'The Heroin Diaries' di Nikki Sixx è ancora una delle biografie più sconvolgenti del rock | Rolling Stone Italia
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‘The Heroin Diaries’ di Nikki Sixx è ancora una delle biografie più sconvolgenti del rock

«Acidi e cocaina furono solo scappatelle. Quando scoprii l’eroina fu vero amore». Uno dei libri musicali più discussi di sempre torna in versione estesa: viaggio andata e ritorno nell'inferno glam metal

‘The Heroin Diaries’ di Nikki Sixx è ancora una delle biografie più sconvolgenti del rock

Nikki Sixx

Foto press

Torna in forma rinnovata uno dei libri simbolo dello stile di vita sesso, droga e rock’n’roll. Parliamo della nuova edizione di The Heroin Diaries di Nikki Sixx, bassista e leader dei Mötley Crüe, scritta in collaborazione con Ian Gittins e pubblicata negli Stati Uniti nel 2007: una delle autobiografie più intense e amate di sempre (oggi riedita da Il Castello). Anzi, oggi se possibile è ancora più dirompente perché aggiornata e arricchita con oltre 60 pagine di nuovi contenuti, fotografie a colori e una grafica che il New York Times ha definito fra le più sconvolgenti mai viste su un libro.

Un tomo di 500 pagine (venne pubblicato in Italia nel 2020 da Chinaski, ndr) che rappresenta un viaggio folle e al limite della sopportazione umana – tanto che la valicherà spesso – dedicato «agli alcolizzati e ai tossici che hanno avuto il coraggio di affrontare i propri demoni dimostrando che ci sono luce e speranza alla fine del tunnel». Una vita che definire rock and roll sarebbe riduttivo. Infatti, Nikki Sixx è stato l’emblema degli esagerati anni ’80 e del glam metal, fra musica sparata a palla e una vita sregolata fino all’esasperazione. Anche perché, ha ricordato nell’introduzione, «quando nel cervello scatta quell’interruttore, diventa impossibile comportarsi come una di quelle persone che, come dicono agli Alcolisti Anonimi, bevono da gentiluomini».

In lui scattò molto presto, a causa di una infanzia tutt’altro che tranquilla. «La mia prima infatuazione con droga e alcol risale a quando avevo sette anni», racconta, e merita di essere riportata integralmente perché dà l’idea di come certe problematiche spesso partano da molto lontano. Era l’estate del 1965 e sua madre con uno dei tanti compagni cambiati in quel periodo, in una vita errante in cerca di fortuna lo porterà in Messico. È lì che una notte in un «motel sgangherato a sud di Guadalajara» il piccolo Franklin (il suo vero nome, oltre a Carlton Serafino Feranna Jr.) ricorda i due che «ridevano in maniera quasi isterica, mentre fumavano un cannone gigantesco. Probabilmente stavano testando un qualche carico di ganja di scarsa qualità acquistato in zona che erano intenzionati a riportare su a nord, oltre il confine, nascosto all’interno dell’auto». Non proprio una situazione adatta a un bambino. Come se non bastasse, «sorseggiavano entrambi Jack Daniels, bevendolo nei bicchieri del bagno forniti dal motel. Non ci avevano messo il ghiaccio, particolare che reputai già allora piuttosto strano. Chi diavolo riesce a bere un drink liscio con quel caldo?». E in un tale clima di euforia «il mio patrigno mi chiese di avvicinarmi. Mi consigliò di provare un tiro di canna e un sorsetto di whisky. Ricordo che non ero affatto spaventato. Al contrario, volevo dimostrare a entrambi di essere grande. E volevo anche che mia madre capisse che ero perfettamente in grado di fare le stesse cose da adulti che quel merdoso del mio patrigno faceva. Quando il fumo e l’alcol entrarono in circolo la mia mente esplose. Il mondo intero cambiò. Il rumore bianco che avevo percepito nella testa e nel corpo ogni singolo giorno della mia vita fino ad allora svanì improvvisamente, come se avessi finalmente trovato il telecomando e fossi riuscito a cambiare canale: se prima il segnale faticava ad arrivare, ora di fronte alle mie pupille scorrevano immagini nitidissime. Tutto aveva perfettamente senso. Non c’erano più paura, tristezza, dubbi e rabbia. Il mondo era perfetto. E, in quel momento, lo scopo della mia vita divenne la ricerca spasmodica di quella sensazione. Ed è così ancora oggi, a prescindere da quanto mi sia sforzato e mi sforzi tuttora di lavorare su me stesso».

Da qui parte un libro sconvolgente, che si basa quasi interamente sui diari che Nikki ha tenuto ogni giorno, anche quando era talmente strafatto da far sembrare i suoi scritti i deliri di un pazzo. Per far capire la portata di questo volume, bisogna ricordare che la prima edizione rappresentò un terremoto. Indicativa in tal senso, la notizia di un professore del Midwest che assegnò la lettura del libro alla sua classe perché, a suo dire, si trattava di una storia molto educativa sul tema della droga e della dipendenza, salvo poi essere sospeso a causa delle lamentele dei genitori degli alunni schifati dalle storie che conteneva. Ma si sbagliavano, perché in seguito ha aiutato moltissime persone a prendere coscienza di un problema serio come la droga e a decidere di farsi aiutare. Non a caso, The Heroin Diaries in America è ormai stato incluso in parecchie biblioteche scolastiche e molti centri di disintossicazione lo consiglino ai propri pazienti come aiuto per affrontare il percorso di recupero.

Assieme al protagonista, sono presenti tantissime testimonianze di personaggi famosi: Tommy Lee, Vince Neil, Mick Mars, Slash, Rick Nielsen, Bob Rock oltre a un esercito di vecchi manager, ex fidanzate e tanti altri. Su tutte, colpisce da subito quella di Alice Cooper: «Non pensavo che Nikki Sixx sarebbe sopravvissuto al terzo disco dei Mötley Crüe. Gente come me, Bowie ed Elton John siamo tutti professionisti dello sballo, ma Nikki si spingeva oltre, usava gli aghi, cosa che noi non abbiamo mai osato fare. Conoscevo bene Jim Morrison, e Nikki me lo ricordava molto. Quando Jim morì a ventisette anni non rimasi scioccato perché era morto, ma perché era riuscito a durare così tanto».

Onesti e brutali, i diari non risparmiano nulla dell’anno durante il quale ha toccato il fondo, fino alla coraggiosa decisione di rialzarsi e di ricominciare. Si parte dal Natale del 1986: «Ero un tossico ormai da un bel po’, e lo sarei stato ancora per molto. Ma forse quel giorno ho aperto gli occhi per la prima volta sulla mia situazione. C’è un qualcosa nel passare il Natale da soli, nudi, seduti sotto l’albero addobbato e serrando tra le mani un fucile a pompa in grado di farti intuire quanto la tua vita stia schizzando pericolosamente fuori controllo». Anche perché, precisa, «l’alcol, gli acidi e la cocaina… furono soltanto scappatelle. Quando scoprii l’eroina, fu vero amore».

Un amore malato e terribile che lo porta a comportamenti fuori da ogni logica: «Ero andato in overdose dopo uno show a Londra e mi avevano buttato in un cassonetto pensando che fossi morto. Avevo fatto da testimone al matrimonio di Tommy, strafatto e con le siringhe nascoste negli stivali da cowboy. Ed ero rimasto a casa a fumare freebase invece di presentarmi al funerale di mia nonna, la donna che mi aveva amato e cresciuto come un figlio», riassume per darci l’idea di quel che ci aspetta se saremo pronti a proseguire la lettura. E per aiutarci ulteriormente, è presente un glossario medico per non perdersi all’interno di un vero e proprio girone dantesco rappresentato da: dipendenza, alcolismo, cocaina, eroina, depressione, psicosi. E come nella Divina Commedia, c’è anche un perfetto Virgilio incarnato da Bob Timmons, ex tossico divenuto drug counselor al soldo delle star, che lo affianca nel racconto: «La cocaina causava a Nikki paranoie acute e allucinazioni. Una notte mi telefonò e mi chiese di mandare immediatamente la polizia a casa sua perché c’erano dei nani con elmetti militari e fucili d’assalto nascosti sugli alberi che circondavano la villa».

Fra i tanti episodi simili, il punto di non ritorno è rappresentato dall’overdose fra il 22 e il 23 dicembre 1987 quando fu dichiarato clinicamente morto: «Provai a mettermi a sedere per capire cosa stesse succedendo. Pensai che sarebbe stato difficile sollevare il mio corpo. Ma con mia sorpresa mi sembrava di essere in piedi, come se non pesassi nulla. Poi è stato come se qualcosa di molto dolce mi stesse afferrando la testa e mi tirasse verso l’alto. Sopra di me era tutto bianco. Guardai verso il basso e capii che stavo lasciando il mio corpo terreno. Nikki Sixx, o il contenitore sporco e tatuato che un tempo mi conteneva, giaceva coperto con un lenzuolo in faccia disteso su una barella spinta dai paramedici dentro un’ambulanza».

Una esperienza ultraterrena, che anche stavolta avrà un finale esageratamente glam metal quando si risveglierà in ospedale alcune ore dopo: «C’era un poliziotto che mi faceva delle domande, quindi gli dissi di andare a farsi fottere. Strappai dei tubi e mi ritrovai vestito solo dei miei pantaloni di pelle nel parcheggio, dove due ragazze adolescenti stavano piangendo per me attorno a una candela. Avevano sentito alla radio che ero morto e sembravano un po’ sorprese di vedermi».

Da quel giorno parte la ricostruzione di Nikki Sixx, attraverso sforzi sovrumani – i meno spettacolari ma i più educativi di The Heroin Diaries – con i quali riesce a mettersi alle spalle le dipendenze. E se c’è un insegnamento che si può cogliere dalla vita pazzesca di questa rockstar, è che comunque non bisogna mai abbassare la guardia: «Da quando è stato pubblicato», ha spiegato, «avverto nei confronti della comunità di chi si sta disintossicando una responsabilità del tutto nuova: la responsabilità di restare sobrio perché sono un esempio per gli altri. Ma non sono infallibile, ed è una verità importantissima che spero le persone riescano a cogliere».

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