Club To Club diventa digitale e si conferma tra i migliori | Rolling Stone Italia
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Club To Club diventa digitale e si conferma tra i migliori

Reinventarsi al tempo del lockdown è possibile con le performance dei più visionari e avvincenti esponenti dell’elettronica italiana come Lorenzo Senni, Caterina Barbieri, Ninos Du Brasil, Bienoise. Ecco com'è andata

Foto: Claudiu Asmarandei via C2C

Foto: Claudiu Asmarandei via C2C

Ogni primo weekend di novembre sono seduto su un treno in direzione Torino. Un appuntamento fisso, un weekend sul calendario dove respirare la città e riabbracciare quegli amici a cui, a causa della mia pigrizia geografica, non riesco a dedicare il tempo umano dovuto. Un’occasione di rivedere volti conosciuti mentre godo della splendida musica che si irradia nelle sale buio del Lingotto. Sono una persona che trova pace e poesia nella routine della vita e, per me, l’inizio di novembre è solo Club To Club.

Per musicisti, addetti ai lavori e festival, il 2020 sarà ricordato come l’annus horribilis per antonomasia; una tragedia sottovalutata. In questo contesto, ogni gesto di resistenza è una luce, come l’annuncio di una nuova edizione digitale di Club To Club. Un gesto simbolico, romantico, un atto politico che, ironia della sorte, ha fatto coincidere la prima serata del festival con la messa in atto del nuovo DPCM e del relativo lockdown in cui è sprofondato il nord Italia. Club To Club ha quindi trovato casa nel mondo dello streaming crossmediale, utilizzando con intelligenza l’occasione di portare in scena una serie di esclusive e spesso inedite performance site specific (divise tra OGR – Officine Grandi Riparazioni, Teatro Carignano e Fondazione Accorsi-Ometto) con i più visionari e avvincenti esponenti dell’elettronica italiana come Lorenzo Senni, Caterina Barbieri, Ninos Du Brasil, Bienoise.

In un mondo così alienato, la partenza del festival affidata alla compositrice più aliena del panorama italiano, Caterina Barbieri, è un’immersione in un futuro distopico (o nel presente più presente?). La camera apre sulla sagoma di una Rei Ayanami (il look della Barbieri ricorda incredibilmente il plugsuit di Neon Genesis Evangelion) protetta da strutture architettoniche da cui si rincorrono cavi di synth modulari, mentre alle sue spalle il visual artist Ruben Spini ci proietta un universo new weird, tra ambientazioni rassicuranti e controparti deformi. Spegnendo le luci di casa, è facile ritrovarsi in un’altra galassia. E poi c’è Lorenzo Senni, che stupisce con una performance di vandalismo artistico, graffittando e distruggendo con una mazza da baseball un pianoforte su cui sta venendo suonato, in chiave intimista, il suo repertorio. E ancora SPIME.IM con un brutalismo audio/video iper-contemporaneo e Bienoise con una simbolica performance rosso sangue nel deserto del Teatro Carignano. Ed è proprio quest’idea di C2C di proporci delle performance, oltre a dei più canonici live set, a tenerci incollati allo schermo.

Vivere una manifestazione digitale è un’esperienza che estremizza il concetto di soggettività a partire dal collegamento stesso. Nei festival offline la nostra soggettività comincia da un piano comune di condivisione di spazi e hardware, mentre per accedere alla sua versione online lo spettatore è costretto a scendere a patti con l’attrezzatura tecnica a propria disposizione (device, connessione internet, sistema audio e video). Da musicista, ad esempio, posso contare su uno soddisfacente impianto audio casalingo, ma da disperato freelance piango di una connessione internet tremenda e di uno schermo del laptop che definirei, senza dubbio, mega-pacco. Il compito del festival digitale è quindi quello di garantire, oltre alla massima accessibilità, un livello artistico in grado di travalicare la frustrazione di certi limiti hardware che può incontrare lo spettatore. E su questo Club To Club non sbaglia; la capacità di inserire in cartellone proposte intriganti e stimolanti è ciò che ha reso C2C uno dei migliori festival europei, anche in un’edizione difficile come quella di questi giorni.

È evidente come il pregiudizio che circonda le esibizioni digitali dipenda dalla smania di cercare un’immediata correlazione con l’esperienza che avremmo potuto assaporare dal vivo. Ma uno show online non potrà mai essere analogo ad un live con un pubblico e, per questa ragione, urge il bisogno di costruire qualcosa di differente, imprevedibile, sorprendente.

Club To Club stupisce proprio perché fugge i tentativi di inseguire una normalità impossibile, prendendo un’altra strada, quella del festival come performance (come da claim), proponendo una fruizione inedita e inaspettata del proprio contenitore. È così che una manifestazione digitale diventa vincente, quando intelligenza e creatività superano i limiti di un sistema politico che ha abbandonando ogni attenzione e cura verso la cultura. Ed è questo ciò che Club To Club ci ha indicato in questa edizione. Non dobbiamo rimodellare il mondo del live, dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo. E per quanto sembri difficoltoso, non è di certo impossibile.

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