti fare i conti. Come quando svela della notte in discoteca a Milano Marittima proprio insieme a Ferrara che furono scoperti dalla società, oppure ammette di ascoltare ancora ‘O surdato ‘nnammurato e a occhi chiusi veder scorrere davanti agli occhi le immagini più belle di quella stagione irripetibile e, alla fine, forse spiega il motivo per il quale, in ogni campo, i geni ci sembrano già immortali quando sono in vita. È il tempo la differenza. Non scorre per tutti nello stesso modo. E Maradona lo mette nero su bianco in una frase che sembra quello di un filosofo greco: “Chi ama non dimentica e il tempo è solo un fastidioso accessorio”.
Ciro Ferrara, l’autore del libro, è tra i migliori difensori degli anni Ottanta e Novanta, nel corso della sua carriera ha vestito le maglie di Napoli e Juventus, conquistando 8 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 UEFA Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa UEFA, 5 Supercoppe italiane, 1 Supercoppa Europea, più altri prestigiosi premi. Tra il 1987 e il 2000 ha totalizzato 49 presenze in Nazionale, partecipando agli Europei del 1988 e del 2000 e ai Mondiali del 1990, vincendo poi, come Collaboratore Tecnico della Nazionale di Lippi, il Mondiale del 2006. I trofei vinti lo collocano tra i giocatori più decorati in senso assoluto nella storia della Serie A.