Cosa c'è dietro alle enormi manifestazioni in Polonia | Rolling Stone Italia
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Cosa c’è dietro alle enormi manifestazioni in Polonia

Nate per fermare la nuova legge sull’aborto, le proteste si sono allargate a tutto il Paese, con i giovani in prima linea. L’obiettivo? Far cadere il governo di destra. Ne abbiamo parlato con l’attivista Karolina Micula

Cosa c’è dietro alle enormi manifestazioni in Polonia

Foto: Antek Mantorski

«Siamo in guerra». A dirlo sono le attiviste e gli attivisti di Strajk Kobiet, il movimento da noi noto come Women’s Strike, cui aderiscono ormai persone di ogni sesso ed età e che da quattro anni sta scendendo in piazza contro il governo sovranista-clericale guidato da Legge e Giustizia (Prawo i Sprawiedlywosc alias PiS), in carica dal 2015. Non è una mera provocazione: se la protesta è nata in opposizione all’annunciato irrigidimento della legge sull’aborto – legge che in Polonia è già molto restrittiva, consentendo l’interruzione di gravidanza solo in caso di pericolo di vita per la donna, stupro e grave malformazione del feto –, oggi lo scenario è cambiato e sono centinaia di migliaia i cittadini che si battono non più solo per i diritti delle donne e per una normativa meno severa sull’interruzione di gravidanza, ma per un obiettivo ben più ambizioso: ottenere le dimissioni dell’attuale maggioranza di destra sostenuta dal Presidente Andrzej Duda, capeggiata dal premier Mateusz Morawieki e che vede in Jarosław Kaczyński il suo uomo forte.

Nel 2016 fu lui a lanciare l’avvertimento: «Faremo di tutto per garantire che anche i casi di gravidanze molto difficili, quando è certo che il bambino nascerà con gravi deformazioni per poi morire, finiscano comunque con un parto, in modo tale che quel bambino possa comunque essere battezzato e seppellito». In effetti, dopo una serie di manovre in questa direzione appoggiate dai movimenti pro-life, lo scorso 22 ottobre la Corte Suprema polacca – da circa un anno controllata dall’esecutivo secondo uno svuotamento del potere giudiziario che è valso alla Polonia una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea – ha dichiarato incostituzionale la parte di norma sull’aborto che rende quest’ultimo legale in caso di grave malformazione del feto. Da quel giorno le proteste sono letteralmente esplose, racconta Karolina Micula, cantante, performer ed esponente di Strajk Kobiet/Women’s Strike sin dalla sua fondazione: «Il 21 ottobre, prima del fattaccio, mi trovavo con un gruppo di artisti e attivisti proprio di fronte alla Corte, dove abbiamo letto alcuni passi de Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (romanzo distopico del 1985 che indaga i mezzi usati dalla politica per asservire il corpo femminile ai propri scopi; nda). Ebbene, 24 ore più tardi è uscita la notizia di quella sentenza, peccato che per noi non abbia alcun valore, essendo il tribunale che l’ha emessa illegale. Tant’è che il 22 eravamo di nuovo là davanti alla Corte, da dove abbiamo marciato verso la residenza di Kaczyński, il leader del PiS. Non ci siamo più fermati, da allora siamo scesi in piazza più o meno ogni tre giorni, ma anche quando non siamo in strada facciamo sentire la nostra voce ovunque e con ogni mezzo: la lotta contro la legge anti-aborto è diventata il simbolo di una battaglia per la libertà».

Karolina Micula. Foto: Antek Mantorski

La caduta del governo: è questo a cui puntano oggi in Polonia non solo il Women’s Strike e le femministe, ma associazioni, categorie e cittadini di ogni categoria uniti dal fulmine rosso, simbolo iconico della protesta ideato dalla graphic designer Ola Jasionowska. «Da quel 22 ottobre il profilo Instagram di Strajk Kobiet è passato da seimila seguaci a quasi mezzo milione, e lo stesso è avvenuto su Twitter, su Facebook: i contatti sono aumentati di dieci volte in poche settimane», continua Micula. «Senza contare le migliaia di messaggi che gruppi sociali molto diversi ci hanno inviato e ci inviano per esprimerci il loro supporto e il loro scontento nei confronti del governo. Tassisti, medici, attivisti LGBTQ+, studenti, agricoltori, imprenditori… In breve tempo una rivolta focalizzata su una singola istanza si è trasformata in una vera e propria rivoluzione. Sì, una rivoluzione politica e socio-culturale, che vede in prima linea le nuove generazioni, un’enorme schiera di giovani e giovanissimi per i quali Kaczyński non è che un meme di Internet inaccettabile perché totalmente fuori dalla realtà».

Fino a qualche mese fa il Paese era spaccato in due: lo scorso luglio la rielezione di Andrzej Duda, il Presidente della Polonia espressione del PiS riconfermato con il 51,21% dei voti, è avvenuta grazie a una maggioranza di over 50, laddove due terzi dei 18-29enni hanno votato per il liberale Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia. Ma da allora, scendendo in piazza a più riprese e con folle sempre più numerose, i manifestanti hanno messo in difficoltà il governo: non è un caso che la pubblicazione della suddetta sentenza sulla Gazzetta ufficiale originariamente prevista entro il 2 novembre sia stata rinviata (ed è solo con tale pubblicazione che le modifiche alla legge sull’aborto volute dalla maggioranza entrerebbero effettivamente in vigore). Inoltre, se è vero che Kaczyński potrebbe tentare nuove mosse attorno a Natale, è pur vero che secondo i sondaggi avrebbe già perso consenso e che Strajk Kobiet ha ormai dalla sua una forza organizzativa in grado di agire non solo a Varsavia, ma – spiega Micula – «in 600 punti del Paese». E con obiettivi concreti: «Abbiamo dato vita a un consiglio consultivo che sta lavorando su 14 sfere d’azione: educazione, cambiamenti climatici, diritti delle donne, diritti LGBTQ+, libertà di stampa, diritti dei disabili, antifascismo, diritti dei lavoratori, riorganizzazione del sistema psichiatrico, ristrutturazione del sistema sanitario, ruolo della legge, diritti degli animali, cultura, secolarismo. Temi su cui stiamo raccogliendo proposte di esperti elaborate sulla base delle rivendicazioni dei cittadini. L’obiettivo è capire cosa fare per portare la Polonia fuori dalla situazione in cui si trova, perché il Paese non è solo soggiogato da un governo fascista che non rispetta né i principi democratici né i diritti civili, ma è anche paralizzato, e il modo in cui si sta affrontando la pandemia non sta che aggravando le cose. In questo contesto il consiglio consultivo è un organo partecipativo costruito dal basso, cui il prossimo governo dovrà fare riferimento».

Foto: Antek Mantorski

È con questa sorta di think tank che Strajk Kobiet spera di ampliare la protesta fino a spingere il PiS a mollare la presa. «Il governo sta sfruttando il Covid come scusa per tenerci a casa, ma non riusciranno a fermarci», sentenzia Micula ricordando che alla recente manifestazione del 13 dicembre a Varsavia si sono uniti anche imprenditori e contadini: «La verità è che il movimento sta continuando a crescere». E questo a dispetto delle violenze della polizia, che negli ultimi due mesi sono diventate più brutali. «Dall’inizio di novembre la pandemia è diventata una giustificazione per ricorrere a tecniche di contenimento che creano solo tensione, visto che quando riempiamo le strade le forze dell’ordine ci intimano di andare a casa nel momento stesso in cui ci accerchiano senza lasciarci vie di fuga. La polizia ha anche iniziato a utilizzare spray al peperoncino contro i manifestanti, spesso costretti a scappare passando da cortili privati, aiutati dagli abitanti dei quartieri. In più ci sono stati arresti e casi di persone manganellate mentre manifestavano in maniera pacifica». Ma questo non ha fatto che aumentare la solidarietà attorno al movimento: «Da più parti sono spuntati collettivi anti-repressione formati da comuni cittadini e da avvocati che collaborano con noi gratuitamente». Una rete contro un livello di aggressività che non risparmia nemmeno i più giovani. «Una settimana fa a Varsavia, durante un raduno davanti a una stazione di polizia, le forze dell’ordine non sono intervenute, ma quando la maggior parte della gente è tornata a casa, inclusi fotografi e giornalisti, i poliziotti si sono presentati con spray e manganelli per accanirsi contro gli ultimi rimasti: una trentina di adolescenti o poco più. A quel punto non c’era nessuno che potesse filmare quanto stava accadendo e una diciannovenne che si occupa del canale Telegram che usiamo per comunicare tra noi è rimasta ferita a un braccio in quattro punti, ha dovuto essere operata e le sono stati diagnosticati tre mesi di riabilitazione. Questo, però, solo grazie a un deputato dell’opposizione che è giunto sul posto e l’ha portata in ospedale – per fortuna ci sono politici che ci supportano –, perché dopo averla picchiata la polizia l’aveva semplicemente messa su una camionetta e mollata lì».

La voce si spezza, ma «tutti devono sapere», prosegue Micuła rammentando un altro caso avvenuto nel piccolo comune di Krapkowice: «Un quattordicenne ha scritto su Facebook di un’azione di protesta e la polizia si è presentata a casa sua dicendogli che se avesse partecipato lo avrebbe sbattuto in galera per anni. Una stronzata per spaventarlo, ma ciò non toglie che sia gravissimo che si colpiscano adolescenti e in località così piccole, dove tutti si conoscono e dove per difendere i propri diritti serve ancora più coraggio. Ma noi quel coraggio lo proteggiamo: abbiamo attivato un help desk, una linea telefonica nazionale più altri numeri locali per il sostegno dei manifestanti minacciati, maltrattati o picchiati, e stiamo raccogliendo finanziamenti per fare in modo che anche nei luoghi più isolati gli attivisti ricevano megafoni, casse, poster e tutto ciò che può essergli utile». Lei, Karolina, si occupa in particolare della comunicazione su Instagram e di organizzare performance artistiche. «Per esempio flashmob che suggeriamo di mettere in piedi nelle varie città polacche, sempre rispettando l’autonomia degli attivisti locali, sia chiaro. Marta Lempart è la nostra esponente più in vista, ma non c’è una gerarchia, non esiste un gruppo di donne a Varsavia che dice alla gente come manifestare: si tratta di far circolare idee per rendere la protesta più efficace». La premessa è che «più persone scendono in piazza, più si è al sicuro». E che «più la protesta è coinvolgente, più la gente avrà voglia di partecipare».

Foto: Antek Mantorski

È qui che entra in gioco la creatività come arma e allora ben vengano le performance artistiche come quelle raccontataci dalla cantautrice Misia Furtak, messe in scena tra ottobre e novembre in un condominio che a Varsavia è un monumento architettonico, lo Szklany Dom, di fronte alla residenza di Kaczyński. «A 400 metri di distanza, dall’altra parte della strada, i proprietari di alcuni appartamenti hanno aperto le loro case a vari artisti per farli esibire dalle finestre. Si è partiti il 31 ottobre con l’opera polacca Dziady, mentre il 28 novembre, 102esimo anniversario dell’introduzione del suffragio femminile in Polonia, è toccato a Manifesta, pièce-concerto di Zofia Krawiec durante la quale ho intonato una preghiera elencando i motivi per cui in passato le donne sono state accusate di essere streghe. Secondo quanto riportato da Gazeta Wyborcza, la polizia avrebbe in seguito chiesto ai proprietari di quegli appartamenti se volevano segnalare eventuali disturbi, ma hanno rifiutato tutti». Non manca lo spazio per idee spassose, studiate ad hoc per “trollare” la polizia, afferma Micula: «Ne abbiamo a bizzeffe, i giovani polacchi hanno grande inventiva! Durante il corteo del 13 dicembre, essendo quel giorno l’anniversario della legge marziale introdotta in Polonia dal regime comunista nel 1981 per tentare di schiacciare l’opposizione politica e Solidarność, alcuni ragazzi si sono travestiti da Zomo e Milicja (le formazioni paramilitari e la polizia della Repubblica Popolare di Polonia dipendente dall’URSS; nda). E dato che la polizia durante le manifestazioni usa megafoni per dirci che protestare è illegale e cazzate simili, abbiamo registrato dei messaggi di risposta che diffondiamo con i nostri megafoni con sotto, a mo’ di jingle, la musichetta del film Scuola di polizia». Ride, ma la questione è seria: «Siamo convinti che gridare le nostre rivendicazioni sia importante, ma che soprattutto per i più giovani sia fondamentale farlo ballando, cantando e divertendosi. Come diceva l’attivista anarchica e femminista Emma Goldman negli anni Trenta, “se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione!”. Allo stesso modo se quei ragazzi e quelle ragazze ballano è perché sanno che in ogni caso il futuro è loro».

Naturalmente nell’ambito di una rivolta nata all’insegna del femminismo anche il corpo può farsi strumento di protesta, le Femen insegnano. Così Karolina, attrice e cantante, per l’International Women Strike dell’8 marzo 2017 è salita sul palco senza maglia né reggiseno, verniciata di bianco e rosso, i colori della bandiera polacca. «Mi ha ispirata un brano punk polacco del 1988, Arahja dei Kult, che parla del Muro di Berlino. “La mia casa è divisa da un muro”, recita il testo, “il mio corpo è diviso da un muro”. Da un lato l’intento era performativo e simbolico: in alcuni punti del mio corpo il rosso e il bianco si mescolavano. Dall’altro volevo mostrare che il corpo è mio e solo io posso decidere come usarlo. E non c’è niente di controverso in questo, semmai è discutibile che il governo voglia decidere cosa fare di quel corpo, del mio utero». Il corpo come messaggio, dunque. «E come mezzo per esprimere solidarietà», dichiara Micula, spogliatasi anche durante una delle proteste d’inizio novembre: «Lo ha fatto una ragazza del Women’s Strike che ha subìto una mastectomia urlando “ho lottato contro il tumore, ora voglio lottare contro il governo”, e allora l’ho fatto anch’io. È stato un gesto di sorellanza e di gesti del genere non se ne vedevano così tanti quattro anni fa. Ma adesso è diverso: siamo tanti e siamo uniti da un motto: “Nessuno camminerà mai da solo”».

Foto: Antek Mantorski

In tutto ciò non si può dimenticare il ruolo della Chiesa cattolica polacca, che pur in difficoltà per gli scandali legati a casi di pedofilia messi in luce anche dal documentario Giocare a nascondino dei fratelli Tomasz e Marek Sekielski, uscito quest’anno, è ben ramificata sul territorio tramite le parrocchie e tutt’altro che estranea alla sfera politica. «Chi attacca la Chiesa, attacca la Polonia», è uno degli slogan di Kaczyński. «Al momento la chiesa ricopre un ruolo di primo piano nel governo e non certo per motivi religiosi, ma per brama di potere e denaro», fa notare Micula. «Un problema non da poco perché le istituzioni cattoliche fanno propaganda nelle scuole con programmi di educazione sessuale non laici che oltretutto incitano alla discriminazione di gay, lesbiche e di tutta la comunità LGBTQ+. E questo con il supporto di Ordo Iuris, organizzazione fondamentalista cattolica che ha membri nella stessa Corte costituzionale e nei partiti conservatori che sostengono la maggioranza al potere».

Non è che una delle denunce che Micula auspica di far arrivare a più persone possibili anche fuori dalla Polonia, oltre che all’Unione Europea: «Credo che far parte dell’UE sia un vantaggio per noi attivisti e manifestanti, è grazie a quell’appartenenza che in Polonia la repressione del dissenso non è al livello di quella in atto in Bielorussia. Ma bisogna sapere che il governo polacco non sta rispettando i principi democratici, basti pensare al recente acquisto di un grosso gruppo editoriale, Polska Press, da parte di un’importante compagnia statale». Tutto vero: lo scorso 7 dicembre l’azienda petrolifera di Stato PKN Orlen ha annunciato l’acquisto del gruppo Polska Press dalla società tedesca Verlagsgruppe Passau, operazione che porterà 20 dei 24 giornali regionali polacchi, quasi 120 settimanali locali e 500 siti web sotto il controllo statale, tesa ufficialmente a “ripolonizzare” il sistema dell’informazione per rafforzare il mercato dei media ed espandere i big data in mano al Paese. «Ma è palese che l’intenzione è di limitare la libertà di stampa», chiosa Micula. Nel frattempo il Parlamento UE ha bloccato i fondi del Recovery Fund per i Paesi che non rispettano lo Stato di diritto. Cosa comporterà tutto questo lo capiremo nei prossimi mesi. «Di certo in Polonia il governo cadrà, non può essere altrimenti».