Gli influencer hanno bisogno di un sindacato. Sembra una boutade, persino Dagospia ha preso in giro questa possibilità (“faranno lo sciopero delle Stories?”), fatto sta che alla proposta della 25enne Mafalda De Simone con 176mila follower su Instagram si sono associati in tanti suoi colleghi e colleghe. Non sarebbe una novità, visto che già da qualche tempo organismi simili per la tutela di chi lavora nel marketing sui social sono presenti in America e in Inghilterra (AIC, American Influencer Council e TCU, The Creator Union). Sono nati dopo le manifestazioni del movimento Black Lives Matter, prima per denunciare il razzismo presente anche nel mondo del fashion influencing e poi per chiedere più diritti sul loro lavoro.
Non bisogna dimenticare, infatti, che nel 2022 l’industria dell’influencer marketing dovrebbe raggiungere un giro d’affari di 15 miliardi di dollari, secondo le stime di Vogue Business e, solo nell’ultimo anno, sono nate oltre 380 nuove agenzie e piattaforme nel mondo, come ha riportato un report di Influencer Marketing Hub.
E così, oggi sul Messaggero il progetto inizia a circolare anche in Italia grazie ad alcuni che si sono esposti in prima persona. In buona sostanza, chiedono nuove regole sugli aspetti economici, supervisionando i contratti e garantendo un trattamento paritario alle star che riescono ad attrarre contratti milionari e quindi possono disinteressarsi di certi problemi. Non esistono però solo i big, ma un universo di micro-influencer che spesso condividono le stesse rivendicazioni rispetto ad altri lavori per così dire più “classici”.
“È un errore pensare di far tutto da soli”, ha raccontato Paola Di Benedetto 26enne con 700mila follower, “bisogna proteggersi, avere alle spalle qualcuno che ti preceda e tratti per te con le aziende”. E ancora, Yuri Gordon Sterrore, 31 anni e 764mila follower su Instagram, chiarisce i pericoli di non unire le forze per chiedere diritti: “È molto rischioso perché appena arrivano i soldi il mondo intorno a te si popola di squali. Senza la persona giusta accanto non solo si rischia di non saper chiudere i contratti, ma anche di veicolare, senza volerlo, contenuti non appropriati o offensivi”.
Lo scoglio, per ora, sembra rappresentato da un fattore in particolare: quando una persona può essere definita (anche giuridicamente) influencer?