Si può chiedere a una persona che ha sempre avuto quattro – se non tre – in matematica e fisica al liceo (scientifico!) di capire Interstellar? Di sicuro non al primo colpo. Ma direi nemmeno al secondo. Forse al terzo, ma solo se in mezzo ci si mette la conferenza-spettacolo La fisica di Interstellar, dove il simpaticissimo, bravissimo, preparatissimo astrofisico Luca Perri spiega alle capre come me il funzionamento di buchi neri, gravità, cunicoli spazio-temporali e compagnia cantante. Classe 1986, dottore di ricerca in Fisica e Astrofisica all’Università dell’Insubria e all’Osservatorio di Milano Brera, Luca Perri si occupa di divulgazione scientifica tra radio, televisioni, carta stampata, festival e social network. Il 27 aprile esce il suo nuovo libro – La scienza di Guerre Stellari, Rizzoli – dove, spaziando dalla fisica alla biologia, dall’astronomia all’ingegneria, dall’economia alla chimica, Perri ci conduce in una galassia lontana lontana e ci fa scoprire che la relazione tra scienza e fantascienza non è mai a senso unico. L’abbiamo incontrato telefonicamente per l’occasione: doveva essere una chiacchierata veloce, e invece s’è trasformata nel sogno proibito di qualsiasi nerd che si rispetti.
Luca, io non ho capito nemmeno Tenet: al primo tornello mi son persa.
Tranquilla, ho in programma qualcosa a riguardo perché la questione dei tornelli è fisicamente errata: possiamo dire tranquillamente che tutto è una grossa supercazzola. Da un punto di vista scientifico, l’inversione temporale non funziona affatto così: Tenet è proprio sbagliato.
Allora magari è per quello che non l’ho capito.
Certo: la tua mente non ha accettato una cosa che fisicamente non sta in piedi!
Dài, è Christopher Nolan che si concede delle “licenze fisiche”.
In realtà in Interstellar ha voluto una forte base scientifica e poi s’è preso delle licenze per questioni di sceneggiatura, sennò il film sarebbe finito subito. In Tenet, invece, ha preso una sua concezione di come avrebbe potuto essere un’inversione temporale, se n’è fregato del fatto che non avesse alcun senso fisico e l’ha utilizzata come scusa per giustificare delle scelte a livello artistico e di sceneggiatura. Per Interstellar s’è avvalso di Kip Thorne, futuro Premio Nobel per la fisica, chiedendogli cosa sarebbe potuto succedere, dopodiché ha romanzato la risposta.
Quindi con Tenet Nolan c’ha perculato.
Ovvio! È fantascienza pura dal secondo minuto: visivamente bellissimo, ma appunto fantascienza pura.
Passiamo al tuo acerrimo nemico, Rian Johnson.
Star Wars: Episodio VIII è orribile, e non è che J.J. Abrams con gli episodi VII e IX avesse fatto dei miracoli. Rian Johnson crede che nello spazio si possa bombardare una nave facendo cadere le bombe dall’alto mentre si è in orbita attorno a un corpo celeste. L’ho visto e m’è venuto un mezzo infarto: se sganci le bombe in assenza di peso, queste rimangono a galleggiare nell’astronave, finendo col cozzare fra loro distruggendola.
Non si limita però a quello.
Macché. Lui prende il concetto di iperspazio di Star Wars – che non è quello fisico, scientifico che esiste in Interstellar, ossia lo spazio-tempo con una dimensione in più –, concetto per altro che era lo stesso da sette film, e lo butta nel cesso. Decidendo deliberatamente che “iperspazio” è “accelerare alla velocità della luce”. La scena in cui il viceammiraglio Amilyn Holdo (Laura Dern, nda) s’immola accelerando alla velocità della luce e schiantandosi con il suo incrociatore contro l’ammiraglia nemica non è solo sbagliata dal punto di vista scientifico, ma viola anche le leggi fisiche di Star Wars. Se questa fosse una strategia vincente e andare nell’iperspazio significasse soltanto accelerare alla velocità della luce, perché è stato fatto un intero film su come distruggere la Morte Nera? Non bastava prendere un caccia a caso, sfracellarglielo addosso e separarla a metà?
Un tradimento, insomma.
Ma vuoi dirmi che, mentre viaggiano nell’iperspazio, non beccano neanche un granello di polvere interspaziale, che a quel punto distruggerebbe il Millennium Falcon di turno? Rian Johnson ha ignorato il passato di Star Wars, ha stravolto la sensatezza di un’intera saga per una scena sì, potente, ma non necessaria ai fini della trama.
Personalmente – trilogia originale a parte – il film che m’è dispiaciuto di meno è Rogue One.
Concordo, e tutto sommato pure Solo – rispetto al quale nutrivo zero aspettative – è stata una caciarata non così malvagia. Rogue One – che, se non vado errato, è l’unico film dove non si parla mai di Forza – forse è la cosa migliore di Star Wars uscita negli ultimi vent’anni: la trilogia prequel non m’ha entusiasmato, anzi, l’Episodio I è davvero terrificante; la trilogia sequel poi è peggio che andar di notte.
Il tuo episodio del cuore.
Da sempre e per sempre il primo del 1977, Una nuova speranza (che, seguendo l’ordine starwarsiano è l’Episodio IV, nda). Era il 1996: avevo una decina d’anni quando lo vidi per la primissima volta, e già si stava iniziando a parlare dei lavori in corso per La minaccia fantasma, uscito nel 1999. Andai a recuperare la trilogia originale in VHS, e m’aprì un mondo: dato che all’epoca ero un bambino, m’innamorai degli ewok, che adesso – da adulto – trovo piuttosto fastidiosi.
Il tuo personaggio preferito.
Senza dubbio Yoda: è pesante, paziente… insomma, non potrebbe non essere Yoda. Io poi sono parecchio goloso, e la scena in cui appare per la prima volta e rovista nella borsa di Luke Skywalker, tirando fuori una barretta di cioccolata e mangiandosela, m’ha fatto capire che sarebbe stato il mio spirito guida.
Avrai sicuramente visto The Mandalorian.
L’ho visto e ti dirò, pur essendo una paraculata unica – nel senso che si tratta di puro e semplice fan service, tra l’altro dichiarato – l’ho trovato un prodotto gradevole. Questo nonostante la trama sia sempre la stessa e nonostante le strizzatine d’occhio ogni due per tre.
Come ti posizioni rispetto agli Avengers?
Ho visto tutti i film della saga, non mi dispiacciono affatto, la maggioranza me li sono pure goduti, ma rimango più uno da DC Comics che da MCU perché è un mondo un po’ più “realistico”, Superman a parte. Batman, per esempio, è solo un tizio ricco: come Iron Man, sì, però Iron Man va nello spazio; Batman resta sulla Terra e le prende spessissimo. Gli Avengers ti chiedono una totale sospensione dell’incredulità, è l’equivalente dell’«ok, ora cazzeggiamo». Noi disagiati ci divertiamo a calcolare che densità dovrebbe avere il martello di Thor, ma si tratta di passatempi della domenica: gli Avengers non danno spunti particolari per parlare di scienza, e va benissimo così.
Domanda spinosissima: Gravity è davvero un macello?
Perché vuoi farmi del male? Mettiamola così: in confronto voglio bene a Rian Johnson.
Urca!
È il film che odio di più nell’universo, e ci tengo a chiarire che da un punto di vista cinematografico è spettacolare: ma grazie al cavolo, le immagini sono co-prodotte dalla NASA. Il budget non mancava e le ricostruzioni sono abbastanza precise; il problema è che si creò un tale hype attorno al film che Cuarón – per questioni di marketing – a un certo punto disse: «Abbiamo praticamente girato un documentario nello spazio».
E tu, da bravo astrofisico, ti eri creato delle aspettative.
Chiaro! È lo stesso gioco che venne fatto con Interstellar: lì però abbiamo delle “licenze fisiche”, qui è tutto sbagliato dall’inizio alla fine, non ne hanno azzeccata una. Prendiamo l’espediente narrativo, un effetto domino che distrugge i satelliti: è una cosa fisicamente impossibile, nel senso che, se si distrugge un satellite su un’orbita, la probabilità che i detriti migrino di orbita in orbita distruggendo gli altri satelliti è pressoché zero. Questi oggetti viaggiano a decine di chilometri al secondo, i protagonisti li vedono e li schivano manco fossimo dentro Matrix: vabbè, soprassediamo e andiamo avanti. Gli stessi protagonisti si spostano di orbita in orbita, di navetta in navetta, o con il jet pack o addirittura con un estintore. Ora, per cambiare orbita nello spazio occorre accelerare o decelerare di qualche chilometro al secondo: tanti auguri a doverlo fare con un estintore!
Ma la cosa che ti turba di più è un’altra.
Ebbene sì: è la scena in cui arrivano sulla stazione spaziale internazionale, s’incastrano nel paracadute che s’è aperto per sbaglio; sono legati al cavo e a un certo punto George Clooney sta per trascinare con sé Sandra Bullock, che ha il piede infilato nei cavi del paracadute. Clooney allora si sacrifica, si sgancia e vola via nello spazio: bene, se tu e io fossimo collegati con un cavo, fossimo nello spazio, fossimo fermi – cosa che loro erano – e tu decidessi di sganciarti dal cavo, continueremmo tranquillamente a guardarci nelle palle degli occhi, a sorriderci e a salutarci.
Insomma, sarebbe stato tutto ok se non ci fosse stata la pretesa realistica.
Esatto, se fin dall’inizio avessero dichiarato che si trattava di fantascienza sarebbe stato un conto. Prendiamo Ad Astra: un filmaccio terrificante che avrebbe potuto giocarsi il podio con Gravity, ma in quel caso nessuno ha millantato che fossimo di fronte a un “documentario nello spazio”. Gravity m’ha offeso perché mi sono sentito preso in giro.
Grado di inattendibilità di Armageddon da uno a dieci.
(Ride parecchio) Nove e mezzo, dove il mezzo punto è legato al fatto che hanno davvero girato alla NASA, nei loro spazi.
Ma scusa, la NASA se ne frega? Co-producono film e danno i loro spazi senza supervisionare l’accuratezza del prodotto finale?
Conta che al CERN hanno girato Angeli e demoni, che dal punto di vista scientifico, quando parla di antimateria, è una roba da cavarsi gli occhi e le orecchie. È una questione di autopromozione e pubblicità: gli enti internazionali vogliono destare curiosità nello spettatore e avvicinarlo alle loro realtà. Se sanno che hanno tra le mani un potenziale blockbuster, se ne fregano bellamente dell’attendibilità e dell’accuratezza finale.
Torniamo ad Armageddon.
Armageddon è dichiaratamente una cafonata, non ha nessuna pretesa di veridicità: la storia gira attorno a Bruce Willis che deve trapanare un asteroide, cosa può esserci di sensato in questo? (ride di nuovo). A me personalmente non ha turbato: ho spento il cervello e me lo sono goduto.
Non ci credo che tu abbia spento il cervello.
È vero. Ho fatto i conti sulla trivellazione dell’asteroide: non tornano in nessun modo.
Un film e una serie tv che si salvano, “astrofisicamente” parlando.
Film: Moon di Duncan Jones, con Sam Rockwell. Serie tv: The Expanse di Mark Fergus e Hawk Ostby, su Amazon Prime Video.
Curiosità: perché nel tuo libro La scienza di Guerre Stellari sostieni che la corsa allo spazio l’abbiano vinta i russi e non gli americani?
Gli americani hanno fatto per primi soltanto due cose: mandare degli esseri viventi nello spazio – nel 1947, dei moscerini della frutta – con un razzo già pronto costruito dai nazisti; mandare un essere umano sulla luna. Tutto il resto – il primo animale in orbita, il primo animale tornato vivo dall’orbita, il primo essere umano nello spazio e in orbita, il primo viaggio in due persone, il primo viaggio in tre persone eccetera eccetera, è dei russi.
Quindi i russi hanno perso non la sfida più importante, ma quella più notiziabile.
Il capo del loro programma, l’ingegnere Sergej Korolëv – genio assoluto grazie al quale i russi avevano battuto gli americani sotto ogni punto di vista – nel 1967 morì di tumore. I russi all’epoca avevano un pessimo sistema di gestione, la corruzione dilagava, il lavoro era assai frammentato: finché c’era Korolëv le cose funzionavano, ma quando venne a mancare ci fu un vero e proprio collasso. Nessuno riuscì a ultimare il razzo potentissimo – l’equivalente del Saturn V statunitense – che avrebbe portato l’uomo sulla luna: i quattro tentativi di lancio avvenuti tra il 1967 e il 1968 fallirono miseramente, e così i russi rinunciarono all’allunaggio. Non si può dire che la corsa allo spazio sia stata vinta dagli americani, a meno che non si dica che la corsa allo spazio aveva come unico, grande obiettivo l’allunaggio umano. Qualsiasi altra conquista spaziale, però, resta dei russi: per me un gol vale uno, non è che per l’ultimo siano previsti più punti.
Una storia che sarebbe la sceneggiatura perfetta per un film o una serie tv.
Io per ora ci ho fatto un podcast su Audible con Adrian Fartade: s’intitola VS – Verso lo spazio, sono sedici puntate da un’oretta circa ciascuna, in cui raccontiamo tutta la corsa allo spazio.
E meno male che mi dà questa dritta per liberarlo dopo quasi un’ora trascorsa al telefono: fosse stato lui il mio professore di fisica al liceo, probabilmente avrei potuto ambire a un dignitosissimo sei.