Morire per un TSO, oggi, in Italia | Rolling Stone Italia
Politica

Morire per un TSO, oggi, in Italia

Nel 2015 Andrea Soldi, 45enne torinese che soffriva di schizofrenia, è morto durante un Trattamento sanitario obbligatorio. Oggi esce un libro sulla sua storia, che è la storia di tante persone fragili come lui, abbandonate dallo stato

Morire per un TSO, oggi, in Italia

Era il 5 agosto del 2015 quando Andrea Soldi, 45enne torinese che soffriva di schizofrenia, morì durante l’esecuzione di un Trattamento sanitario obbligatorio – cioè il prelievo forzato di un paziente che soffre di malattia mentale e che, per una qualche ragione, rifiuta le cure.

Andrea non aveva mai manifestato forme di violenza, era ben voluto dalle persone che gli stavano vicino, amava scrivere e trascorreva la maggior parte del suo tempo seduto su una panchina nei giardini pubblici di Piazza Umbria, nel centro di Torino, il suo posto del cuore. Quella stessa panchina da cui non voleva alzarsi quando, quel pomeriggio, fu prelevato da tre vigili urbani che, stanchi dei continui rifiuti, lo strinsero al collo con una manovra per immobilizzarlo e convincerlo a seguirli in ospedale. Buttato a terra con la faccia sul selciato, ammanettato a pancia in giù e caricato su una barella, fu trascinato di forza su un’ambulanza, trovando la morte per una grave insufficienza respiratoria.

La procura di Torino aprì subito un’inchiesta, indagando sui tre vigili urbani e lo psichiatra Pier Carlo Della Porta, che furono poi rinviati a giudizio per omicidio colposo. Durante il dibattimento, i quattro hanno rivendicato a più riprese la corretta esecuzione delle procedure, continuando a parlare di una sfortunata fatalità – ad esempio, Della Porta ha ventilato l’ipotesi di un infarto provocato dal troppo caldo. Man mano che le testimonianze aumentavano, però, il quadro diventava sempre più chiaro: Andrea non era morto per un malore accidentale, ma a causa di un TSO condotto con modalità violente e irresponsabili.

Sono trascorsi quasi sei anni da quel mercoledì surreale in cui la dignità di una persona fragile fu calpestata e, per tante famiglie costrette a convivere con l’inadeguatezza dei servizi di cura, quella panchina è ormai diventata un simbolo.

“L’ingiusta morte di Andrea parla a molte persone: alle istituzioni, ai parenti di tanti malati che si sentono abbandonati, a chi preferisce voltarsi dall’altra parte”, racconta a Rolling Stone Matteo Spicuglia, giornalista Rai e autore di Noi due siamo uno, il libro che ripercorre la triste vicenda di Soldi, uscito da pochi giorni in libreria per Add editore.

Spicuglia ha seguito il caso da cronista sin dagli esordi, entrando in punta di piedi nel dolore dei familiari di Andrea e diventando uno dei portavoce della loro battaglia: “Durante le udienze, il papà e la sorella facevano spesso riferimento a un diario che Andrea aveva scritto nel corso degli anni. Questa cosa mi aveva subito incuriosito, così chiesi loro di prestarmelo per farne un libro. All’inizio non hanno voluto dirmi nulla, anche perché il processo era ancora in corso, quindi ho preferito non insistere. Quando, dopo un po’ di tempo, ne entrai in possesso, capii subito il valore di quegli scritti: mai avrei pensato che una persona in quelle condizioni, così fragile, potesse scrivere delle cose così belle. Pagine scritte con una lucidità spiazzante, testimonianze inestimabili di una persona che, nonostante le sofferenze, riesce ad aggrapparsi come non mai alla vita”.

Il diario copre vent’anni della vita di Andrea – dal 1990 al 2010 – e racconta la malattia e i fantasmi che abitavano la sua immaginazione: soffriva di allucinazioni e vedeva i suoi familiari come bestie feroci, come mostra il primo paragrafo del suo toccante zibaldone personale, datato 7 dicembre del 1990, in cui racconta la prima volta in cui le allucinazioni scossero la sua quotidianità: “Andai a casa e nel viaggio, per me che ero cobra, mia sorella era una mangusta, mio padre uno scimmione, mia padre una vipera o un leone”. Ma le storie di Andrea non hanno a che fare soltanto con il dramma personale: c’è spazio per tanto altro, dall’ amicizia all’ amore, dalla spiritualità al senso della vita.

“Negli ultimi anni la malattia mentale è diventata quasi un tabù, quando invece è un problema con cui moltissime famiglie fanno i conti quotidianamente”, prosegue Spicuglia, “famiglie che, purtroppo, in gran parte dei casi vengono lasciate sole, come testimonia la storia di Andrea. Bisogna prendere coscienza di questa situazione: molti malati, soprattutto schizofrenici, ricevono non più della semplice iniezione di psicofarmaco quando, in realtà, avrebbero bisogno di tutta un’altra serie di interventi, soprattutto educativi e sociali. Serve una nuova visione culturale: tutte le persone fragili dovrebbero avere diritto a una vita, se non normale, quantomeno di qualità”.

Il caso Soldi ha scoperchiato un vaso di Pandora, puntando i riflettori sulla scarsa attenzione che l’Italia riserva alle persone con disagi mentali.Il TSO è previsto per legge dal 1978 e rappresenta uno dei grandi lasciti dell’eredità di Franco Basaglia: è stato introdotto per assicurare al cittadino, anche se folle, il suo pieno diritto costituzionale. Nei manicomi i malati di mente erano invisibili, trattati come reietti da nascondere: l’introduzione del TSO puntava a risolvere questa criticità, garantendo a quelli che venivano definiti “internati” la dignità di persone a tutti gli effetti.

Tuttavia, da anni è soggetto ad alcune critiche, secondo cui sarebbe poco regolamentato e funzionerebbe “a macchia di leopardo”. Lo racconta molto bene lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, intervistato da Spicuglia nell’ultima parte del libro. Dell’Acqua sottolinea tutta una serie di anomalie, come il fatto che in alcune città i TSO vengano svolti da squadre speciali di vigili con medico e infermiere che non fanno parte del centro di salute mentale del paziente, la scarsità delle risorse messe a disposizione e l’assenza dello Stato: “Il TSO è lo specchio delle differenze di standard che permangono nel nostro paese”, prosegue Spicuglia, “basti pensare che in Sicilia se ne fa un uso parecchio esteso, mentre in Friuli Venezia Giulia sono pochissimi. A Trieste, dove i servizi funzionano 24 ore su 24, si registra una delle percentuali di TSO più basse d’Italia”.

La quantità e la qualità pessima dei TSO sarebbero quindi direttamente proporzionali all’assenza di servizi sul territorio. Secondo Spicuglia, Andrea non era altro che il risultato di queste storture: “Protocolli da rivedere, personale da formare con più responsabilità e il malato da metter e sempre al centro: Andrea avrebbe chiesto solo questo. Se qualcuno lo avesse fatto prima di lui, oggi sarebbe ancora sulla sua panchina”.