Ennio Morricone, la recensione di 'Morricone segreto' | Rolling Stone Italia
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Questo ‘Morricone segreto’ al servizio dell’industria è favoloso

Gli autori mediocri posano da artisti che rispondono solo a sé stessi, quelli bravi creano grande musica anche su commissione

Ennio Morricone

Foto: Luciano Viti

C’è una scena notevole all’inizio di Superonda, il bel libro di Valerio Mattioli sulla Storia segreta della musica italiana, come dice il sottotitolo. Il volume presenta un excursus sulle musiche italiane anni ’60 e ’70 fuori dai sentieri battuti del pop, quelle che hanno lasciato un segno magari sotterraneo, ma profondo su rock ed elettronica. E dunque è il 2012 e l’autore va a casa di Ennio Morricone. Lo vuole intervistare sulle sue musiche più strane, vuole chiedergli dell’influenza che ha esercitato su musicisti eccentrici. Ha in mente gente come Mike Patton e i Sun City Girls. Quando sente parlare di rock, Morricone gli dice che, sì, effettivamente tempo prima gli hanno presentato un gruppo inglese il cui cantante è un suo fan: i Dire Straits.

Lo scambio fra i due misura lo scostamento che a volte c’è fra quel che immagina chi scrive di musica e chi la fa, fra teoria e pratica dei suoni. Ma è come se i curatori di Morricone segreto, il disco uscito venerdì quasi in coincidenza con il novantaduesimo anniversario della nascita del compositore che cade oggi, avessero dato ascolto a Mattioli. Le 27 tracce del disco, un’ora e passa di musica avvincente e bizzarra in modo seducente, offrono un profilo alternativo a quello che solitamente viene fatto del compositore per via delle colonne sonore dei film di Leone e Bertolucci, di De Palma e Joffé, di Tornatore e Tarantino. Aveva fatto qualcosa di simile quindici anni fa l’etichetta Ipecac con il doppio Crime and Dissonance, che però si concentrava sulle colonne sonore thriller ed era meno accessibile di Morricone segreto che viene presentato come «il lato nascosto, dark e psichedelico» del compositore. In verità a parte alcuni episodi non ha nulla di ostico e anzi l’uso della ritmica, delle chitarre elettriche e di strumenti che fanno parte dell’immaginario rock può aiutare chi s’avvicina per la prima volta a musiche di questo tipo.

Nato dall’accordo tra la Universal, il gruppo del quale fa parte l’etichetta Decca, e la CAM Sugar, nei cui archivi ci sono decine di colonne sonore di Morricone, il disco copre opere considerate minori prodotte negli anni che vanno dal 1969 al 1983. È uno dei dischi italiani più rock, in senso lato, che potete sentire quest’anno. Il fatto che sia una raccolta di pezzi risalenti per lo più anni ’70 scritti da un compositore colto è assieme notevole e deprimente. Morricone metteva in queste produzioni un’idea di musica genreless, come si usa dire oggi. Mischiava suoni e modi funk, rock, pop, jazz, lounge col gusto per l’azzardo, per la dissonanza, per la scrittura rigorosa che veniva dal suo lavoro con la musica scritta. Non si tratta di colonne sonore per grandi produzioni e pare di capire che a Morricone fosse perciò concesso di prendersi delle libertà, tentare cose che in un altro contesto non avrebbe potuto fare. Voglio dire: è musica eccitante.

Dietro a titoli come Fantasmi grotteschi, Beat per quattro ruote e il migliore, Tette e antenne, tetti e gonne, c’è la ricognizione di quella che allora era la contemporaneità musicale fatta con un orecchio impeccabile e un gusto tagliente. È tutto un grande Jukebox Psychédélique (altro pezzo della raccolta), nel senso di psichedelia giocosa, e neanche per un minuto c’è la sensazione d’ascoltare musiche che hanno bisogno dell’accompagnamento dalle immagini per essere apprezzate. Ci sono il gusto per il gioco, accelerazioni da capogiro, temi intonati da un’ampia varietà di strumenti, ritmi inusuali, vocalizzi anticoncezionali. C’è anche un gusto di derivazione popolare che emerge in certe melodie cantabili. È tutto il resto – l’impianto armonico, l’accompagnamento, la ricchezza della strumentazione, il mimetizzazione dei suoni, le dissonanze, le soluzioni sonore spiazzanti, gli intrecci – che scatena la fantasia. Com’è noto, ci sono anche sette inediti, ma non è questo il punto: per gran parte degli ascoltatori di musica è come se tutto Morricone segreto fosse inedito.

C’è un altro punto interessante. Quello di Morricone segreto è un compositore inserito in un meccanismo industriale di produzione di musica per il cinema che ha poco a che fare con i concetti astratti d’ispirazione e purezza che hanno dominato per anni la conversazione sulla musica e che si sono riaffacciati di recente come mantra ripetuto persino nei talent dove dopo due giorni anche l’ultimo arrivato chiama la sua spazzatura «la mia arte». Gli autori mediocri posano da creativi che rispondono solo a sé stessi, quelli bravi pensano alla composizione come a un lavoro e creano grande musica anche su commissione. Magari Morricone segreto può servire anche a questo, a capire la differenza.

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