Davanti a Palazzo Reale, tra due teste coronate con spada e armatura, grigie di pietra, si allarga la gigantografia di Maradona, la faccia da ragazzo di strada, la Buitoni, la fascia da capitano, un sorriso incerto. Di quei re normanni, aragonesi, asburgici, borbonici, in pochi ricordano i nomi. La gente urla: “Ahiahiahiahiiiii, maaaagiiico Diegooooo, è triste il mio cuore lontano da teee, io vivo pensaaaaando a teeeee”, la tautologia dell’amore. Sventola una grande bandiera della curva A. Torce elettriche, fiaccole, fumogeni rossi. Sono le 20: a 11 mila chilometri da qui, a Buenos Aires, è iniziato il funerale del più grande calciatore della storia.
Alle spalle della folla, per nove decimi composta da uomini, quasi tutti vestiti di scuro, cellulari e camionette di carabinieri e polizia stanno a rispettosa distanza. Esauriti i fumogeni, consumate le fiaccole e le voci, compagnie di ragazzi si radunano sotto la gigantografia per le foto di gruppo. Nessuno sorride. Un tizio in bombetta e giubbotto arancione dirige il traffico. Si fa passare un cellulare alla volta e scatta per tutti. Dice all’immagine (5 metri la base, 6 l’altezza): “Stasera ti piangono anche le statue dei re”. Poi cambia tono, alza tre dita belle tese sopra la testa: “Questa maglia qua è arrivata a costare 30 mila euro”.
Ma dove?
“Ovunque!”
L’ubiquità.
La ressa si disperde, ora si sentono i gabbiani strillare e sotto l’icona si nota un piccolo trono. Sembra un sedile biancoazzurro da stadio ma guardando meglio si rivela una cassetta della frutta su cui è poggiata una scatola di boccioli dei soliti colori. Sul coperchio sollevato, in bella mostra, un biglietto riporta il nome della ditta e “invenzioni floreali dal 1990”. Tre ceri rossi ardono lì attorno. A turno, gli ultimi rimasti baciano l’immagine: non potendo arrivare alla bocca o alle guance, passano il bacio dalla punta delle proprie dita alla fascia da capitano. Un ventenne appoggiato a un arco del palazzo si copre la faccia e lancia singhiozzi striduli. Gli amici si avvicinano e gli accarezzano la schiena.
Sono le 21, ora del fischio di inizio di Napoli-Rijeka, un lungo applauso risale per i vicoli dei quartieri spagnoli. Le finestre e i balconi si accendono di lumini e candele. “Diego”, un’eco risuona tra i caseggiati. E la sua testa sbuca da tutte le parti. Siamo dentro una locandina di Spike Jonze: Essere Diego Maradona.
Le vetrine dei negozi sono oscurate da poster de “Il Dio del Pallone”. In piazzetta Sant’Anna di Palazzo, l’altare per Maradona è decorato con una bandiera del Regno delle Due Sicilie. Perché? “Qui stiamo” pesta un piede per terra Salvatore, 46, proprietario della pizzeria lì di fronte, che ha costruito l’altare. “Diego era l’ambasciatore del Regno: grazie a lui io posso parlare con milanisti e juventini faccia a faccia”. E mostra dal cellulare foto della casa di Maradona in Argentina. “Guarda aquì”, spagnoleggia. Tutti hanno una foto, un ricordo, un cimelio, un segreto di Maradona che appartiene soltanto a loro, esclusivo, un segno del destino. “Più tardi smonterò l’altare, altrimenti se lo rubano”. Piange: “Pure in paradiso è arrivato prima di Pelé”.
Lungo vico Tiratoio, striscioni appesi alle pareti: “Regalaci un sogno”. Nelle nicchie illuminate delle Madonne sono state inserite fotografie del suo secondogenito con l’iconografia del caso: il pallone attaccato al piede, l’avversario in terra, la grinta sul viso. Lì accanto, santini di Padre Pio che mostra le stigmate. Bandiere biancazzurre stese come panni tra le facciate. Necrologi appiccicati ai muri, nomi autoctoni: Confuorto, Alfano, Varriale. Li piangono i familiari, a volte gli amici. Poi, quello di Maradona, i tratti amazzonici. Stesso font, stesso formato: “Tutta Napoli che piange”.
In via Emanuele De Deo, nel ribassamento che chiunque già chiama largo Maradona, ecco il murales con la maglietta Mars. Una guida rossa si allunga sotto l’immagine, è scandita a intervalli regolari da cinque maglie numero 10. Altri dieci 10 si rincorrono sui fili tirati tra i muri scalcinati. E altri due ancora, stesi sul porfido di fianco alla guida. Fanatismo metrico-decimale, il totale fa 170. Qualche sedia è disposta lì attorno: vecchi e giovani si fermano a rifiatare e singhiozzare. Sotto la tettoia proiettano la partita di stasera. La guarda un gruppetto di cinque o sei bambini, gli adulti sono altrove. Sotto il murales, un grande cuore azzurro è circondato da mazzi di fiori dedicati: dal “Gruppo Piemonte Partenopeo”, dalle “Sorelle Bostik”. Le candele sono griffate “Padre Pio” e “Santo Diego”. Biglietti recitano “Una leggenda non muore mai”, “De Argentina a Napoli un solo corazon”, “Chi ama non dimentica”. E poi “Diez”, “Diez” ovunque. Dieci, l’Intero. Apparso per un attimo, in un altro tempo, visto e toccato, scomparso. Ciro, 61, vende le maglie sotto la tettoia. “Oggi abbiamo passato le cento da mo, ma è più gettonata la Buitoni della Mars”.
La partita sta finendo 2 a 0 per il Napoli. Davanti al San Paolo, dove poche ore prima si è tenuta una fiaccolata di massa, ancora un centinaio di tifosi. Ripetono che lo stadio verrà ribattezzato Diego Armando Maradona. Cantano “Sai! Perché! Innamorato son! Ho visto Maradona, ho visto Maradona” e “Chi non salta juventino è! È!”. La playlist del riscatto. Fuori dal primo anello svetta lo striscione “The King”. Lungo il perimetro ellittico: candele, ceri, sciarpe, foto, magliette. Tutto azzurro. Lo irradiano lontano le linee dei parcheggi a pagamento.
Sull’altare oblungo, a terra, la scritta AD10S è formata da 37 babà. Lutti orografici: “È come se svegliandomi non avessi più il Vesuvio”. Deliri mistici: “Ora dribbla i diavoli e segna in paradiso”. L’educazione sentimentale (in stampatello stentato): “Ciao Diego, papà e mamma mi hanno detto che sei il nostro Re e Dio”. Preghiere laboratoriali: test sierologici positivi – lo scongiuro – e tamponi negativi – l’hallelujah.
La città torna deserta. Lutti vicini, il lutto lontano. È mezzanotte e nove minuti. Un’auto della polizia è ferma con i fari puntati sulla gigantografia di piazza Plebiscito, due agenti, il cappello in mano, si scattano un selfie davanti a Maradona illuminato.