Dopo l’avventura di Willie Peyote a Sanremo e le polemiche che lo hanno coinvolto, People pubblica un lungo dialogo tra Giuseppe Civati e il rapper dal titolo Dov’è Willie?. Centoquaranta pagine piene di ossigeno per la parte razionale del cervello e di una buona iniezione di ottimismo per quella emotiva. Il libro è strutturato in 13 capitoli (più un’introduzione e una divertente biografia) dove si parla liberamente di musica, Toro, concetti alti e bassi, fan… il tutto con la fluente lingua tagliente di cui è in possesso il cantante torinese, o rapper come preferisce essere definito lui. Poco importa l’etichetta, i concetti si susseguono con una libertà e un’onestà intellettuale che sembrano davvero essere un salvagente in mezzo alla tempesta di falsità in cui siamo costretti a navigare quotidianamente. Willie Peyote riesce a essere spudoratamente sincero parlando in maniera mai retorica delle sensazioni che prova. Come quando di che «l’equivoco più grande è che chi mi conosce personalmente mi chiede come sia possibile che, nonostante il culo e il successo che ho avuto, sono sempre così triste».
Questo libro inaugura la collana Birrette di People dove sarà proprio la birra a essere il collante alle tante discussioni e ragionamenti che nascono (o che nascevano) in giro per l’Italia. Prendendo posizioni spesso scomode, Willie Peyote parla mantenendo una coerenza dall’inizio alla fine. Racconta del rapporto con il padre fatto di musica e calcio e di quello molto interessante con la madre, dando una dimensione molto umana al testo. «Mia madre resterà per sempre la persona che più di tutte mi ha amato senza condizioni e mi ha supportato e incentivato nelle mie scelte di vita, pure quando andavano in totale contrasto con i suoi valori».
Il tutto immerso in una Torino fatta di strade e persone (gli zarri che racconta sono persone meravigliose), di territori dove succedono cose e quelle cose non sono patinate, finte e fatte per apparire. Vita vera, insomma. Quella che Willie Peyote racconta nelle sue canzoni che sanno provocare e far ridere, uno stand-up rap che nasce con l’uso sapiente e intelligente di cultura alta e bassa come nella migliore tradizione dei comici americani con il microfono in mano, d’altronde – come cantava nella sua canzone Vilipendio – “io non rimo, divulgo”. E la divulgazione sembra essere uno degli scopi della sua arte senza, però, la minima volontà né intenzione di essere didattico.
E Sanremo è un punto centrale del libro dove viene raccontato il perché ha deciso di partecipare (c’entra anche il Covid e l’impossibilità di fare live) e di come è nato il pezzo Mai dire mai (La locura) che ha vinto il premio della critica Mia Martini ed è riuscito a far discutere (e anche arrabbiare qualcuno). «È successo che il brano si è scelto Sanremo, e non viceversa», dice. D’altronde dalla provocazione dovrebbe nascere il confronto e, invece, in linea con i tempi tutto è diventato uno scontro. Guelfi contro Ghibellini, buoni contro cattivi. Willie Peyote sembra pienamente inserito nel contesto che racconta pur essendone estraneo, un corto circuito che ha innescato una scintilla nel buio cosmico del falso perbenismo contemporaneo. Il testo della sua canzone è l’unico a parlare in maniera esplicita di teatri e live, ad esempio.
Come scrive nel libro, incalzato dalla domanda di Civati, non si sente il portavoce di nessuno («io prendo posizione, l’ho sempre fatto e lo farò sempre, ma voglio che sia chiaro che è la mia posizione e niente di più») anche se in fondo con i suoi testi è in grado di rappresentare molte persone che non hanno voce, ma esistono. Una vera boccata di aria fresca.