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Interviste Musica

I BTS non sono come ve li aspettate

Nell’intervista più ampia della loro carriera, effettuata nell'arco di un mese, il gruppo simbolo del K-pop racconta la scalata al successo, il rapporto coi fan, il significato dei testi, il lavoro in pandemia, il futuro

I BTS non sono come ve li aspettate

I BTS

Foto courtesy of Big Hit Entertainment

Il giorno prima di iniziare a scrivere questo pezzo ho deciso di ascoltare l’intera discografia dei BTS. Non era certo la prima volta che mi avvicinavo al loro arsenale di sonorità hip hop, jazz, blues e pop patinato – anzi conoscevo piuttosto bene la materia – ma è stato un ottimo modo per ricordare il motivo per cui li ho intervistati. I BTS non sono affatto l’ennesimo gruppo spuntato dal nulla, anche se probabilmente ve l’hanno fatto credere. La loro scalata ai vertici delle classifiche non è il risultato di una botta di fortuna, di uno zoccolo duro di fan esaltati o di un tot di visualizzazioni comprate. Capita spesso di leggere articoli nella stampa mainstream o di vedere dei video in giro su YouTube in cui ci si domanda come tutto ciò sia potuto accadere o da dove arrivino esattamente i BTS. Si percepisce un ampio ventaglio di sentimenti, dall’ammirazione al disprezzo e allo scetticismo, ma alla fine la domanda di tutti è la stessa: come e perché è successo?

La loro musica non è indirizzata a un determinato gruppo di individui; è, invece, per tutti coloro che hanno attraversato le varie fasi della vita. I testi dei BTS fissano momenti che quasi tutti hanno vissuto, comprese le esperienze fatte a scuola, le amicizie (che nascono e si rompono), le aspettative che i genitori ripongono in noi e i ruoli che la società ci assegna – tutto ciò che, alla fin fine, è apparentemente inevitabile nella folle corsa della vita. Parlando di questi passaggi dell’esistenza, il nocciolo del messaggio della band risiede nell’analisi di ciò che significa essere umani e nella comprensione del proprio ruolo nello schema generale delle cose. Chiunque può diventare un loro fan o rispecchiarsi in questi sette sudcoreani. Questo semplice dato di fatto costituisce la loro eredità, solidamente edificata in modo che tutte le generazioni possano scoprirla e innamorarsene.

Negli ultimi due mesi, mentre intervistavo con i BTS per questo articolo, ho imparato molto sul loro conto, a livello professionale. Hanno sempre agende pienissime, con shooting fotografici, video da girare, session di produzione e ogni altra cosa che abbia a che fare con l’uscita di un nuovo album. In quelle settimane, poi, stavano anche facendo le prove per Map Of The Soul ON:E, il loro concerto online da record con cui sono riusciti finalmente a recuperare la cancellazione – per via del Covid – del tour con cui avrebbero dovuto promuovere il loro disco del 2020 Map Of The Soul: 7. Eppure, nonostante l’incredibile quantità di cose da fare, ogni scadenza è stata rispettata e questo mi ha fatto comprendere quanto i BTS e il loro team tengano alla precisione e al rispetto rigoroso delle tempistiche. C’è un’attenzione fortissima per i dettagli che sfugge al pubblico, che probabilmente mai riuscirà a rendersene davvero conto. È proprio questo amore per le cose ben fatte e per il lavoro di squadra che distingue i BTS da qualunque altro gruppo musicale al mondo.

I BTS – formati dai rapper RM, SUGA e j-hope insieme ai vocalist Jin, Jimin, V e Jung Kook – nel settembre 2017 sono stati sulla copertina di Rolling Stone India, appena prima di iniziare la loro sorprendente scalata alle vette delle classifiche di tutto il mondo occidentale. All’epoca, durante la nostra chiacchierata, il leader della band RM diceva che la loro popolarità crescente derivava dalla fascinazione degli occidentali per le mode: «Credo che il pubblico occidentale sia più sensibile ai trend. Sanno che cosa va in classifica». Eppure da quel momento i BTS hanno sbriciolato molti record, assurgendo allo status di titani nell’ambito di un’industria che, normalmente, era abituata a vedere le boy band (specialmente quelle di colore e straniere) scomparire rapidamente come un’onda nell’oceano.

Hanno infranto i pregiudizi nei confronti degli uomini asiatici, del K-pop e degli artisti con un seguito prevalentemente femminile, aprendo un cammino che spalanca le porte a chi è stato emarginato in passato in base agli standard occidentali. Dopo tre anni di costante scalata al top, è ormai chiaro che i BTS non sono una moda passeggera – sono qui per restare e modificare il modo in cui il mondo pensa si costruisca un’icona pop. È, in un certo senso, rassicurante sapere che ci sono. Quelli fra noi che sono di colore – in particolare asiatici e un po’ bistrattati – sentono una sorta di forza quando li vedono esibirsi per noi, per spianarci il cammino.

Durante il mese di ottobre ho parlato più volte coi BTS. È stato uno scambio vivo, una conversazione che si è dipanata nell’arco di parecchi giorni per andare incontro alle loro esigenze e impegni. Rispondono a molte più domande di quanto mi aspettassi e si aprono, rivelando sfaccettature della loro arte e un’identità che mai avevano mostrato – compresi i meccanismi di pensiero durante la scrittura di alcuni brani, le paure che hanno ispirato certe canzoni nel loro luccicante mondo da sogno, le loro ambizioni e il significato sempre cangiante che attribuiscono al successo. Abbiamo discusso argomenti di cui non si parla spesso in altre interviste, concentrandoci su quanto accaduto in passato e sull’evoluzione della visione della vita dei singoli componenti. È uno sguardo raro nel processo creativo di uno dei gruppi più importanti del momento e ho la sensazione che mi sia stata accordata una fiducia davvero grandissima.

Congratulazioni per l’esordio al numero uno della Billboard Hot 100. Vi aspettavate che questo risultato lo avreste ottenuto con il pezzo Dynamite?
V:​ Non avevamo idea che Dynamite sarebbe diventata una tale hit. Volevamo solo condividere una botta di energia e portare un messaggio di speranza, in questi tempi così difficili. Siamo davvero grati ai nostri fan, la ARMY, per averci permesso di raggiungere questo obiettivo.

Spesso avete pubblicato pezzi in giapponese e ora con Dynamite vi siete lanciati e avete inciso anche in lingua inglese. Quali sono le difficoltà nel registrare ed esibirsi usando una lingua non propria? Il procedimento creativo è differente?
V:​ Abbiamo messo un’estrema cura nella pronuncia inglese, anche perché questa era la nostra prima canzone interamente in inglese, ma nel complesso è stata un’esperienza divertente. In generale, ci impegniamo molto per comunicare i nostri messaggi più chiaramente possibile, quando cantiamo in una lingua che non è la nostra.

A parte tutti i successi in classifica, quale è, per voi, il momento fondamentale che ha segnato una svolta nella vostra evoluzione artistica, sia da solisti che come band?
SUGA:​ Quando abbiamo iniziato ad andare in tour e a esibirci di fronte al pubblico in tutto il mondo, abbiamo percepito che avevamo fatto un grosso passo in avanti, come artisti.

RM. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

Come scegliete la title track di un disco dei BTS? La canzone che dà il titolo al disco è quella che meglio lo rappresenta o ci sono altri fattori in gioco?
RM: Di solito è il pezzo che ci sembra rappresentare al meglio il tema che sviluppiamo in un disco intero.

RM, ricordo quando – durante il tuo streaming per presentare l’album Love Yourself: Tear – hai fatto ascoltare la demo di Fake Love: la canzone aveva un feeling più spigoloso e rock, paragonata alla versione finale del disco. Da cosa dipendono i cambiamenti a cui va incontro un brano, dal momento in cui nasce a quello in cui viene inciso per un disco?
RM: Siccome al procedimento partecipano sette persone, una canzone prima di arrivare allo stadio finale subisce molti aggiustamenti. Le nostre voci e timbri sono così unici che a volte è persino difficile accordarci sulla tonalità di un pezzo. Di solito è un procedimento basato su tentativi diversi, finché non troviamo una versione che piaccia a tutti.

Quando pubblicate qualcosa, quanta importanza date ai feedback che ricevete? Siete per caso fra quegli artisti che fanno ciò che vogliono e non considerano i commenti del pubblico?
Jin: I pareri della nostra etichetta, dei produttori e dei fan sono tutti importanti. Il loro feedback è preziosissimo anche perché sappiamo che loro agiscono per il nostro bene. Ma soprattutto noi ci focalizziamo sul messaggio che vogliamo trasmettere al nostro pubblico, perché questo è il motivo principale per cui facciamo musica. I fattori esterni ci aiutano a sviluppare al meglio quei messaggi e a riverberarli nella nostra musica.

Quando siete in studio, preferite catturare il feeling migliore oppure mirate alla perfezione del suono e dell’esecuzione?
Jung Kook: Personalmente preferisco fissare il feeling. Non mi piace avere confini e costrizioni.

Come affrontate i momenti di blocco creativo o l’assenza di ispirazione? Subite molte pressioni dovute alle scadenze da rispettare?
Jung Kook:​ Io cerco sempre di non farmi influenzare dalla pressione e faccio ciò che sento. Se mi sento creativo, bene… altrimenti è ok lo stesso.

Una grossa componente nel vostro successo è legata al fatto che tutti possono immedesimarsi in ciò che cantate. Io, nel 2015, sono diventato un fan grazie a The Most Beautiful Moment In Life​. Quando avete realizzato quell’album in due parti, avevate idea dell’impatto grandissimo, a livello mondiale, che avrebbe avuto?
Jimin: ​The Most Beautiful Moment In Life Pt.1 è stato il disco che ci ha permesso di vincere i primi premi nei programmi musicali in Corea e che ha attirato sempre più fan verso la nostra musica. Nessuno si aspettava, all’inizio, che sarebbe divenuto un tale fenomeno, ma è stato un album chiave che ci ha permesso di fare grossi passi avanti. Non siamo sicuri dei motivi per cui proprio quel disco abbia avuto questo ruolo. Jin, però, sostiene di essere stato certo del fatto che avrebbe avuto successo… perché ogni volta che j-hope dice che qualcosa non andrà bene, in realtà poi funziona.

Jin. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

È interessante come cambia il modo in cui descrivete il successo, nella vostra musica, man mano che passa il tempo. Un ottimo esempio, per me, è la frase “I want a big house, big cars, big rings”, che compare in tre pezzi diversi dei BTS usciti nell’arco di alcuni anni: No More Dream, Home e Interlude: Shadow. Ogni volta la usate in un contesto diverso. In alcuni live avete anche omesso le parole “I want” da No More Dream. Come è cambiata la vostra idea di successo, da quando avete iniziato a ora?
j-hope: Quando ero un ragazzo, credevo che il successo fosse riuscire a esordire. Quando poi mi sono trovato a vivere quello che, nella mia testa, doveva essere il successo, ho capito quanto mi sbagliavo e ho iniziato il mio percorso di conoscenza. Parlare di successo è un po’ imbarazzante, perché io penso di avere ancora molto da imparare. Comunque ognuno ha una definizione e uno standard diverso per indicare il successo. Io sono felice di sapere che darò sempre il meglio di me per raggiungere il livello a cui aspiro. In questo momento, se parliamo di successo, la vedo così.

A questo proposito, j-hope, una volta hai detto che Airplane (dal vostro mixtape del 2018 Hope World) nasceva dal momento in cui hai capito che stavi conducendo la vita che avevi sempre sognato da ragazzino. Ti capita ancora di vivere istanti come quello, in cui tutto sembra incredibile?
j-hope: Sì, è ancora incredibile che cantando e ballando – cose che abbiamo iniziato a fare per puro divertimento – abbiamo avuto un impatto così grande in tutto il mondo. È una cosa che fa ancora più effetto, visto che nessuno si aspettava che accadesse. Ancora non riesco a credere che siamo arrivati al numero uno nella Billboard Hot 100.

Quando scrivevate i vostri primi dischi, eravate adolescenti. Ora che siete adulti di successo, ripensando a quegli album, avete un’idea diversa di ciò che i ragazzi dovrebbero trovare nella musica?
RM: Quando ero più giovane, pensavo che la tristezza andasse combattuta con altra tristezza. Ora che sono più maturo capisco che non è sempre così che funziona. Quello che ci serve è un mix bilanciato di felicità e tristezza, luce e ombra, che agiscano come elementi nutritivi nelle nostre vite.

Map Of The Soul:7 parla dei vari livelli della psiche umana, ma riflette molto anche l’evoluzione che voi membri dei BTS avete avuto man mano che scalavate il successo. Vi siete trovati in difficoltà nel mostrare un lato così personale al vostro pubblico in tutto il mondo?
j-hope: Il disco racconta il nostro viaggio. Sette persone insieme in una band per sette anni. Parla delle vicende che ci hanno resi ciò che siamo ed esprime i nostri sentimenti in modo sincero. È come se avessimo aperto un grande diario degli ultimi anni trascorsi. Ci mostriamo per ciò che siamo e siamo orgogliosi e grati di poterlo fare così.

j-hope. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

Black Swan parla del timore di perdere l’amore che nutrite nei confronti della vostra arte. Il testo è ispirato a qualcosa di reale o è più un timore per il futuro?
Jimin:​ Avevo questa paura in effetti. Temevo che le mie intenzioni più pure, nei confronti di ciò che faccio, potessero deteriorarsi fino al punto di vederlo come un semplice lavoro per via del logoramento provocato dagli impegni serrati e continui.

Nell’ultimo disco uscito ci sono molti pezzi ripresi da lavori precedenti – come Skool Luv Affair, Wings, Sea e altri album ancora. Perché avete scelto il 2020 e Map Of The Soul: 7 per fare questa sorta di chiusura del cerchio?
Jin: Quest’anno segna il nostro settimo anniversario, per cui mentre lavoravamo al disco abbiamo ripensato a tutto questo tempo passato insieme. Abbiamo fatto un viaggio indietro nel tempo e l’idea di fare dei reboot ci è parsa perfetta, per questo progetto.

I vostri fan dicono: “Siete entrati nelle nostre vite proprio quando avevamo più bisogno di voi”. Nel mio caso è vero. Cosa pensate di questa cosa e del fatto che avete segnato tante vite grazie alla vostra musica e ai messaggi che veicolate?
SUGA: Sapere che i nostri fan dicono che abbiamo cambiato le loro vite è una cosa che cambia le nostre, di riflesso. Dobbiamo essere ben consci del peso delle nostre parole e musica e siamo molto grati di questo ruolo. Abbiamo capito che, nonostante il nostro amore per la musica, la cosa più importante in ciò che facciamo è che ci sono persone che ci prestano attenzione. E ringraziamo i nostri fan perché ascoltano i nostri messaggi e le nostre canzoni.

Che idea avete della ARMY?
V: La ​ARMY è il faro che ci guida nel nostro viaggio di musicisti. Senza i nostri fan non saremmo dove siamo ora: loro continueranno a guidarci e motivarci a fare musica sempre migliore.

RM, una volta hai detto che se riuscite a far diminuire il dolore nelle persone “anche solo da 100 a 99, 98 o 97, allora l’esistenza dei BTS è giustificata”. Come ci si sente quando qualcuno viene da voi e vi dice che le vostre canzoni gli hanno salvato la vita?
RM: Dubito di essere degno di simili commenti. Al contrario, invece, sono queste persone che mi hanno spinto via dal picco, portando il mio dolore a 98, 97 – quindi possiamo dire che ci stiamo salvando a vicenda.

La vostra crescita è stata esponenziale. Arrivavate da piccole città, avevate alle spalle una piccola agenzia e avete raggiunto una serie di traguardi che chi è venuto prima di voi non ha mai neppure visto. Come riuscite a gestire questo successo? Avete dei mentori o delle figure guida?
Jung Kook:​ Nessuno di noi avrebbe mai immaginato un simile successo quando abbiamo iniziato. E per questo, ancora adesso, a volte stentiamo a crederci. Siamo estremamente orgogliosi di ciò che abbiamo fatto, ma ci ricordiamo sempre che non dobbiamo perdere di vista il motivo per cui abbiamo intrapreso questo viaggio. Esibirci e fare musica è tutto, per noi – e speriamo di continuare a lanciare il nostro messaggio in questo modo, grazie ai nostri successi. Siamo in particolare molto grati al nostro produttore Mr. Bang, che ci ha guidato fin dal principio e ci ha aiutato ad arrivare dove siamo oggi.

V. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

Qual è la più grande forza dei BTS e qual è invece l’elemento su cui ancora state lavorando?
Jung Kook: Il nostro più grande punto di forza è il rapporto fra di noi. La trasparenza che regna nel gruppo si riflette nella nostra musica e nel messaggio onesto che veicoliamo ai nostri ascoltatori. Noi tutti, come individui e come band, siamo un work in progress continuo. Negli anni abbiamo imparato che non importa quanto duramente ci impegniamo, ci sarà sempre un margine di miglioramento.

Tutti sanno del vostro impegno filantropico, specialmente per via della partnership con UNICEF nella campagna antiviolenza Love Myself. Quando avete iniziato a interessarvi alla beneficenza?
RM: Da sempre desideriamo essere un’influenza positiva sul mondo, con la nostra musica e le nostre azioni. E siamo grati di poter portare tutto ciò a un livello superiore con partnership e opportunità come la campagna UNICEF Love Myself. Siamo anche gratissimi alla nostra ARMY che è impegnata in molti progetti benefit.

Parliamo un po’ dei vostri progetti e interessi. SUGA, hai accennato al fatto che stai studiando per migliorare come cantante e stai imparando a suonare la chitarra. Cosa ti motiva a farlo e come sta andando?
SUGA: Mi è venuto in mente che mi sarebbe piaciuto essere come i musicisti folk degli anni Novanta che ho ascoltato tanto. Non voglio pormi limiti di genere musicale. Semplicemente, mi piacerebbe essere in grado di cantare mentre suono la chitarra quando sarò più vecchio. Tutto qui.

SUGA. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

V, il tuo amore per l’arte e la fotografia influenza in qualche modo la tua musica?
V: L’arte, la fotografia, le emozioni che sto provando – mi ispirano e mi influenzano un sacco di cose e io cerco sempre di scrivere ciò che provo in un determinato momento.

La tua grande espressività deriva dal tuo timbro di voce e dalla mimica facciale – sono i tuoi due punti di forza come performer. Ti alleni molto o ti viene naturale?
V: Ho sperimentato tanto con le espressioni del viso. Mi sono esercitato sempre molto e continuo a farlo. Il mio obiettivo è diventare un artista espressivo spaziando in una gran varietà di generi.

Jimin, c’è qualche differenza fra il Jimin cantante e il Jimin ballerino?
Jimin: Non necessariamente! In realtà non li ho mai considerati separati.

La disciplina e l’etica del lavoro sono elementi che tanti fan ammirano in voi. Cosa vi spinge a puntare sempre all’eccellenza?
Jimin: I nostri fan che ci aspettano e il pensiero che, così facendo, in futuro sarò un artista ancora migliore.

Jin, come mai hai deciso di affrontare i temi dell’auto-accettazione e dell’insicurezza come artista in pezzi come Epiphany e nella serie di album Love Yourself​? Il testo di Epiphany dice anche “Sono la persona che dovrei amare”. Dove ti vedi, ora, in questo viaggio verso l’auto-accettazione?
Jin: Onestamente non avrei mai voluto affrontare quegli argomenti. Non volevo rivelare il mio lato oscuro, ma parlarne col nostro boss e produttore Mr. Bang mi ha aiutato a sciogliermi e aprirmi. Penso, ora, di avere accettato quella parte di me e di avere imparato a capirmi e amarmi.

Che generi di musica ti piace ascoltare nel tuo tempo libero? Riesci a esplorarli nei BTS?
Jin: Principalmente mi piace molto ascoltare il pop, ma è anche il genere con cui mi sento meno a mio agio. Ora, naturalmente, lo sto esplorando molto di più, visto che insieme – come gruppo – ci muoviamo nell’ambito della pop music.

Jimin. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

Qual è il tuo motto o la tua filosofia di vita?
Jin: Live happy

State raggiungendo traguardi sempre più importanti. Che obiettivi vi ponete per il futuro?
Jin: Non ci penso molto. Sono felice così, godendomi il momento insieme alle persone a cui voglio bene. Carpe diem!

Tra i vostri fan il termine “namjooning” è ormai divenuto un sinonimo di ritagliarsi un po’ di tempo per fare passeggiate nella natura. Cosa pensate della ARMY che prende in prestito espressioni da voi per utilizzarli nella vita quotidiana?
RM: Sono molto grato ai fan, ma sento anche un forte senso di responsabilità. Ho iniziato a fare musica perché desideravo condividere la mia storia e diventare un esempio positivo per tante persone, per cui sarò onoratissimo se potrò continuare a far vedere i risultati del mio duro lavoro e dei miei sforzi.

Sei un avido lettore. Hai mai pensato di scrivere un libro?
RM: Quando leggo, capisco che ognuno ha una propria area di competenza. Scriverò mai un libro? Non ne sono così sicuro, ma non sembra un’idea irrealizzabile, magari un giorno, quando avrò accumulato più conoscenze ed esperienze.

j-hope, parli spesso di quando eri un ragazzino, sia nella tua arte che quando racconti delle tue difficoltà. Cosa, del j-hope odierno, rende più orgoglioso il giovane Jung Hoseok?
j-hope: La mia passione e il duro lavoro che faccio per realizzare i miei sogni! Non ho mai desiderato nulla così ardentemente come stare su un palco, penso che quella voglia fortissima mi abbia reso ciò che sono oggi.

Jung Kook, credo tu sia la persona giusta per questa domanda: quali sono le parti migliori e quelle più complesse nella creazione di contenuti che vanno oltre la musica pura e semplice?
Jung Kook: Prima di tutto, penso che l’elemento più importante sia il colore e il modo in cui riesci a percepirlo in maniera naturale. Credo anche sia importantissimo trovare sempre elementi nuovi, cosa che è molto difficile.

Quali media ispirano il tuo stile da regista?
Jung Kook: In realtà non mi ispiro a nessun media in particolare. Piuttosto è il momento in cui viviamo che influenza il modo in cui giro. Sono certo che se facessi più tentativi specifici e mirati potrei migliorare i miei contenuti, ma preferisco di gran lunga che le cose vadano in modo naturale e senza forzarle. Detto questo… penso che sia la mia vita a ispirarmi.

Sia Begin che My Time sono due dei miei pezzi preferiti per il modo così onesto in cui comunicate le vostre emozioni a proposito della vita nei BTS. Come è stato crescere tutti insieme e come credete che questo potrà influenzare il vostro modo di essere fra 10, 20 o 30 anni?
Jung Kook: Gli altri membri dei BTS sono le persone che mi hanno insegnato a non arrendermi mai e mi hanno spinto a migliorarmi costantemente. Penso che il tempo passato insieme a loro abbia plasmato molto la mia personalità, il mio modo di cantare, di ballare e di girare video. Sicuramente la ARMY mi ha dato tantissimo, ma le cose più semplici – come parlare, esibirmi sul palco, mangiare e incidere musica – che ho condiviso con gli altri membri del gruppo mi hanno reso la persona che sono oggi. Credo che loro continueranno ad avere un ruolo importantissimo in futuro.

Come vi siete sentiti a tornare sul palco durante il Map Of The Soul ON:E? Quale pensate sia il vantaggio più grande di uno show virtuale come questo?
Jimin: Eravamo molto eccitati all’idea di incontrare i nostri fan in occasione del nostro concerto online. Sarebbe di sicuro stato meglio potere interagire con la ARMY in persona, ma ci siamo molto emozionati vedendo i fan attraverso gli schermi. È stato bello sapere che potevamo colmare il vuoto fra di noi e comunicare con tanti fan di tutto il mondo in quella maniera, grazie alle tecnologie più avanzate.

Jung Kook. Foto courtesy of Big Hit Entertainment

La produzione era spettacolare – avete incorporato effetti speciali che non sarebbero stati possibili in un live tradizionale e avete offerto al pubblico un’esperienza indimenticabile, anche se non vissuta di persona. Qual è stato il momento più emozionante dello show?
V: Mi sono commosso vedendo la ARMY durante Inner Child: ho sentito ancora di più la loro mancanza.

La pandemia come ha influenzato il processo artistico di creazione del nuovo album? C’è qualcosa che rende il disco diverso da tutto ciò che avete fatto fino a ora?
Jimin: La pandemia ha fermato molti dei nostri piani, inaspettatamente. Ma al contempo ci ha anche offerto l’opportunità di fare un passo indietro, concentrarci su di noi e sulla musica. Nel disco abbiamo parlato delle emozioni che ci ha suscitato un momento così particolare. E siamo anche riusciti a fare passi in avanti nel coinvolgimento di ognuno di noi nella produzione del progetto, ad esempio a livello di sviluppo del concept, composizione e visual design.

Perché il nuovo disco si chiamerà BE? E cosa ci dirà a proposito dell’evoluzione dei BTS?
Jin: Questo album è come una pagina del nostro diario e parla del tempo in cui viviamo. Il titolo BE sta per “being” e vuole fissare in modo sincero le emozioni e i pensieri che abbiamo in questo momento. Abbiamo incluso molti pezzi rilassanti e calmi che possono piacere a tutti, quindi speriamo che in tanti possano trovare un po’ di gioia e di conforto nel disco. Penso che questo album ci offrirà una nuova opportunità di crescere come artisti in grado di rappresentare il momento attuale attraverso la musica.

State per pubblicare un nuovo lavoro, vi siete esibiti nuovamente live con Map Of The Soul ON:E e il futuro vi sorride. Cosa pensate, ora che ci avviciniamo alla fine del 2020?
j-hope
:​ Tutti siamo d’accordo sul fatto che il 2020 non è andato come ci si aspettava. Se non fosse per ciò che è accaduto, ora saremmo in tour a girare il mondo. D’altra parte, però, abbiamo pubblicato Dynamite e siamo arrivati in cima alla Billboard Hot 100. Fra alti e bassi, abbiamo capito che “la vita continua” – ed è il messaggio che vogliamo lanciare col nostro disco in arrivo, BE. Speriamo che i nostri fan possano trovare speranza e conforto in questo album.

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