Lo scrivo subito, a scanso di equivoci. Così poi non salta fuori all’ultimo e pecco d’ipocrisia: tifo per Camilla Parker Bowles, ho sempre tifato per Camilla Parker Bowles, fino alla fine tiferò per Camilla Parker Bowles. Non perché amo essere bastian contraria e distinguermi dalla massa di fan adoranti (e piuttosto permalosi) di Diana Spencer. Ma perché, per la strana legge della fisica secondo cui non riconosceremmo una donna forte nemmeno se ce la trovassimo sotto il naso, abbiamo a che fare con Camilla da quarant’anni, e da quarant’anni le diamo arbitrariamente della stronza. O, meglio, voi le date della stronza, mica io.
Sono quarant’anni che la duchessa di Cornovaglia si prende insulti – di recente, sull’account Instagram della Royal Family, oltre seimila persone hanno lasciato commenti non lusinghieri sul suo conto, complice la quarta stagione di The Crown – e non fa un plissé. Le sue colpe? Non essere propriamente bella (Lady Diana, in privato, la chiamava «rottweiler»); essere molto english e poco rose; non avere classe; essere calcolatrice; essere furba; sapere ciò che vuole; capire se, come e quando poterlo ottenere; non sentire il bisogno di spiegarsi o giustificarsi; non cedere al vittimismo. E poi la peggiore e la più assurda, ossia l’aver più o meno indirettamente contribuito alla morte prematura della principessa del Galles, la principessa che soffriva, che era bulimica, che chiedeva amore e riceveva porte in faccia (un espediente narrativo potentissimo, dalla notte dei tempi).
Camilla e Diana non potrebbero essere più diverse, e non parlo soltanto da un punto di vista estetico, nonostante – sia messo agli atti – ho sempre ritenuto che la prima non avesse nulla da invidiare alla seconda. Quanto Camilla è risoluta, riservata, e – passatemi il termine – quasi stitica, tanto Diana è insicura, smaniosa di condividere le proprie sventure, in un certo senso diarroica. Camilla è l’amante, Diana è la moglie; Camilla è la realtà, Diana è la favola. «Non voglio essere umiliata e attaccata. E andrà così, se mi metterai in competizione con lei. Perderò. Sono una donna vecchia e sposata. Non sono lontanamente bella o radiosa quanto lei», dice nella serie Camilla (interpretata da Emerald Fennell) al finto Carlo (Josh O’Connor) in uno dei loro scambi più lucidi e struggenti. «Non sono la protagonista di una favola. La gente vuole questo, una favola. E la protagonista di una favola deve aver subito un torto, essere una vittima. Nello scontro tra favola e realtà, vince sempre la favola. Mi sconfiggerà sempre, agli occhi dell’opinione pubblica».
Io, sebbene voglia spesso dare l’impressione del contrario, rimango un’inguaribile romantica. Se mi chiedessero qual è il mio libro del cuore, risponderei senza esitazioni Cime tempestose, guardandomi bene dal citare titoli assai più intellò. Quindi mi ritengo, a ragione, abbastanza sensibile ai tormenti amorosi. La premessa è doverosa, dato che dal mio personalissimo punto di vista (e non solo dal mio, fortunatamente) è Camilla, con Carlo, la prima vittima della faccenda: giudicata «non adatta» dalla famiglia di lui, dunque condannata alla perenne segretezza, malgrado il rapporto a prova di bomba – oltre che una coppia, i due erano (sono) parecchio amici – con il principe del Galles. Fatico a pensare a un destino più miserabile di quello di una coppia a cui viene impedito di stare insieme, e non riesco a colpevolizzare nessuno per aver violato le imposizioni reali, il sacro vincolo del matrimonio o i doveri nei confronti dei figli; e aver cercato un briciolo di felicità in una vita apparentemente fatata, ma in fondo disgraziata.
Camilla Parker Bowles non rilascia interviste, non scrive memoir, è parca con le confidenze (e i confidenti), non fa proclami, non cede al richiamo del compatimento e del pietismo. Sembra conservare un’incrollabile fiducia in quella relazione, una fiducia tale da permettere agli eventi di fare il proprio corso: chissà se dentro di sé ne era consapevole, che questi in futuro le avrebbero dato ragione, chissà se si è schiacciata un cinque alto quando ha sentito Patricia Mountbatten, cugina e madrina del primogenito di Elisabetta, dichiarare che «col senno di poi, possiamo tranquillamente ammettere che Carlo avrebbe dovuto sposare Camilla quando c’era la possibilità. Erano perfetti, ora lo sappiamo. Ma non era possibile, non sarebbe stato possibile. Non allora».
In un triangolo composto da smidollati (Diana che decide di sposarsi malgrado sia a conoscenza che il cuore del futuro marito appartiene a un’altra; Carlo che non ha né l’audacia né il carattere del prozio Edoardo, e non oppone resistenza alla famiglia), la futura duchessa di Cornovaglia pare l’unica non soltanto presente a sé stessa, ma anche scaltra, leale e disincantata. Adesso, a distanza di anni, quella tra Camilla e Carlo si presenta per ciò che è: una delle storie d’amore più incredibili del secolo scorso – nonché dell’attuale – al pari di legami tra il già citato Edoardo e Wallis Simpson, tra Liz Taylor e Richard Burton, tra Johnny Cash e June Carter, tra Katharine Hepburn e Spencer Tracy, tra Heathcliff e Catherine (scusate).
Ultimo, ma non meno importante: Camilla Parker Bowles s’è rivelata assai più royal di qualsiasi royal, pur non essendolo per nascita. Non è mai andata in televisione per sfogarsi dei suoi guai coniugali, non ha mai appesantito il prossimo con le sue opinioni, ha sempre rappresentato un saldo, costante e silenzioso sostegno per l’uomo che ama. Si dice pure che sia una tipa simpatica, un’avida lettrice, una compagnona che non disdegna affatto qualche giro di scotch e le barzellette sporche, e che la sua risata sia fragorosa e contagiosa: non certo un’icona di stile tutta timidezza, occhi bassi e dolenza, ma una donna piuttosto genuina e tenace, che con la commiserazione altrui ci si pulisce le scarpe.
«Non negoziabile», ecco come, nel 1994, il principe Carlo ha dichiarato essere il suo rapporto con Camilla dopo i rispettivi divorzi. Continua a parlare la me inguaribilmente romantica, ma, quando osservo le foto in cui sono ritratti insieme, ho come l’impressione di toccare con mano l’adorazione che hanno nei reciproci confronti, persino a settanta e rotti anni. Non saranno di sicuro gli insulti su Instagram del pubblico medio inattrezzato a sgretolare l’imperturbabile Camilla. Anzi, forse sono proprio gli insulti a rivelare una seccante e scomoda verità: vi preoccupate tanto di lei, perché v’infastidisce che lei – giustamente – abbia avuto le palle di non curarsi mai di voi.