Un giorno ci dovranno spiegare perché sulla Rai è così difficile portare la musica, i grandi protagonisti senza richiamarsi a format archeologici, a conduttori inadeguati, a ospiti che pare possano essere pescati solo dal bacino de I migliori anni con qualche rapida sortita a Tale e quale show o Il cantante mascherato.
Eppure è proprio qui che il varietà fondato su note ed esibizioni ha trovato il suo primo luogo d’espressione nel dopoguerra, a volte in modo anche rivoluzionario. Al di là delle competizioni canore, infatti, abbiamo visto cantanti conduttori, programmi fiume con esibizioni di livello e originali, persino pezzi originali diventati mitici tra le sigle e in generale la voglia di andare oltre, che fosse il processo a Sanremo di Arbore o Minà che intervistava Modugno.
Poco importa, ieri Non sono una signora 70, festa di compleanno dell’unica vera rocker rimasta, Loredana Bertè, ha confermato che alla Rai di idee nuove ne hanno poche e che vige ancora la regola dell’anchorman buono per tutti i palchi, quando è sulla cresta dell’onda. Alberto Matano che ricordiamo per una decennale conduzione al Tg1 e per la bellissima trasmissione Sono innocente, ora è il capitano unico de La vita in diretta. Uno che in tv ci sa anche stare, sebbene con vezzi e difetti di chi si è sempre dovuto più preoccupare dei testi che della presenza scenica, di stare davanti alla telecamera e non “abitare” lo studio, ma che non sembra tagliato per uno show del genere.
Loredana come riesce a catturare ogni grammo della tua attenzione – persino con l’ultimo singolo latineggiante, quasi a voler dimostrare che lei può far diventare un ritmo alla Soler alt(r)o (Figlia di è brutta, ammettiamolo, seppur con un gran testo) – urlando con la sua voce inconfondibile al microfono tutto la sua tenera rabbia rock, così si trova a disagio con i motori al minimo, nei momenti di passaggio, di dialogo, di interazione.
Il problema non è solo della protagonista, costretta a un concerto frammentato e pieno di ospiti alcuni dei quali non necessari e quasi sempre non alla sua altezza – ma che bravo ieri Curreri, come notevole è stata anche la performance del vincitore di The Voice Senior “scoperto” proprio da Loredana, Erminio Sinni – ma del format, che non ha una vera anima se non quella di spin-off de I migliori anni appunto. Neanche Matano può metterci una pezza, non ha la forza di tenere sulle spalle un programma sgangherato, non ha i tempi di raccordo e la personalità per riempirli – non siamo a La vita in diretta, appunto – paradossalmente l’ottimo rapporto costruito con la cantante penalizza entrambi, sempre alla ricerca dell’approvazione reciproca, di un lusingarsi, incapaci di creare quell’alchimia televisiva che espongono a parole. E dire che quando lui fa il giornalista, come nelle parti in cui la intervista su una vecchia 500 – ma quanto ci manca quella splendida trasmissione che era Milano-Roma? – sembrano molto più a loro agio entrambi e escono fuori momenti meravigliosi, come quello che rivela alla massa di Rai 1 che il reggae – ma gli spettatori della rete ammiraglia sapranno davvero cos’è? – in Italia l’ha portato lei. E dopo il racconto dei suoi viaggi in Giamaica E la luna bussò, fidatevi, la sentirete con altre orecchie.
In studio è un mezzo disastro – d’altronde a proposito del format A grande richiesta, avevamo capito che era un buco nero dalla prima puntata con Veronica Pivetti e Paolo Conticini, disastrosa (la migliore quella con Insinna, Carlo Conti ha fatto Carlo Conti, speriamo nel mitico Pino Strabioli con Christian De Sica il 24 marzo) – le cose migliori le sentiamo cantate dalla sola Loredana, ma ci si perde momenti potenzialmente potentissimi, come quel «è la mia mamma rock» di Asia Argento dietro al quale c’è un mondo, di entrambe, ma che va via così, come la lacrima fugace dell’attrice e regista, forse per la paura che le due potessero dare una svolta punk che all’abbonato in prima fila della Rai avrebbe fatto prendere un coccolone. E lì capisci che l’unica che poteva raccontare l’epopea musicale ed esistenziale di questa eterna ragazza era proprio Asia, raffinata conoscitrice di musica e sensibilità altra e alternativa, anima gemella di quel folletto con gambe da ventenne e capelli blu. E una delle poche a poter tenere il palco con lei, persino se canta Amici non ne ho con Giusy Ferreri. Noi ci dobbiamo accontentare invece dei perdibili aneddoti di Marcella Bella.
Alla fine la Berté è risultata molto più rock ad Amici, lì ha trovato il modo di tirar fuori, a modo suo, quel carattere che la rende anche una straordinaria showgirl, un personaggio che ha occupato il nostro immaginario oltre le sue incredibili canzoni. Lei è una che ha commosso e ispirato Aldo Busi, ha ammaliato Björn Borg, ha avuto come sodale Andy Warhol, è uno degli idoli di Paolo Sorrentino. Lei è una che non ha solo il potere di partecipare a Sanremo, ma anche di farlo fallire, se vi ricordate la sommossa recente del pubblico nel 2019 quando, in gara, il voto non la gratificò come avrebbe meritato per Cosa ti aspetti da me (solo quarta). Per una come lei serviva chiamare i migliori e non solo della musica. Ma della cultura, della vita pubblica.
Perché ha funzionato lo stesso il programma? Perché Loredana non si è risparmiata, a partire dal medley iniziale, passando per il blocco, commovente e vibrante, dedicato alla sorella Mia Martini – e lì è tornata lei con un pudico e incazzato «preferisco cantare» quando viene cercata una confidenza in più su quel dolore – e agli ospiti più azzeccati (vedi Gragnaniello). I successi più iconici li tiene per sé e anche quando non lo fa, grazie a dio, si mangia chi gli è accanto e ci fa godere.
Loredana Bertè, insomma, è più forte pure dei format archeologici del servizio pubblico che quando si tratta di musica ormai nascono già morti. Ma lei non lo sapeva e ha volato lo stesso. Grazie Loredana, Sei bellissima. E per conoscerti meglio, chi vuole, si legga il bel libro scritto con Malcom Pagani Traslocando: è andata così.