Ci sono artisti che, a loro modo, fanno scelte coraggiose e che, per questo, al di là dei gusti di ognuno, meritano rispetto. Se non altro per il loro background. Shalpy, quando il nome era ancora Scialpi, ha tirato fuori hit che hanno segnato un’epoca, quella degli anni ’80: si parla di titoli che vanno da Rocking Rolling a No East No West fino a Pregherei e Cigarettes and Coffee. Brano, quest’ultimo interpretato anche da Mina (oltre che da Tiziano Ferro).
Insomma, parlare dell’universo Shalpy non è semplice. Ora lo vediamo arrabbiato sui social perché sente di aver subito un’ingiustizia (della quale parlerà in questa intervista), ma la sua delusione ha radici nel passato e in una carriera costellata (anche) di incursioni nel mondo del teatro e della tv come abbiamo visto a Music Farm e Pechino Express.
Per questo motivo, ora che ha fatto uscire la ballata natalizia Let It Snow, con l’obiettivo di sbarcare oltreoceano, non si capacita del perché non sia considerata da una parte dei media. Ma andiamo con ordine.
Shalpy, partiamo da Let It Snow, il brano che, come da tuo post del 15 giugno, segna il tuo ritiro dalla musica.
Ho detto che smetterò di essere indipendente, che non farò più canzoni da indipendente. Dal 1992 faccio dischi da indipendente. All’epoca era ancora sostenibile, adesso per me è diventato impossibile: ci sono quattro ragazzini che fanno musica e poi ci siamo io e Renato Zero. Lui la pubblicità se la fa perché va da Mara Venier e i suoi amici giustamente gli danno spazio. Io, che sono degli anni ’80, sono un pesce fuor d’acqua.
Come mai?
Lo sono sempre stato per carattere, per scelte musicali, per modo di essere. In questo momento ancora di più. E non accetto i soprusi e le discriminazioni, che si possa essere trattati in modo diverso. Tanto è vero che ho fatto, insieme al mio ex marito, la guerra per i DDL (per la legge sulle unioni civili, nda), con la Cirinnà e Scalfarotto, a casa ogni sera a mangiarsi miele, pere e formaggio per spiegarmi la legge in modo che, quando andavo a Porta a porta, Presa diretta, Un giorno da pecora, La zanzara, L’aria che tira fossi talmente pronto da sapere rispondere. Forse questo status di essere fuori dal gregge ce l’ho sempre avuto.
Ma veniamo a Let It Snow, la tua canzone natalizia.
Da tre anni vivo tra Los Angeles e Roma perché ho un affetto e casa là. Vivo sei mesi qua e sei mesi là, almeno prima di questo virus. Nel lockdown sono partito l’11 febbraio e fino a maggio non sono più tornato. Anche in America c’era una specie di lockdown, perché il sistema sanitario è diverso, conviene non ammalarsi se non si ha una buona assicurazione.
Quindi cosa hai fatto, in quel di L.A., con Let It Snow?
Stando là, non avendo il mio lavoro di concerti e di serate, siccome non ammiro nessuno, tranne una cantante con gli attributi che è Cher, volevo che lei la cantasse. E visto che vivo a West Hollywood e lei a Malibu, ho provato a contattarla in vari modi. Sono stato io come artista a volerla contattare, come si dovrebbe fare da artista ad artista, non passo attraverso agenzie. Ho chiesto pure a Eros Ramazzotti, che mi ha risposto immediatamente. Che carino, una persona deliziosa.
E com’è andata?
Mi hanno detto, scherzosamente, che è impegnata post mortem. Si è solo limitata a mettere un “ciao” su Twitter e questo mi è bastato come messaggio subliminale. È già una cosa soddisfacente. In Italia, se ne sarebbero visti bene i miei colleghi artisti. Proprio quello che è accaduto a me al Tg2.
Che cos’è successo?
Quando è uscito il video di Let It Snow, l’ufficio stampa ha mandato una richiesta di far uscire la notizia della canzone di Natale internazionale, spedita in tutte le radio del mondo. Il mondo non sa che io esisto, ma la canzone esiste a prescindere da me. Il mio business è quello di andare in America, andare dall’editore. Il produttore e chitarrista, Kenny, mi ha detto che, se la canzone venisse presa in un film o in una pubblicità, avrei vinto. Lui non era d’accordo che uscissi quest’anno, ma da italiano orgoglioso volevo uscire a tutti i costi. Voglio fare questo passo per cambiare, per trasformarmi in un’altra cosa: Let It Snow mi porta in una situazione più grande, meno italiana dove posso sentire il pezzo in una radio russa, dell’America latina, degli Stati Uniti. Il brano di Natale ogni anno lo puoi tirare fuori e conto, il prossimo anno, di avere le spalle coperte, quindi non più fuori dal sistema da indipendente. O meglio, da indipendente non in Italia, ma negli Stati Uniti dove esserlo è la normalità: fai l’accordo con l’editore e la discografica, i soldi sono tuoi, dai loro una percentuale, e loro fanno il lavoro che devono fare.
Non ti ritiri più, quindi?
In Italia non faccio più niente, se non spende qualcun altro i soldi per me.
Ok, ma quindi come cantante non ti ritiri più.
Non ho mai che detto che mi sarei ritirato come cantante. Ho detto che, per esigenze, la mia ultima canzone sarà per fine anno. Dopodiché mi ritirerò dalle scene, una cosa del genere…
Dopo un periodo di grande travaglio dovuto a numerose cause ho finalmente preso la decisione di ritirarmi dalla musica alla fine del 2020. pic.twitter.com/UwjGFom95j
— SHALPY (@scialpi) June 15, 2020
Ma hai scritto anche che continuerai a fare spettacolo. E come si fa se ci si ritira?
C’è gente che fa le marchette tutti i giorni in tv, io dico dei no ogni giorno. Ho detto di no anche l’anno scorso al Grande Fratello con Signorini. Per cui, insomma, si esiste uguale. E poi esistono il tempo e gli eventi: Let It Snow ha cambiato il corso dei pensieri. La canzone è bellissima, piace tantissimo, ha dei riscontri timidi anche dall’estero e ti cambiano anche le prospettive. Solo gli scemi non cambiano idea. Io, non appena aprono l’America, ci torno, sto dal mio partner, probabilmente mi sposo e con Kenny cerchiamo un editore, la discografica per tentare di fare diventare Let It Snow un’operazione internazionale con un budget. Poi voglio andare da quelli del Tg2.
Ma che ti hanno fatto?
Intanto l’indifferenza verso una persona che – non dovrei vantarmi, ma lo faccio – ha scritto pezzi storici come Cigarettes and Coffee, Pregherei, Rocking Rolling, Il grande fiume. Gli ultimi pezzi meno per una questione di soldi, come con Pettirosso. In quel caso, tra l’altro, ci fu un grande casino con Conti che l’anno prima mi ha chiesto di iscrivermi a Sanremo perché gli piaceva la canzone e l’anno dopo nemmeno mi ha risposto. Ma lì non era colpa di Carlo Conti, lì era colpa di qualcuno che evidentemente metteva i bastoni fra le ruote: mi ha cancellato da Domenica In, con Paola Perego che non lo sapeva, i miei fan erano incazzati e ho dovuto difenderla. Per tutto ciò che ti sto raccontando, che è una parte, non la faccio passare questa del Tg2: siamo sul servizio pubblico e voglio sapere con che criterio vengono scelti i personaggi, perché stranamente appartengono solo alle multinazionali.
Per gli artisti le canzoni sono come figli e ognuno crede fermamente nei progetti che porta avanti. Detto questo, è anche vero che molti indipendenti hanno avuto spazio sulla tv pubblica.
Ma dipende quando, io so parlando in questo momento, in questo ultimo mese. Ho mandato il file con tutto il materiale, non mi hanno risposto. Roba da andare all’Ordine dei giornalisti, questa è omissione parziale del lavoro. Vado avanti perché per me è una discriminazione.
Posso comprendere il rammarico, vista la carriera che hai, ma la scelta di cosa mettere in onda dipende da tante variabili. Basta guardare alle radio: molti artisti conosciuti, come te, magari pure con major alle spalle, faticano a farsi trasmettere.
Alle radio non ci faccio più caso da secoli. Si sa che i network passano la musica se viene inclusa in un pacchetto con un budget. Tutto questo è stato distrutto dalle radio web, tanto è vero che lì mi trasmettono.
Parliamo d’altro. Questa estate in un articolo apparso sul Mattino hai incluso Tiziano Ferro tra le persone che definisci “gentaccia”. Eppure lui è uscito con la cover della tua Cigarettes and Coffee. Come ti è sembrata?
L’ho trovata interpretata a modo suo, non mi ha chiesto se poteva farla oppure no. Vige questa etica di chiedere se poter fare un pezzo oppure no. Mina a me lo ha chiesto, tramite Massimiliano Pani. Fa la differenza. Morgan uguale, mi telefonò e mi disse che voleva farlo fare ai suoi concorrenti durante X Factor: per lui è la canzone più bella del secolo scorso. Di Ferro ho sentito la versione e devo dire che a tratti mi è piaciuta. Forse, se fossimo stati amici e se fossimo stati più a contatto, facendola insieme… Diciamo che, per me, c’è al 70% forse sarei riuscito a fargliela fare al 100%, la mia canzone come autore, è ovvio.
Chi sono gli artisti che ti hanno dato una mano?
Una marea: da Gerry Scotti a Mauro Coruzzi, che ha fatto passare Let It Snow su Radio Parma, Vasco che tutte le volte che mi vede mi fa il sorriso da sornione.
Hai presentato qualche brano a Sanremo 2021?
Assolutamente no. Che lo faccio a fare? Mi prenderò la rivincita in altro modo, creando il business fuori dall’Italia. Sarebbe una bella soddisfazione.
Chi sei adesso e cosa vuoi fare?
Sono uno Shalpy che ha appena finito una canzone bellissima che gli ha dato tanta fiducia. La mia magia e il mio focus sono ancora integri nella voce, nel pensiero, nel testo e nella musica. Si apre un capitolo nuovo, in un Paese nuovo, con dinamiche nuove. Ho già intenzione di produrre la canzone Music Is Mine con Kenny, in versione pop-rock. Vista che è venuta così semplice, con Kenny vorrei continuare questo connubio per dare all’editore due, tre pezzi. Il mio futuro è quello, non è certo stare a combattere col Tg2.