La storia di amour fou universale
Hong Kong, 1962. Mrs. Chen (Maggie Cheung), di professione segretaria, e Chow Mo-wan (Tony Leung), giornalista, scoprono che i loro rispettivi coniugi sono amanti. Basterà questa coincidenza a far esplodere la passione anche tra loro? Niente di più, niente di meno. Wong Kar-wai, che firma anche il copione, risparmia sulla trama di In the Mood for Love (dopo ventun anni di nuovo nelle sale italiane dal 28 aprile, distribuito da Tucker Film), ad oggi il suo film più celebre in tutto il mondo. Ma in realtà quella sinossi riassumibile in due righe appena è sufficiente a creare una delle più grandi storie d’amore di tutti i tempi. Un amour fou totale, sensuale, universale. Fino a un finale – no spoiler – che è un semplice sussurro. E che nessuno potrà, probabilmente, mai comprendere. La Sofia Coppola di Lost in Translation, uscito pochi anni dopo, forse ne sa qualcosa…
La coppia Tony Leung-Maggie Cheung
Tony Leung Chiu-wai, questo il nome “completo” cinese, e Maggie Cheung erano già delle star non solo in patria, grazie a cult del cinema a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Il primo era uno dei maggiori attori drammatico-action grazie a titoli come Città dolente di Hou Hsiao-hsien e Bullet in the Head di John Woo, per poi diventare il favourite dello stesso Wong Kar-wai; la seconda era un’altra diva da blockbuster d’azione “made in Asia”, ma anche il volto d’auteur europeo soprattutto per merito di Irma Vep di Olivier Assayas, al tempo (era il 1996) suo compagno. Ma è con In the Mood for Love che entrambi trovano la fama internazionale. E lo status di icone del grande schermo, grazie anche a due personaggi che sembrano usciti da un classico hollywoodiano alla Casablanca.
La regia di Wong Kar-wai
Anche per il regista In the Mood for Love è la consacrazione globale. Il circuito festivaliero-cinéphile conosceva già Wong Kar-wai assai bene per capolavori precedenti come As Tears Go By (1988), Ashes of Time (1994), Hong Kong Express (1994) e Happy Together (1997). Ma è la sua fiammeggiante love story a sfondo (pure) politico – la Hong Kong anni ’60 in cui è ambientato il film è anche simbolo del crollo del colonialismo occidentale – a definire per sempre la sua poetica e la sua cifra stilistica ed espressiva. Dopo In the Mood for Love, Wong continuerà a fare grandissimi film: il quasi-sequel 2046 (2004), l'”americano” e incompreso Un bacio romantico – My Blueberry Nights (2007), The Grandmaster (2013). Ma, nell’immaginario collettivo, resterà sempre fortemente legato all’opera-summa uscita nel 2000.
I costumi e i dettagli cult
Basterebbero gli abitini di seta con collo alla coreana di Maggie Chung, diventati un must-have d’inizio nuovo millennio. Ma c’è anche il fumo che avvolge Tony Leung, alla maniera dei noir con Humphrey Bogart. E poi la carta da parati in tinta col guardaroba, i diner in cui s’incontrano i protagonisti, ogni singolo dettaglio di interni ed esterni capace di creare un period movie insieme classicissimo e contemporaneissimo. «Avevamo venti o venticinque vestiti solo per Maggie», ha raccontato Wong Kar-wai. «Visto che il montaggio finale del film è stato molto più corto del previsto, alla fine sembra quasi una sfilata di moda: si cambia in continuazione».
La colonna sonora
Come nei film precedenti e in quelli futuri (soprattutto 2046) dell’autore, la scelta della soundtrack è stata decisiva nella costruzione di questo “mito”. Si va dal tema portante composto da Shigeru Umebayashi (Yumeji’s Theme), divenuto uno dei commenti musicali più iconici del cinema degli anni 2000, al Bengawan Solo di Rebecca Pan, agli elegantissimi intermezzi di Michael Galasso. Fino a Nat King Cole nella sua versione “esotica”, ponte ideale tra Oriente e Occidente: si ascoltano Aquellos ojos verdes, Te quiero dijiste e, soprattutto, Quizás, quizás, quizás, mai usata con tale potenza in nessun altro film. «Y así pasan los días», ma In the Mood for Love resta ancora oggi uno dei più grandi film di sempre.