Hanno portato il rock sul palco dell’Ariston. Possono piacere o no, ma la sostanza è che i Måneskin sono riusciti a dimostrare, ancora una volta, di essere una delle realtà più particolari sulla piazza, e la loro Zitti e buoni è tra le canzoni di questo Sanremo che potrebbe lasciare il segno. Così, mentre la band, in vista del gran finale, si prepara a essere giudicata da giornalisti e televoto, facciamo una chiacchierata via Zoom per farci raccontare sia questa settimana che i loro progetti. Il 19 marzo esce infatti Teatro d’ira – Vol. 1, il primo tassello di un progetto più ampio che ha come obiettivo quello di scardinare pregiudizi e stereotipi.
Allora ragazzi, come vi sentite? Le aspettative che avevate prima di salire sul palco sono state attese o disattese?
Victoria: Volevamo solo suonare bene e lo abbiamo fatto. Cerchiamo sempre di non idealizzare le cose per non restare delusi. Cerchiamo semplicemente di dare il massimo e goderci quello che succede. Siamo molto soddisfatti.
Damiano: In un evento così, in un momento storico del genere, il nostro primo pensiero è quello di suonare live. La competizione passa in secondo piano. Anche perché, a differenza di X Factor dove eravamo emergenti, ora siamo artisti con una carriera.
Ma visto il vostro percorso, avevate bisogno del Festival di Sanremo?
Damiano: Ci permette di fare una cosa bella, far arrivare al grande pubblico un’attitudine e un sound diverso. Sia con il pezzo nostro che con la cover. Crediamo di portare sonorità che non si sentivano da un po’, almeno nella musica mainstream, da classifica. Aprire Spotify e vedere che siamo terzi, cazzo, ci fa capire che stiamo facendo qualcosa di importante.
Perché?
Damiano: Non solo abbiamo portato questa musica su quel palco, ma la gente la sta anche capendo e apprezzando.
Come nasce Zitti e buoni?
Ethan: Il brano nasce parecchi anni fa. Avevamo il bellissimo testo di Damiano e con il tempo abbiamo sperimentato e cambiato l’arrangiamento, fino ad arrivare al risultato finale che è la Zitti e buoni di adesso. Tutte quelle modifiche ci hanno fatto capire quanto la mente aperta, a livello di approccio musicale, sia fondamentale per la scrittura. Adesso il pezzo ci rappresenta a pieno.
Victoria: Con il periodo del tour e a Londra abbiamo avuto un sacco di influenze. Andavamo a vedere tre band emergenti al giorno. Là c’è una cultura musicale completamente diversa e anche la musica più pesante, analogica, suonata fa tendenza: i giovani ascoltano quella roba lì. Ognuno di noi ha ascoltato il proprio strumento, cercato il proprio suono e siamo arrivati a questo connubio perfetto dove ci divertiamo al massimo e non ci poniamo alcun tipo di limite, come nell’album che uscirà.
Ecco, come si innesta il pezzo sanremese in un disco che, a vostro dire, cerca di distruggere i pregiudizi?
Thomas: Il disco è figlio di un percorso, di tutto quello che abbiamo assimilato in questi anni. Sarà molto crudo e sincero, senza alcun tipo di limite.
Cioè?
Thomas: Sarà “anticonvenzionale”. Zitti e buoni è una premessa per comprendere l’album. Fa proprio parte del racconto.
Ma voi vi siete sentiti vittima di pregiudizi? Magari anche in questo festival?
Victoria: Probabilmente tutti i ragazzi di 20 anni sperimentano questa cosa nella propria vita privata, i pregiudizi sulla propria persona o sull’aspetto estetico. Come band ce ne siamo sempre fregati, ma sicuramente un po’ di pregiudizio c’è da parte delle persone che pensano che chi viene da un talent, per esempio, non possa fare musica di qualità. Insomma tutte queste stronzate.
E voi come rispondere a questi pregiudizi?
Victoria: Facciamo parlare la musica, se le persone vogliono commentare o avere limiti mentali peggio per loro.
Bisogna dire, però, che avete portato una ventata di novità al festival, insieme a Extraliscio, La Rappresentante di Lista e Colapesce Dimartino.
Damiano: Forse un po’ troppa.
Sentite un po’, c’è chi questa novità non l’ha vista e, anzi, vi ha accusato di aver plagiato F.D.T. – Fuori di testa degli Anthony Laszo. Come avete reagito?
Damiano: Stavamo pranzando e abbiamo continuato a mangiare allegramente.
Ah sì?
Damiano: Cazzo, voglio dire il fatto non sussiste. È stata una delle cacce al plagio più brutte di sempre perché non c’erano proprio gli estremi. Siamo stati molto tranquilli, avevamo la coscienza pulita. Per fortuna è arrivata la smentita, e non da noi, così ho tenuto la voce per la serata.
Ma proprio così tranquilli? Neanche un’incazzatura?
Damiano: L’unica cosa che abbiamo detto è stata: Ma proprio a noi ci dovevamo rompere le scatole che siamo così buoni e così bravi? (ride) Alla fine essere un personaggio pubblico comporta anche questo, che venga fuori qualche pagliacciata. Fa parte del game, ci siamo dentro, giochiamo e siamo sportivi, soprattutto.
Ieri vi siete esibiti in una bellissima versione di Amandoti dei C.C.C.P. Come avete scelto la cover?
Damiano: Quando dovevamo scegliere il pezzo d’autore è partito un po’ di panico perché tutta la tradizione cantautorale italiana stupenda, meravigliosa e ricchissima non è molto adattabile alle nostre sonorità. Se avessimo fatto De Andrè con le chitarre distorte ci avrebbero, giustamente, tirato gli strumenti dell’orchestra. E avrebbero fatto anche bene.
Allora perché Amandoti dei CCCP?
Damiano: Un pezzo che ci piaceva tantissimo e che è stato anche importante: ha dominato le classifiche nonostante fosse di una band alternativa, è quindi ricco di significati. È stupendo suonarlo e cantarlo, veramente un piacere. Dopo averlo provato la prima volta, abbiamo sentito un feeling importante, quello che ci succede quando interpretiamo le cover che poi facciamo nostre.
E che mi dite di Manuel Agnelli?
Damiano: Abbiamo suonato un pezzo storico del rock con una persona che rappresenta la storia del rock. Una persona che conosciamo, ammiriamo, stimiamo, con la quale abbiamo un bellissimo rapporto. Suonare insieme ha un valore enorme. Rivedendo l’esibizione c’è molta naturalezza, senza alcuna forzatura. Questo arriva dalla conoscenza che c’è: nessuno aveva bisogna di emergere, è stato un mettersi a disposizione l’uno dell’altro.
Che vi ha detto Agnelli?
Damiano: Dopo l’esibizione ci ha detto che si è divertito, ed è una cosa non scontata. Ha sorriso per tipo sei secondi.
La cover sarà anche in Teatro d’ira – vol. 1?
Damiano: No, nell’album ci saranno solo brani inediti al 100%.
Thomas: Lo abbiamo fatto in presa diretta e, quando facciamo dischi, ci piace chiuderci in una situazione un po’ casa-studio dove abbiamo la possibilità di registrare subito un’idea. Una cosa molto 70s. C’è la potenza di ogni singolo strumento e la voce di Damiano.
Come avete vissuto il lockdown?
Ethan: Ci ha spiazzato, ma la nostra grande fortuna è stata la musica, una valvola di sfogo. È stato meno pesante e abbiamo preso coscienza della situazione che stavamo iniziando a vivere, cercando di reagire subito nella maniera più intelligente.
Vale a dire?
Ethan: Nonostante la distanza, che giustamente deve esserci, in quel periodo abbiamo trovato una chiave di struttura, ognuno a casa propria, per continuare a essere musicalmente attivi. Il singolo Vent’anni è nato durante il lockdown, grazie a registrazioni che ci siamo scambiati.
E che mi dite di Sanremo ai tempi della pandemia?
Ethan: Non ci siamo mai venuti, è tutto nuovo, non abbiamo un termine di paragone. E stiamo dando il massimo nonostante non ci sia il pubblico. La cosa che ci ha stupito è che i ragazzi della nostra età, ma anche le generazioni del passato, i nostri stessi genitori, sono rimasti colpiti dall’esibizione.
Thomas: Dall’esterno abbiamo avuto un feedback incredibile. Siamo molto contenti.
Jovanotti ha scritto un post, il 28 febbraio, in cui sembra esprima una certa difficoltà a pensare al presente. Qualcuno l’ha interpretato come il segnale di una difficoltà creativa. Voi che dite?
Victoria: La situazione ti tocca e, quello che abbiamo scritto in questo periodo è differente da quello che avremmo composto in tour. Ogni situazione ti stimola in maniera diversa. Inizialmente non è stato facile perché siamo un gruppo, la vera energia si crea quando stiamo insieme. Ma nella situazione attuale siamo riusciti a trovare momenti di ispirazione: quando abbiamo scritto l’album ci siamo chiusi in un casale in campagna, siamo stati per una decina di giorni a suonare dalla mattina alla sera. Si è creata una magia pazzesca che ci ha lasciato tanto, nonostante il periodo. Eravamo in una bolla.
Damiano: Per un artista solista è un po’ più dura. Essendo in quattro, se c’è uno che ha un momento down qualcun altro lo tira su. Per un solista capisco che in questo momento storico ci possano essere difficoltà, perché le ho vissute sulla mia pelle. Ma se non mi vengono le parole per un testo, Thomas mi manda 30 riff di chitarra e qualcosa esce, se mi ci metto. Per i solisti è diverso.
Chi sono i Måneskin oggi?
Damiano: Una band con un’identità, un sound, una direzione e un messaggio ben preciso. Vogliamo continuare su questa linea, per fare arrivare la nostra musica a più gente possibile. Poi ci saranno i palazzetti il 14 dicembre al Forum di Assago e il 18 al Palazzo dello Sport di Roma. Dai palazzetti, speriamo arrivino gli stadi e da quelli, speriamo, si giunga ai maxi stadi americani (ride).
Thomas: E poi questo disco si presta molto ai live. La natura, la matrice, è proprio quella di essere suonato dal vivo. Perché, se ci sarà la possibilità, il succo è proprio quello.
Domani c’è la finale del Festival, come vi preparate?
Damiano: se vestimo, se truccamo, annamo e spaccamo tutto.