Ieri sera Andrea Laszlo De Simone ci ha ricordato che la vita è magnifica e fragile | Rolling Stone Italia
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Ieri sera Andrea Laszlo De Simone ci ha ricordato che la vita è magnifica e fragile

Avete una settimana per (ri)vedere online lo show di uno dei nostri cantautori migliori. È una bella avventura sonora e la rappresentazione della precarietà in cui viviamo, con una nota di speranza

Ieri sera Andrea Laszlo De Simone ci ha ricordato che la vita è magnifica e fragile

Andrea Laszlo De Simone in Triennale

Foto: Marco Previdi

Le voyage dans la Lune del parigino Georges Méliès è considerato il primo film di fantascienza della storia, risale al 1902 e dura poco, è un corto muto, lirico ma anche ironico di 14 minuti con una storia organizzata in quadri, che sono come i capitoli di un libro, come quelli che userà più avanti tanto cinema francese – basti pensare, per intenderci, alla struttura divisa in capitoli che troviamo in diverse opere di Jean-Luc Godard. Questo pensavo ieri sera guardando sul divano di casa il film del concerto di Andrea Laszlo De Simone, a luci rosa abbassate al minimo, cercando di offrire un buio colorato e nuovo al luogo dove ogni sera vivo da mesi e mesi, mentre si annunciava concettualmente perfetta la Luna nuova di primavera e l’incontro con il sole intorno alle 4 di questa mattina, a poche ore insomma dalla fine di questo esperimento di immagini e suoni.

Un concerto concepito non come un live in diretta depotenziato dall’assenza del pubblico e delle possibilità offerte dall’occhio che, dal vivo, guarda vivamente lo spettacolo, coglie dettagli, salta da un lato all’altro del palco, ascolta tutto e osserva ciò che vuole, rapisce il dettaglio e lo amplifica, ma come un film, un mediometraggio di 45 minuti diviso in capitoli (Il sognoLa realtàLo spazioIl tempo e infine l’epilogo con l’esecuzione di Vivo) proprio come una di quelle pellicole francesi, proprio come quel primo viaggio cinematografico sulla Luna.

Non stupisce che sia stata proprio la stampa francese ad accorgersi – prima di molta stampa italiana, ahinoi sempre più impiegata nella quotidiana promozione più che nell’individuazione e nella narrazione – di questo nostro artista prodigioso, e c’è più di un motivo evidente se ieri, per l’ennesima volta, il quotidiano Libération ha dedicato uno spazio proprio all’annuncio del film del concerto: De Simone, uno capace di muoversi abilmente a livelli diversi, di mettere rock e pop nella stessa canzone, di strutturare concept album, di scrivere una canzone per un figlio appena nato senza affogarci nei brodini della retorica, risuona sì, specie nell’ultima fase della sua produzione, di tanta connessione con certi suoni francesi o amati dai francesi – da Charles Trenet (la sua Vivo ricorda tanto una La mer al ralenti), fino al Paoli dei più efferati furti d’oltralpe o al Fabrizio De André dei violini d’amore perduto che alla Francia devono quasi tutto – ma ha già in sé, e non di certo da ieri sera, non semplicemente un’aura in grado di richiamare l’immaginario da chansonnier ma, piuttosto, un’abilità nell’interconnessione dei linguaggi e nella definizione dell’immaginario capace di sollevare una certa idea di (nuova) nouvelle vague.

Foto: Marco Previdi

Il film del concerto di ieri sera, in onda da domani, martedì 13 aprile, su Dice per una settimana come contenuto on demand, è una rappresentazione sonora per orchestra, pop e voce, di un ideale passaggio dal buio alla luce. Quella a cui abbiamo assistito, insomma, è stata la messa in scena di un percorso di rinnovamento, un iter di rinascita nella Luna nuova che vuole rappresentare un’elaborazione simbolicamente collettiva del lutto, quello dell’essere rimasti lontani per oltre un anno, privati all’improvviso di concerti e musica dal vivo in ogni sua forma, quella sonora e quella umana.

Accompagnato dall’Immensità Orchestra composta da 11 elementi – sezione ritmica, fiati, archi, chitarre, tastiere e cori – e sotto la guida di Fabrizio Borelli alla regia, Andrea Laszlo De Simone abita nel film gli spazi della Triennale di Milano, laddove quegli spazi stessi passano dall’essere semplice scenario al diventare parte fisica fondamentale dello spettacolo: sono loro, infatti, a regalare al percorso di catarsi della suite di De Simone il buio e la luce, a rappresentare in prima linea la speranza che l’oscurità sia il passato e la luce il futuro, mentre l’autore canta della precarietà e della caducità connaturata all’essere vivo, nella consapevolezza – che finigiamo di dimenticare ma che nell’ultimo anno ci è stata continuamente sottolineata – che si muore troppo in fretta.

Foto: Marco Previdi

Consapevoli che nulla può né potrà mai in alcuna forma replicare l’esperienza umana, emotiva, artistica della musica dal vivo, il film del concerto ieri sera ha vinto su due fronti: da un lato, quello più prettamente connesso alla questione performativa, nel mostrarci qualcosa che, grazie alla regia, può in qualche modo ricordare l’esperienza viva dell’osservazione multitraccia di ciò che accade su un palco (appunto si diceva della possibilità di mettere gli occhi non staticamente su un soggetto, come è avvenuto nei tanti concerti in streaming negli ultimi mesi, ma su tutti i singoli pezzi che compongono il puzzle della performance); dall’altro nell’impresa di riuscire a farci sentire, grazie anche all’ottimo lavoro di promozione che da sempre contraddistingue il MiAmi, lì in tanti, tutti insieme di nuovo, pur distanti.

Sarà la bolla, potrebbe obiettare qualcuno, ma quello che è accaduto ieri sera è riuscito a farci dire, o ascoltare, pur con un velo di smaliziato dispiacere sul fondo, frasi come: ci vediamo lì. E, di questi, tempi, proprio poco non è.

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