Perché scrivo così poco? Perché a spiegare tutto c’è già Bo Burnham | Rolling Stone Italia
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Perché scrivo così poco? Perché a spiegare tutto c’è già Bo Burnham

Comico, regista, attore, cantante: sa fare tutto o lo fa benissimo in ‘Inside’, speciale “pandemico” appena arrivato su Netflix. Che dice perché tutti dovremmo smettere di usare Internet per sempre

Perché scrivo così poco? Perché a spiegare tutto c’è già Bo Burnham

‘Bo Burnham: Inside’

Foto: Netflix

In tanti mi chiedono «Come mai ultimamente scrivi molto meno di prima?», e io finalmente ho trovato la risposta. (Lo so, hanno riaperto la pagina Facebook più bella di sempre, “Io, professione mitomane”, e dovrei stare attento a fare certe affermazioni in pubblico. Ma ho grande sprezzo del pericolo – e degli screenshot.) La risposta ce l’ho, dicevo. E non è «adesso ho un cane di cui occuparmi», o «devo fare il cambio degli armadi ora che è finalmente è arrivata la caldazza», o – più realisticamente – «finalmente ho un lavoro vero, e quelli che hanno un lavoro vero non hanno tempo per buttar giù i loro pensierini». No, la risposta è: guardatevi lo speciale Netflix di Bo Burnham e capirete.

Finora sapevo che Burnham, prima ancora di compiere trent’anni, aveva diretto un bel film indie (Eighth Grade) ed era stato il protagonista maschile di uno dei titoli più caldi della stagione, per quanto grandemente sopravvalutato (Una donna promettente). Ciò bastava a porlo sulla rampa di lancio della nuova Hollywood (che è sempre nuova, anche più del cinema italiano), e invece ora arriva Inside, lo speciale Netflix di cui sopra, a dirci che è ancora di più. E pure, chissenefrega direte voi, a rispondere alle mie (alle vostre) domande professional-esistenziali.

Bo Burnham ha preso un anno intero – un anno di Covid, che se anche da noi ci fossero dei bravi comici avremmo già il tormentone «Si può finire qui? / Ma tu davvero puoi / Buttare via così / Un anno di Covid?» – ecco, Bo Burnham ha preso un anno intero e di quell’anno non ha buttato via niente. Ed è arrivato a spiegarci il perché dei nostri blocchi (vabbè, del mio): tutti dicono scrivono si videoselfano troppo. Tutti hanno la bocca attaccata al profilo Instagram, prima che al cervello, spunta una cosa (sempre online: è un circolo Pickwick, sta tutto lì dentro, si conoscono tutti) e quelli due secondi dopo hanno già espresso la loro fondamentalissima opinione.

Bo Burnham: FaceTime with My Mom (Tonight)

Può essere la partita del cuore o la funivia, Galli o Lillo, Rula o Nanni (l’unico al mondo, parentesi, a cui dovrebbe essere concesso di usare Instagram), vale tutto, tutto è uguale. Che c’entra Burnham, direte voi. Burnham è quello che fa la stessa cosa – raccontare come va il mondo oggi; spoiler: va molto male – ma ribaltandola. E arrivando a farci sentire dei cretini tutti, noi coi nostri status pieni d’ispirazione e indignazione, noi coi nostri filtri e le nostre proiezioni, noi con le nostre buone cause che durano un pomeriggio, poi ne arriva un’altra e arrivederci. Noi parte di un sistema (pardon) che è stato confezionato per farci apparire cretini tutti, sempre, di più – «Jeffrey Bezos, you did it! Jeffrey Bezos, congratulations!» è la metonimia su cui il nostro, a un certo punto, ironizza.

Burnham, però, ci mette una cosa che a tutti (o quasi) manca: il talento. Come saggio sul nostro tempo, Inside vale più di mille panel (si dice così) animati dai giornalisti di Instagram, quelli che ti spiegano Israele e Palestina in quindici secondi, poi se vuoi fai swipe-up. Come tutti quelli che hanno talento per davvero, Burnham scansa da subito ogni obiezione possibile: sì, sono un maschio bianco etero e privilegiato; sì, faccio il comico in un momento in cui far ridere è pressoché impossibile; sì, mi merito anch’io una segnalazione alla pagina “Io, professione mitomane” perché, per un anno intero, non ho fatto altro che riprendere me stesso credendo di essere tanto interessante (la differenza, rispetto a noi, è che lui lo è davvero).

Burnham è anche un bravissimo cantante, Inside è di fatto il più bel musical dell’anno, le canzoni sono una più strepitosa dell’altra, e il suo autore è così superiore alle logiche del mondo corrente (dell’Internet corrente) che non le ha manco fatte uscire su Spotify. Quindi non potrò passare le prossime settimane (il prossimo anno) a cantare White Woman’s Instagram o Welcome to the Internet e pensare ogni santo giorno: ecco, è esattamente per questo che ormai scrivo pochissimo.

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