Meglio soli che mal distanziati: questo Natale non ammette tante mezze misure o compromessi, sia che siate dei cinici detrattori sia che siate dei ferventi sostenitori dello scambio di pacchetti con annesso cenone e/o pranzone insieme ai cugini di terzo grado che manco sapevate d’avere. Croce e delizia, la famiglia. Certo è che la lontananza fa apparire tutti migliori – parenti stronzi inclusi – dunque un po’ di malinconia potrebbe insinuarsi anche nei cuori di coloro che, fino a ieri, alzavano le spalle borbottando: «Ma chi se ne frega, io tanto lo odio, il Natale!». Ebbene, per evitare d’intristirsi e convincersi d’essere dei poveretti privati dell’affetto e del calore umano nel giorno in cui affetto e calore umano vengono dati per scontati, c’è solo una cosa da fare: guardare quelli che stanno peggio di voi. Ecco una galleria delle famiglie più orribili che il cinema abbia mai ritratto, tra miserie, violenze, recriminazioni, perversioni, ipocrisie, opportunismi, rancori e fallimenti. Perché i rapporti umani, famigliari in particolare, spesso fanno schifo, e non è che il 24 e 25 dicembre si prendano una pausa, anzi. A volte peggiorano, e (spoiler!) ci scappa pure il morto.
La guerra dei Roses (1989) di Danny DeVito – da noleggiare su Google Play
Oliver (Michael Douglas) e Barbara Rose (Kathleen Turner) si sono amati, si sono sposati, hanno fatto due figli e ora si detestano. A dire il vero è Barbara che detesta Oliver – tanto da volerne divorziare – e dà così inizio a un conflitto sanguinario tra i due, dove le armi sono costituite dai simboli dello status, del benessere e dello yuppismo reaganiano: la casa, i mobili, gli oggetti, fino ad arrivare ai poveri animali domestici. Black comedy feroce girata da Danny DeVito (che interpreta l’avvocato Gavin D’Amato), fu un successo pazzesco di critica e pubblico nel 1989: a ragione, visto che si ride (amaramente), che i tempi comici sono azzeccatissimi e che Douglas e Turner raggiungono il loro apice. L’unico a uscirne sconfitto è il matrimonio, ma era prevedibile. Se così non fosse, non saremmo certo qui a parlarne.
Parenti serpenti (1992) di Mario Monicelli
«Ho fatto un film, Parenti serpenti, che era una farsa. La farsa è un genere meraviglioso, molto difficile perché va molto a fondo. Pur non essendo realistica, nella farsa c’è sempre una verità». Mario Monicelli nel 1992 gira questa strepitosa commedia corale, i cui protagonisti sono gli italiani medi di allora (e pure di oggi): provinciali, benpensanti, invidiosi, piccini, s’esprimono a suon di frasi di circostanza e il loro massimo sforzo creativo consiste nel parlare male del prossimo. La numerosa famiglia che per Natale si riunisce nella casa di Sulmona dei nonni – nonostante le reciproche scaramucce e meschinità – pare in fondo unita, finché non viene sganciata la bomba destinata a esplodere: i due vecchi propongono di andare a vivere da uno dei quattro figli, decidano loro quale. Lì cade la maschera, e i personaggi si rivelano per ciò che in realtà sono: ipocriti, egoisti, aridi e materialisti. Ci si guarda insomma allo specchio, e ci si fa un po’ schifo.
Tempesta di ghiaccio (1997) di Ang Lee
Tratto dall’omonimo, meraviglioso romanzo di Rick Moody, il film di Ang Lee del 1997 ricrea perfettamente il clima ipocrita, soffocante e perbenista della buona borghesia del Connecticut degli anni ’70. Dietro la classica facciata idilliaca si nascondono tensioni, frustrazioni, adulteri, scambi di coppie, conflitti generazionali e crisi famigliari, finché una tempesta di ghiaccio provoca un black-out generale, cambiando per sempre il corso degli eventi. Il cast è a dir poco stellare: Kevin Kline, Sigourney Weaver, Joan Allen, Christina Ricci, Tobey Maguire, Elijah Wood, Katie Holmes; la sceneggiatura di Schamus vinse a Cannes; la critica si divise: alcuni giudicarono il film prevedibile e convenzionale, vagamente furbetto. Comunque la pensiate, la scena del “chiavi party”, in cui le coppie devono porre le chiavi della macchina in un vaso, e a fine serata le donne le pescano a caso andandosene col proprietario della macchina corrispondente, è angosciante come poche.
Festen – Festa in famiglia (1998) di Thomas Vinterberg – da noleggiare su Chili
Secondo lungometraggio di Thomas Vinterberg, nonché primo film aderente al manifesto Dogma 95, il movimento cinematografico creato nel 1995 dallo stesso Vinterberg insieme a Lars von Trier. Una grande famiglia dell’alta borghesia danese si riunisce nella lussuosa residenza di campagna per celebrare il sessantesimo compleanno del patriarca Helge (Henning Moritzen). Sembra la solita festa piena di gente ricchissima e falsamente cordiale, finché il primogenito Christian (Ulrich Thomsen) durante la cena pronuncia un discorso in cui denuncia il comportamento pedofilo e incestuoso del padre, accusandolo di essere responsabile del recente suicidio della sua gemella Linda. Premio della giuria a Cannes, miglior film straniero agli Independent Spirit Awards, miglior film nordico del 1998, Festen è di una crudeltà inaudita, e la sua crudezza viene amplificata dal fatto di essere stato girato interamente con telecamera a spalla, senza uso di luci di scena. Via libera solo se nutrite forti sentimenti antiborghesi e non siete facilmente impressionabili.
Happiness – Felicità (1998) di Todd Solondz
Nessuno è happy nel terzo film di Todd Solondz, forse il suo migliore, a cominciare dalla famiglia Jordan: i genitori stanno per separarsi dopo quarant’anni di matrimonio, mentre le tre figlie ormai adulte sono una più insoddisfatta, complessata, miserabile dell’altra. Il tema non è nuovo – la mostruosità del banale, la sporcizia dietro la finta rispettabilità della media borghesia americana – ma pochi sono riusciti a spingerlo all’estremo come il regista statunitense nel 1998. Ci sono un Philip Seymour Hoffman gigantesco (che ritornerà, vedi più avanti) nei panni di un depresso cronico ossessionato dal sesso; e un Dylan Baker nel ruolo più disturbante e sgradevole della sua carriera, uno psicoterapeuta, padre e pedofilo. I tre minuti e mezzo finali, durante i quali confessa, senza pentirsene, la sua perversione al figlio undicenne, sono da brividi: il dialogo è straziante e Solondz non fa tagli, non fa stacchi, non lascia nulla all’immaginazione. È tutto lì, ed è semplicemente terribile.
American Beauty (1999) di Sam Mendes – su Amazon Prime Video
Il primo film di Sam Mendes nel 2000 è l’asso pigliatutto agli Oscar (cinque), ai Golden Globes (tre), ai Bafta (sei), ed è invecchiato benissimo. O, meglio, non è invecchiato affatto, perché ogni cosa è fastidiosamente attuale: la crisi del quarantaduenne Lester (Kevin Spacey, quanto ci manchi!), che è depresso, annoiato e perde la testa per la Lolita di turno; la frustrazione della moglie Carolyn (Annette Bening), insopportabilmente isterica e nevrotica; l’insicurezza della figlia Jane (Thora Birch), un’adolescente musona e imbarazzata dai genitori. Ci vorreste vivere in una famiglia del genere? No? Be’, manco io. L’immagine di Mena Suvari in un letto di petali di rose rosse è entrata nell’inconscio collettivo e non se n’è più andata: la sua Angela si vantava tanto e s’atteggiava a femmina esperta e navigata, quando in realtà era vergine. Era vent’anni fa, potrebbe benissimo essere oggi.
Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson – da noleggiare su Google Play
Se non avete mai visto Magnolia, abbiamo un bel problema: non solo Paul Thomas Anderson è forse (anzi, senza forse) il miglior regista vivente, ma il film contiene la performance più notevole di Tom Cruise, che nel 2000 ottenne una meritatissima candidatura agli Oscar (non vinse, ingiustamente). San Fernando Valley, California: in un giorno di pioggia qualsiasi s’intrecciano diverse storie che fanno capo a nove personaggi principali, tra cui un vecchio miliardario in fin di vita assistito dalla giovane moglie isterica; suo figlio, un invasato predicatore maschilista che lo odia; un ex ragazzino prodigio fallito; un anziano conduttore tv con un passato da pedofilo e sua figlia cocainomane. Tornano pure Philip Seymour Hoffman (ve l’avevamo anticipato) e chiari rimandi ad America oggi di Altman, che a sua volta è tratto da nove racconti e una poesia di Raymond Carver. Il fil rouge è costituito dalla solitudine, dalla tristezza, dalla disperazione e dall’incomunicabilità: la spietatezza si taglia col coltello, ma in tutti e tre i casi si tratta d’una spietatezza meravigliosa.
Lontano dal paradiso (2002) di Todd Haynes
Dramma, drammone, drammissimo. Autunno 1957, Hartford, Connecticut: Frank (Dennis Quaid) lavora in un’azienda di televisori; la moglie Cathy (Julianne Moore, più stupenda che mai) è una perfetta casalinga; i due figli sono bambini vivaci e pestiferi e la loro famiglia, vista dall’esterno, pare perfetta, esemplare, invidiabile. Ovviamente, chiaramente, non è così: Frank è in realtà bisessuale e tradisce la moglie con uomini scovati nei bar; Cathy, sconvolta dopo aver scoperto le tresche del marito, trova conforto nell’affettuosa amicizia con il suo giardiniere afroamericano, subendo la condanna da parte della rispettabilissima e ultra-conformista comunità, razzista e bigotta fino al midollo. Finisce male (quasi) per tutti, in un crescendo di disagio e di rabbia che arriverà a prendervi la bocca dello stomaco: masticate un antiacido e concentratevi sulla superba fotografia, sulla colonna sonora, sui costumi, sulla Moore (vincitrice, peraltro, della Coppa Volpi a Venezia nel 2002). Regia di Todd Haynes, una garanzia.
Onora il padre e la madre (2007) di Sidney Lumet – su Infinity TV
Altro giro, altro Philip Seymour Hoffman (poi basta, sul serio). Quarantacinquesimo nonché ultimo film di Sidney Lumet, girato all’età di ottantadue anni, probabilmente il più angoscioso della sua carriera: il titolo originale, Before the Devil Knows You’re Dead, è tratto da un detto irlandese – «Meglio arrivare in paradiso mezz’ora prima che il diavolo sappia che sei morto» – e risulta (come sempre) assai più calzante della sarcastica versione italiana. Il motore che scatenerà la serie di disgrazie della famiglia Hanson sono i soldi; o, meglio, la mancanza di soldi. Andy (Hoffman) è un dirigente finanziario senza scrupoli; suo fratello Hank (Ethan Hawke) è un padre di famiglia divorziato che non riesce a pagare gli alimenti all’ex moglie. Entrambi al verde, per risolvere i rispettivi guai giungono a una soluzione impensabile: rapinare la gioielleria dei propri genitori. La morale è che a questo mondo non esiste nessuna morale, e che nemmeno i nostri affetti più intimi possono garantirci un briciolo di sicurezza e felicità. Ve l’abbiamo detto sin dall’inizio, che stare da soli non è poi così male.
Blue Valentine (2010) di Derek Cianfrance – su Amazon Prime Video
Come ve l’immaginate il racconto della morte di un amore e della disgregazione di una famiglia? Struggente? No, non è abbastanza. Metteteci Derek Cianfrance alla regia; Ryan Gosling nel ruolo di Dean, il marito semplice dall’animo buono; Michelle Williams in quello di Cindy, la moglie (e madre) disillusa, esasperata, infelice: sarà devastante. Gosling e Williams sono straordinari: giovani e radiosi nei flashback del loro innamoramento, appaiono appesantiti, invecchiati e spenti nel presente, quasi schiacciati dalle rispettive aspettative tradite. «You always hurt the one who loves», recita il blues suonato da Dean con l’ukulele, mentre Cindy improvvisa un buffo tip-tap per strada: si erano conosciuti da poco, ora sono passati solo cinque anni, eppure sembra che entrambi li abbiano trascorsi a prendere pugni in faccia. Nota a margine: la figlioletta Frankie sembra voler più bene a papà e noi – almeno, io – ci sentiamo abbastanza allineati.
Miss Violence (2013) di Alexandros Avranas – su Amazon Prime Video
Presentata alla 70esima Mostra di Venezia – dove ha vinto un Leone d’argento e una Coppa Volpi per il protagonista maschile Thermis Panou – la seconda opera del regista greco Alexandros Avranas è una palla chiodata che s’abbatte ripetutamente sui piedi, sullo stomaco e sulla testa del pubblico. Nella famiglia di Angeliki tutto sembra andare per il meglio, se non fosse che la bambina, il giorno del suo undicesimo compleanno, a sorpresa si suicida buttandosi dalla finestra. Pian piano, con estrema lentezza e parsimonia, Avranas fa luce sui segreti che regolano i torbidi rapporti famigliari, nonché sull’orrore che si cela dietro il perbenismo borghese dell’inquietante patriarca. A fronte delle pochissime scene di violenza effettiva contenute nel film, la violenza e la tortura psicologica perpetrate nei confronti dello spettatore dovrebbero essere perseguite dalla legge: bello eh, ma che strazio.
Stoker (2013) di Park Chan-wook – da noleggiare su Google Play
Primo film in lingua inglese del sudcoreano Park Chan-wook, Stoker è il classico thriller psicologico-horror-sessuale con al centro un losco triangolo. Qui, quello tra la silenziosa diciottenne India (Mia Wasikowska), prematuramente orfana di padre; la madre Evelyn (Nicole Kidman), vedova non troppo turbata dall’accaduto; lo zio Charlie (Matthew Goode), che piomba all’improvviso nella loro vita, cominciando a corteggiare Evelyn senza trascurare la nipote, che nel frattempo scopre sconvolgenti segreti di famiglia. Se ci intravvedete un po’ di Hitchcock e un po’ di Nabokov, non vi state sbagliando: aggiungeteci un senso di claustrofobia, d’oscurità e d’inquietudine che non vi abbandoneranno per cento minuti, e un finale a effetto parecchio difficile da dimenticare. Sebbene sia inferiore rispetto alla precedente trilogia della vendetta, non includerlo sarebbe stato come commettere un torto nei confronti delle famiglie orribili.
Cena con delitto – Knives Out (2019) di Rian Johnson – su Amazon Prime Video
Finiamo in leggerezza: il giallo “vecchia maniera” diretto da Rian Johnson, reduce dal giocattolone Star Wars – Gli ultimi Jedi, è stato un successo inaspettato. E ha riconfermato la passione del pubblico per le grandi storie di delitti e investigatori alla Agatha Christie e alla Arthur Conan Doyle. Il romanziere ottantacinquenne Harlan Thrombey (Christopher Plummer) muore in circostanze misteriose e il detective Benoît Blanc (Daniel Craig) ha il compito di indagare per capire se esiste un colpevole: la famiglia abbastanza spregevole del defunto è la prima sospettata, dato che ogni membro avrebbe avuto una ragione (ai suoi occhi) più che valida per far fuori il vecchio Harlan. Film corale con un cast di tutto rispetto – oltre a Plummer e Craig, Chris Evans, Jamie Lee Curtis, Toni Collette, Don Johnson, Michael Shannon – che dà vita a un gruppo variopinto di arraffoni e scrocconi la cui unica preoccupazione è il denaro e l’eredità. Johnson si diverte, e noi con lui: alla fine, rispetto ai Thrombey, abbiamo visto di molto peggio.