La notte milanese come non era mai stata raccontata, addirittura nemmeno mai interpretata: una cartina di tornasole di una società e dei suoi mutamenti lungo 40 anni di divertimento sì, ma anche di storia, politica, costume. La notte diventa cultura e, letta nel modo giusto, occasione di riflessione unica e irripetibile sui fenomeni di ogni epoca, perché i locali sono prima di tutto luoghi di incontro, zone franche in cui il giudizio finalmente si sospende e domina lo scambio di idee, che spesso si trasformano in tendenze sociali. E a volte in rivoluzioni.
Sono in lista, il documentario firmato RS Productions (disponibile su ITsART dal 22 febbraio), è un manuale pop della culture club milanese dove non mancano aneddoti pazzeschi à la Mickey Rourke che si nasconde dietro i paraventi, Grace Jones che arriva piangendo per il fidanzato italiano del momento o il batterista dei Sepultura che, geloso della moglie, stacca infuriato la balaustra delle scale. Ma è anche una prospettiva di analisi inedita, grazie a cui leggere i cambiamenti di un Paese attraverso la città che da sempre corre più veloce di tutte: Milano.
Che è soprattutto il simbolo degli Eighties, del secondo boom, è la capitale degli Yuppies, la Milano da bere, ma anche quella da ballare. E il Plastic è il locale alternativo per eccellenza, dove incontrare Keith Haring, Madonna, Maradona, Moana Pozzi («che chiedeva sempre Hurricane di Bob Dylan», ricorda Nicola Guiducci), Elio Fiorucci, Giorgio Armani, Andy Warhol. Dove, semplicemente puoi essere libero di essere quello che sei, quello che vuoi.
Scritto su soggetto di Stefano Fontana e raccontato da Alberto Scotti, con la regia di Andrea Paulicelli e la direzione creativa di Dreamers&Makers e di Fabio Andreini, Sono in lista ripercorre cronologicamente vita, opere e miracoli del clubbing milanese, puntando fortissimo sulle testimonianze dei suoi protagonisti, a partire da istituzioni come Claudio Cecchetto e Joe T. Vannelli. Dagli anni di piombo, quando per pionierismo e voglia di evasione da quel lato oscuro nascono le prime discoteche – da subito melting pot di economia, moda, musica, finanza, arte, radio, sport e televisione – alla golden age della vita notturna, quegli anni ’90 in cui tutto sembra possibile, dove il popolo dei fighetti si contrappone a quello dei centri sociali che accendono una scintilla contro il sistema.
Ci sono i ricordi vividissimi di Ringo che organizza gli after party per Prince e invita Billy Idol all’Hollywood, i racconti di Obi Baby sul Pervert: «A serata inoltrata trovavi una decina di persone stese per terra che leccavano tacchi e piedi in un clima di assoluta tranquillità che nessuno dei club italiani poteva garantire». Nella successione veloce e ritmata di testimonianze, video e raccordi a dare il senso del tempo (e dei tempi) si parla di crisi della cultura, di barriere sociali e convenzioni che crollano, di inclusione, che con il nuovo corso portato alla night life da Marcelo Burlon diventa la parola d’ordine. E poi la Milano dei tavoli costosi, dei privè, delle liste e dei dj superstar. Perché Milàn l’è un gran Milan sì, ma ci sono anche nuove povertà e diseguaglianze sociali sempre più accentuate. Il bello della notte però è che c’è sempre una giustizia di fondo, una sorta di democrazia che in qualche modo livella. Fino a immaginare un futuro per Milano che ogni volta, sotto cassa, trova forse l’interpretazione più popolare di quello che è: tutto. Per tutti.