Gianmarco Saurino Unveiled | Rolling Stone Italia
Interviste

Gianmarco Saurino Unveiled

Il ruolo di Dottor Bollore (cit. Rolling Stone) nel supersuccesso ‘Doc – Nelle tue mani’. Ma anche l’amicizia (e la 'rivalità' social) con Pierpaolo Spollon, il lavoro d’attore, le scommesse sul futuro. E quella foto in bagno…

Gianmarco Saurino Unveiled

Gianmarco Saurino in un ritratto di Serena Salerno

Nemmeno il tempo di porre la prima domanda e Gianmarco Saurino si versa un bicchiere di vino: «Sono pronto, spara». Il ragazzo – star di Non dirlo al mio capo, Che Dio ci aiuti e soprattutto del colosso dell’annata Rai Doc – Nelle tue mani, nonché Best Friend Forever di Pierpaolo Spollon, alias il collega Riccardo Bonvegna nella serie, anche fuori dalla “corsia” – ha subito capito l’antifona: questa non sarà la solita intervista impostata. Manco per nulla. Quindi lui sorseggia e io, dall’altro capo della cornetta, “sparo”.

Partiamo subito dalle cose importanti: se il tuo personaggio, il dottor Lorenzo Lazzarini, non torna nella seconda stagione di Doc, qui a Rolling Stone siamo pronti a lanciare una petizione su Change.org
Lo so, lo avete scritto persino in un articolo, ed è il complimento più bello che ho ricevuto in vita mia! (ride) Credo che la mia autostima potrebbe schizzare a quattromila, se potessi inserire nel curriculum: “Petizione su Change.org per avermi in Doc 2”. Anzi, sai che ti dico? Nel dubbio, lanciamola.

Vuoi forse dire che non sei stato ancora convocato?
Non posso svelare nulla… La notizia è top secret. Naturalmente spero di esserci.

Con 8 milioni di spettatori, Doc si è imposta come la serie tv dell’anno. Qual è stata la chiave vincente? A parte te e Spollon, ovviamente…
Appena ho letto la sceneggiatura, io e Spollon continuavamo a ripetere che era una storia fortissima, pazzesca. Può suonare come un’osservazione banale, ma non lo è, perché purtroppo a volte quello che manca alle nostre fiction è proprio la forza narrativa. Doc invece poteva vantare una materia incandescente, viva. Il fatto poi che si ispirasse a una storia vera dava una marcia in più, e la presenza di due registi come Jan Maria Michelini e Ciro Visco ha fatto il resto. Detto questo, ammetto di aver avuto un po’ di dubbi quando ci hanno comunicato che saremmo usciti a marzo, in piena pandemia, con le puntate spezzate a metà: la gente è abituata a scolarsi le serie tv in due giorni, e in quel periodo in tv si parlava sempre e solo di medici e ospedali. Invece il punto di forza di Doc è stato proprio questo: raccontare i dottori come esseri umani. Far capire al pubblico il peso di quel camice (perché ce l’ha, ed è enorme!) e al contempo mostrare l’uomo che si nasconde dietro al professionista.

Doc avrà anche una versione americana. Concorderai che solo Eric Dane, ossia il Dottor Bollore di Grey’s Anatomy, può prendere il tuo posto?
Posso dirti la verità? Non conoscevo Grey’s Anatomy

In quale dimensione parallela hai vissuto finora?
Per prepararmi al ruolo avevo visto altri medical, come Scrubs e The Good Doctor. Quando poi voi di Rolling Stone avete iniziato a paragonarmi al dottor Bollore, ho detto: «Fammi anda’ a vede’ chi è questo!». Lì ho capito che si stava parlando di un figo assurdo… Quindi se scelgono Dane per Lorenzo, alzo le mani: mi va benissimo!

Gianmarco Saurino è il dottor Lorenzo Lazzarini in ‘Doc – Nelle tue mani’. Foto: Rai

Di solito siamo noi italiani a realizzare i remake delle serie americane, non viceversa. Quanto è importante che la fiction vada oltre il genere crime, per guadagnare sempre più terreno e credibilità all’estero?
È sicuramente un periodo molto positivo per la serialità italiana. L’avvento delle nuove piattaforme ha spinto le reti generaliste ad alzare ancora di più la qualità delle proprie produzioni, allineandosi agli standard internazionali. Di riflesso ci stiamo aprendo a nuovi generi: penso al medical drama, ma anche a una serie che ho amato all’infinito come Romulus. Non lo dico solo perché mio fratello ci ha lavorato come montatore: dieci anni fa chi avrebbe scommesso su una serie tv in protolatino? Nessuno. Qualcosa si muove nel nostro settore, anzi parecchie cose si stanno muovendo, e tutto ciò è particolarmente stimolante per noi attori che siamo messi, sempre di più, alla prova. Lorenzo è stato un ruolo difficile per me: se interpreti un medico, non puoi prescindere dalla professionalità. Per questa ragione, prima di girare abbiamo trascorso diverso tempo in ospedale, fianco a fianco con i medici: bisogna calarsi nell’atmosfera per essere credibili.

Mi auguro che tu non sia né ipocondriaco né impressionabile.
Per fortuna no, anche se non sono un fan degli ospedali. Non che esistano persone che ci vadano volentieri, ma per ragioni familiari anche solo la vista di quel luogo mi appesantisce. Non ero quindi pronto per quello che mi aspettava. Il primo giorno di training mi immaginavo una roba, che ne so, teorica: una sorta di tour dove tu ti siedi e loro ti spiegano. Invece appena arrivato mi hanno ficcato in sala operatoria. Lì, dopo solo mezz’ora, ho visto del sangue (del sangue vero!) schizzare fuori dalla schiena di uno: mi veniva da svenire. La dottoressa si è girata e mi ha detto: «Se devi sveni’, siediti per terra, perché (se resti in piedi, nda) la botta è forte». Ho assistito anche a un sacco di conoscopie…

Da lì, dunque, hai capito che volevi fare proprio l’attore e non il medico, giusto?
Io medico? Mai! Mio padre forse sperava che, su tre figli, almeno io lo diventassi. Ma solo lui ha accarezzato questa idea.

Doc nasce come il medical drama di Luca Argentero novello George Clooney, poi di fatto è diventata una serie corale e tu e Spollon vi siete presi tutta la scena. Vuoi approfittare di questa intervista per dire qualcosa ad Argentero e consolarlo della disfatta? Giovani battono “vecchia” star?
Luca, occhio che stiamo arrivando… (ride) In realtà Argentero non ha assolutamente bisogno di essere consolato: ha fatto una prova attoriale strepitosa ed è un professionista pazzesco. Il successo mio e di Spollon è stato del tutto inaspettato. Nel mio caso, poi, Lorenzo si poneva inizialmente in un modo per certi versi piacevole: era il medico bravo, quello figo, che conquista tutte le specializzande. Insomma, l’uomo che non deve chiedere mai. Nel momento però in cui entra in scena la sorella, il suo arco narrativo evolve: ha un down e il mondo gli crolla sotto i piedi. Come fa, sbaglia. Mi chiedevo se, agli occhi del pubblico, questa svolta potesse piacere, ed è stato commovente vedere che è stato così. Gli spettatori hanno empatizzato con le sue fragilità.

Dài, alla fine però gli è andata di lusso: nessun guaio disciplinare, nessuna radiazione. Si è semplicemente autosospeso prendendosi un’aspettativa. Gli sceneggiatori di Doc hanno ceduto al lato oscuro del buonismo, tipico della nostra fiction, o li hai semplicemente corrotti tu?
Gli sceneggiatori mi vogliono molto bene (ride)… È vero, le fiction italiane tendono sempre verso l’happy end, e su questo aspetto c’è ancora da lavorare. È ovvio che Doc non potrà mai finire come Breaking Bad: il pubblico non è pronto. Però ci stiamo arrivando…

Dopo questa tua affermazione, ho già l’ansia per quello che potrebbe accadere nella seconda stagione.
Posso solo ribadire quanto detto: ci stiamo arrivando. Tuttavia penso che il finale di Doc sia giusto così com’è: in questo momento storico, abbiamo bisogno di un happy end e di dare messaggi di speranza.

Ma veniamo alla vera coppia di Doc: tu e Spollon. Lui dice che tu sei quello bello mentre lui il ragazzo della porta accanto, che parte in svantaggio ma alla fine conquista le ragazze. Come la mettiamo?
Questa è la sua speranza… Io e Pierpaolo siamo molti diversi, e probabilmente è per questo che andiamo così d’accordo. Ci conoscevamo già prima di Doc, perché veniamo tutte e due dal Centro Sperimentale, ma è sul set che è scoccata la scintilla. Vederci in trend topic tutti i giovedì, persino quando i nostri personaggi non erano centrali, ci ha molto stupiti.

Tra i finali alternativi, Spollon avrebbe desiderato una storia d’amore tra Lorenzo e Riccardo. Piacerebbe anche a te?
Sai che botto farebbe una cosa del genere?! Il pubblico femminile forse non gradirebbe, ma quello maschile sì. Sarebbe anche ora che succedesse, che si iniziassero a raccontare storie diverse.

Vero, però oggi anche un’amicizia al maschile suona altrettanto trasgressiva.
Assolutamente, sono d’accordo con te. In Doc finalmente interpreto un personaggio slegato dall’amore: a metà serie Lorenzo si muove su altre linee. È una novità rilevante se si pensa quanto spesso, nelle fiction generaliste, i personaggi tendano a essere concepiti in funzione delle storie d’amore che avranno, per far affezionare il pubblico. In realtà, per esistere o per risultare reali, i personaggi non devono per forza amare qualcuno, come accade per l’appunto a Lorenzo nella puntata 10 e 16. È un po’ il problema che ha la musica in questo momento: si canta solo l’amore, quando invece autori come De André hanno fatto la storia parlando di mignotte e politica.

Foto: Serena Salerno

Spollon sarà anche la new entry in Che Dio ci aiuti 6. Ma che fa, ti segue?
Siamo molto amici e… guarda, ti do un’anticipazione: c’è chi ha capito che insieme io e lui funzioniamo molto bene, un po’ come Sherlock e Watson. C’è quindi un progetto che vedrà i nostri due percorsi professionali incrociarsi in maniera importante. Non mi riferisco a Doc né a Che Dio ci aiuti, e nemmeno a un film d’amore. Ma vedrai, vedrai…

Altro che amicizia al maschile: voi due siete una coppia di fatto.
Hai ragione, appariremo insieme pure nella serie Leonardo. Ormai viviamo in simbiosi. Mi sa che devo iniziare a mettere i puntini sulle “i” e chiedergli di lasciarmi i miei spazi, come si fa nelle coppie (ride).

Con i social comunque ci sa fare di più Spollon. Su Instagram tu hai postato una foto mentre eri in bagno, seduto sul water, con il gatto dentro il bidet. Perché?
Mio padre mi ha posto la stessa identica domanda. E pure la fotografa Serena Salerno: «Ma perché?!». È stata una mia idea. Quel giorno Serena era a casa mia per fare degli scatti e io avevo ‘sta fissa: volevo fare la foto seduto sul water. Non so perché, ma è così. In quel momento, quando Serena stava scattando, è entrato il gatto in bagno e si è messo sul bidet. Il risultato mi piace molto, per questo l’ho postato: trovo sia una foto artistica, anche se il nudo maschile non mi è mai piaciuto.

In che senso?
Lo trovo brutto. A teatro mi è capitato di recitare completamente nudo, perché ho un bassissimo livello di vergogna e forse anche di dignità. Comunque sia, credo che il corpo femminile abbia una poesia infinita, che manca invece a noi uomini.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A gennaio sarò in Che Dio ci aiuti 6, mentre dovrebbe uscire in streaming Maschile singolare, opera prima di Matteo Pilati e Alessandro Guida (non c’è ancora una data confermata). Qui interpreto il mio primo ruolo gay: sono Luca, un fornaio che aiuterà il protagonista, anche lui omosessuale, a superare una rottura sentimentale. L’aspetto bello di questa storia è che a un certo punto ti dimentichi dell’aspetto diversity per appassionarti alla vicenda amorosa in sé. Quanto a me, l’anno prossimo vorrei ritagliarmi del tempo per andare all’estero a studiare. Sono cinque anni che sono buttato sui set. Intendiamoci: è una grande fortuna, non mi lamento assolutamente. La lunga serialità ti costringe però a pensare più alla performance che non alla dinamica creativa: devi assicurare un risultato in breve tempo. Tra l’altro, sono sempre stato un grande fan della formazione: sono convinto che sia fondamentale, soprattutto per un attore. La creatività va stimolata, altrimenti continui a fare solo quello che sai fare. In Inghilterra c’è proprio l’idea della palestra degli attori: tra un film e l’altro gli interpreti inglesi frequentano corsi di recitazione. Per questo vorrei andare proprio a Londra: sto già selezionando le scuole.

Spollon come l’ha presa?
Eh… Il primo che mi ha detto «Ti vengo a trovare, piglia una casa più grande» è stato lui!

Molleresti tutto per vivere e lavorare all’estero, magari in America?
No. Accetterei ovviamente degli ingaggi all’estero, anzi… magari! Però tornerei sempre qui. Non voglio essere un cervello in fuga, o un “attore in fuga”: sono e resto prima di tutto un interprete italiano. Non per passare per campanilista: ma perché dovrei abitare altrove, quando vivo nella città più bella del mondo?

(Sì, quest’ultima risposta l’ha data solo per rassicurare Spollon…)