La storia del rock è da sempre costellata di leggende affascinanti, di situazioni al limite, di quel pepe che poi, alla fine, è più letteratura che realtà. L’altra sera ad esempio stavo riguardando un video dei Police, la famosa intervista di Martha Quinn del 1983 in cui Sting e Stewart Copeland si tirano in faccia bicchieri ricolmi e fanno volare un tavolino. Ecco, molti dicono che la band si sia sciolta perché i suoi membri si odiavano, ma la realtà pare sia molto diversa. La questione, più che altro, è la rivalità musicale dovuta a un equilibrio particolarissimo del gruppo, in cui la divisione dei ruoli non è mai stata veramente chiara al pubblico.
È abbastanza strano, infatti, che Sting, quando era nei Police, fosse visto come il leader, la testa, quello che scriveva i successi, quello che non sbagliava un colpo e invece Andy Summers e Stewart Copeland erano costretti a fare solo uno massimo due pezzi a disco, quasi dei gregari. Col senno di poi (vista la carriera dei suoi due ex compagni, molto più sperimentale e sfaccettata) l’essere pop di Sting non va sempre a braccetto con la capacità di spaziare musicalmente. Perché, figuriamoci, il bassista è senza dubbio un grande autore di canzoni e un grande strumentista, ma non è uno che sperimenta tanto se non in maniera soft, modalità che asseconda i gusti dell’ascoltatore medio acculturato. E forse nei Police ha funzionato proprio perché gli altri due lo lasciavano fare (tutto sommato giustamente, considerando l’appeal, ma c’è sempre un limite ed ecco il perché dello scioglimento).
E allora ne approfittiamo per sondare quei pezzi in cui Sting ha meno voce in capitolo, brani potentissimi ovviamente relegati alle B side dei singoli. Perché giustizia trionfi su qualsiasi “duetto” (ogni riferimento al prossimo disco del bassista è puramente casuale).
“Dead End Job” (1978)
Il lato B di Can’t Stand Losing You ha una storia lunga. Viene registrato per la prima volta nel 1977 e prodotto da John Cale, ma musicalmente è molto più punk vecchio stile, con ancora il chitarrista Henry Padovani in formazione (coadiuvato da Andy Summers ai solo, che poi occuperà il suo posto). La versione pubblicata ufficialmente è invece remissata e Summers stempera gli umori punk del pezzo con un chitarra “galleggiante” e sonicamente sperimentale, ai confini col noise, che lo rende uno strano ibrido tra l’avanguardia e il power pop.
Il pezzo è costruito intorno a un riff di chitarra congegnato da Stewart Copeland che Andy Summers e Sting finiscono di comporre. In particolare Sting scrive un testo in cui si lamenta del suo lavoro (d’insegnante per l’esattezza) perché vuole solo suonare e non fare lo schiavo per campare. La fortuna poi lo assisterà esaudendo il suo desiderio. Invece di essere il parto del “dittatorino” di turno pieno del suo successo, il brano è messo insieme a sei mani e si sente l’affiatamento generale della band, forse uno dei pochi veri momenti in cui accade questa magia. Tant’è che molte volte Sting ha affermato che è il suo brano preferito dei Police, e a fronte di sue dichiarazioni quali «in una band non puoi evolvere come essere umano perché devi sempre rimetterti in gioco», sembra quasi incredibile che lo sia.
“Friends” (1980)
Lato B del fortunatissimo singolo Don’t Stand So Close to Me, è scritto da Andy Summers che si assume anche la responsabilità della parte vocale solista relegando Sting ai cori (efficacissimi per dargli quel colore Police caratteristico). Andy si prodiga in uno spoken word dai toni metaforici ma non troppo, a proposito di cannibalizzare amici e amori, in una ambiguità da serial killer che sfocia nel filosofico. Il pezzo, nato dalla lettura del grande scrittore di fantascienza Robert Heinlein, vede anche uno Sting glaciale al basso distorto, per un pezzo che odora di metropoli malata e claustrofobica, con leggeri fumi blaxploitation. Insieme a Mother, contenuto in Synchronicity e sempre di Summers, si contende il titolo di brano più delirante e deragliato del repertorio dei Police, che in mano ad Andy sicuramente si spostano in territori di lucida follia, osando l’impensabile.
“A Sermon” (1980)
Se Andy è il più folle dei tre, Copeland è il più frenetico: lo dimostra nei suoi brani solisti, in quelli per i Police e lo conferma anche in questo A Sermon, lato B di De Do Do Do, De Da Da Da. Se il lato A è abbastanza elementare (e per questo efficace in classifica), A Sermon accusa gli abbagli dell’industria musicale, fatta di numeri uno e di ego che si gonfiano fino all’autodistruzione. Una specie di amaramente ironico manuale per arrivare in vetta, ma col finale in cui è detto a chiare lettere “you have no excuse for the people you abuse”.
Il brano, dallo spirito prettamente punk ma filtrato dal gusto dei Police più “maturi”, era in effetti stato registrato nel 1978 per entrare nel primo dei Police , Outlandos d’Amour, per poi essere scartato dalla scaletta finale. Recuperato nel 1980 è perfetto nel suo ruolo di “falso lato B”, tanto che probabilmente il singolo sarebbe potuto essere pubblicato come doppio lato A senza fare un soldo di danno. Notare che alla chitarra ritmica c’è lo stesso Copeland, che mette in luce la sua poliedricità di musicista completo (in un certo senso il pezzo sembra anticipare certe cose dei Foo Fighters, che d’altronde sono grandi fan dei Police e hanno spesso coverizzato loro brani in concerto).
“Shambelle” (1981)
Andy Summers ritorna all’attacco con questo strumentale, lato B di una delle più potenti canzoni dei Police, ovvero Invisible Sun. E in effetti sembra una specie di spin-off delle atmosfere di Ghost in the Machine e il chitarrista conduce il gioco da grande protagonista, con i suoi accoliti che egregiamente lo accompagnano. Sting con un giro di basso ossessivo e incisivo (che però a un certo punto buca la tela sonora per dare maggiore spinta al flusso sonoro) e Copeland con una perfomance alla batteria esaltante, come se una piovra si fosse messa in testa di prendere lezioni di batteria.
Qualcuno dice che Sting si sia ispirato a questo brano per Every Breath You Take e forse non siamo lontani dal vero: di sicuro è un pezzo che potrebbe durare l’intera facciata di un disco, infatti sfuma quando iniziano delle interessanti micro variazioni, che poi sono quelle che ti portano a rimetterlo da capo sul piatto. A differenza di uno strumentale come Behind My Camel, odiato sia da Sting sia da Copeland per motivi a noi oscuri (forse un esotismo eccessivamente da cartolina?) nonostante abbia portato a casa un Grammy come miglior strumentale nel 1982, Shambelle mette d’accordo tutti in armonica – quanto rara – sinergia con le composizioni di Summers.
“Flexible Strategies” (1981)
L’era Ghost in the Machine come è evidente partorisce delle B side prettamente strumentali, non fa eccezione quella di Every Little Thing She Does Is Magic. Firmata da tutti i membri della band, Flexible Strategies è la loro Flying, cioè il pezzo su Magical Mystery Tour in cui i Beatles ricavano da una jam session lunghissima un pezzo di ridotto minutaggio. In questo caso il mood è quello di un brano black dinamico e ritmicamente spezzato, editato con l’accetta stile Teo Macero, con Andy Summers che vi sbratta assoli atonali e deliranti sopra. Per Copeland si trattava di qualcosa di vergognoso, per noi invece è un’ottima impro funk sperimentale il cui limite è forse solo la durata e un fade out troppo sbrigativo. Fatto sta che darà il nome anche alla raccolta di B side compresa nel box Every Move You Make, ragion per cui vergognosa o meno qualcosa vorrà pur dire. E infatti è uno spaccato sull’iter compositivo del trio, che spesso tirava fuori l’ispirazione per i brani proprio da lunghe jam session a volte apparentemente inconcludenti.
“Someone to Talk to” (1983)
Tra i tanti brani di Andy Summers questo è forse il più catchy, se non irresistibile (personalmente è presenza fissa nei miei dj set e rubai il 45 giri quando lo trovai a un mercatino dell’usato): un reggae “alienato” in cui lo stesso Andy per la prima volta (dopo lo spoken di Friends e le urla strazianti di Mother) canta da consumato crooner una linea melodica sulla quale appoggia un testo ispirato al suo matrimonio che va in pezzi. Sting era solito cambiare i testi dei suoi compagni quando non li sentiva aderenti al suo essere, anche in questo caso il nostro era pronto a cambiare le carte in tavola, ma Summers ci teneva troppo alla catarsi di questo brano dolorante quanto fatalista, ragion per cui purtroppo non lo troviamo su Synchronicity. Originariamente inciso con un testo diverso e col titolo di Goodbye Tomorrow, ospitava anche le backing vocals di Sting che nella versione definitiva mancano, ma che forse avrebbero impreziosito ancora di più un brano che merita di stare tra gli highlight della band.
“Murder by Numbers” (1981)
Nata in maniera molto veloce durante le session di Synchronicity, Murder by Numbers è uno dei pezzi più cattivi della band, dal testo crudo di Sting che punta il dito contro il sistema: un manuale per diventare un assassino perfetto, che inevitabilmente consiglia di fare carriera politica, unico modo per poter fare tutti fuori senza problemi, in maniera legale. La musica è di un Andy Summers particolarmente ispirato: ma questo non fermerà i soliti bacchettoni dal bollarla come opera del maligno. Forse anche per questo motivo il brano non entrò nella scaletta di Synchronicity ad eccezione della versione su cassetta e su CD, per cui il pezzo è una specie di bonus track.
Noi la ricordiamo come B di Every Breathe You Take ed è un perfetto filo conduttore che li lega, essendo il popolare singolo una canzone che parla del potere che controlla tutti, una specie di grande fratello (e ovviamente scambiata per una canzone d’amore, vista l’alienazione dei rapporti in generale, otterrà un successo planetario quanto grottesco). Verrà spesso eseguita dal vivo dai Police ed esiste anche una cover di Frank Zappa proprio con Sting sul disco Brodway the Hard Way (in cui appunto in un monologo iniziale Sting dice «non l’ha scritta Satana, ma io, cazzo!»), nonché anche un’esecuzione di Gil Evans, segno che forse il brano in questione è più importante di quanto si creda.
“Once Upon a Daydream” (1983)
Un altro di quei pezzi in cui l’alchimia tra i membri funziona alla perfezione, questo brano sognante vede il marchio di Sting e Summers, e sfodera un meraviglioso tappeto di guitar synth da parte di Andy, che ci porta in territori sintetici quasi vapor, con una leggerezza davvero incredibile. I Police amano molto questo pezzo, retto da un testo disilluso, come recitano le lapidarie parole di chiusura: “Once upon a daydream/ doesn’t happen anymore/ once upon a moonbeam/ this is no place for miracles”. Strano a dirsi, ma il testo fu scritto da Sting in piscina, nelle pause di registrazione di Ghost in the Machine, quindi non proprio in una situazione dark come ci si aspetterebbe dal brano (che comunque è condizionato dal periodo del disco in questione, certamente non il più spensierato del trio). Strano anche che, nonostante l’alta considerazione del pezzo da parte dei tre, non ne esistano – sembra – esecuzioni dal vivo.
“Don’t You Believe Me” / “It’s Never Too Late” (1981)
Finora non ci siamo filati più di tanto Sting, non tanto per svalutarne il valore di compositore (che come già detto è indiscutibile), ma per la sovraesposizione che lo caratterizza da sempre. Per bilanciare questa cosa citeremo due brani che non esistono se non in forma di demo da parte del solo cantante dei Police e che sono stati cassati dalla band durante le session di Ghost in the Machine. Il primo è Don’ t You Believe Me, che nella versione casalinga ha un incredibile sapore synth pop che gli avrebbe potuto spianare la strada per diventare una sicura hit: da notare che la parte “mononota” dell’inizio è molto simile al bridge di Every Little Thing She Does Is Magic. Il secondo è l’oscurissimo It’s Never Too Late, che tra anime in vendita, peso della vita e scelta pressante tra la luce e il buio, ci rivela uno Sting in crisi esistenziale tra inferno e paradiso, magari chiuso in una camera d’albergo con un quattro piste a cassetta che cerca di farsi scendere qualche droghetta.
Sono solo due di una serie di demo che in effetti, se in mano ai soci, sarebbero diventate sicuramente qualcosa di eccellente. Così però non è stato perché i Police erano una band in cui, se il pezzo non convinceva, potevi anche buttarlo: anche se era una potenziale hit, anche se ti chiamavi Sting. Consoliamoci col fatto che se le A side dei Police verranno sempre distrutte da operazioni commerciali, cover dozzinali, rifacimenti ridicoli, almeno ci rimangono le inossidabili, inattaccabili B side. Quelle che “hanno la possibilità di essere meno convenzionali, più spinte”: e se lo dice Andy Summers, fidatevi.