No, non ne parlerò – anche se, scrivendo che non ne parlo, ne sto effettivamente parlando – perché un po’ non ne posso più, un po’ volevo puntualizzare una cosuccia che nessuno scrive. Lo dico da donna che un paio di robette minuscole di tanto in tanto se le aggiusta, e dal basso della mia infinitesimale esperienza con la chirurgia estetica posso assicurarvi che sul viso di Kate Winslet il filler c’è, ma non si vede. Come d’altronde richiedono le migliori infiltrazioni di acido ialuronico, che non sono il botox di Nicole Kidman, per intenderci: l’espressione rimane la stessa, così come la mimica facciale e le rughe; semplicemente, viene ridotta la profondità di queste ultime. Nessun effetto culo-di-bambino appena nato insomma, ma un turgore e una luminosità che regalano un credito di tre, barra quattro anni, senza sconfinare nel finto plasticoso alla Renée Zellweger.
Chiusa la doverosa parentesi di onestà estetico-intellettuale, veniamo a Omicidio a Easttown, miniserie di sette episodi dal 9 giugno in onda su Sky Atlantic e in streaming su NOW, ideata da Brad Ingelsby e girata da Craig Zobel. Il titolo originale – sempre più figo, sempre – è Mare of Easttown, dove Mare è l’abbreviazione di Marianne, e messa giù così ricorda volutamente l’appellativo che si dà ai santi. Mare di Easttown, detective protettrice degli abitanti di una cittadina della Pennsylvania dove se hai sedici anni, pochi soldi, una famiglia sfasciata e la cultura di un colibrì, hai due possibilità che non necessariamente si autoescludono: drogarti o prostituirti. Easttown è un posto parecchio ambiguo, che sembra quasi risucchiare le persone impedendo loro di muoversi: tutti restano impantanati in esistenze che non vogliono, in scelte di ripiego, in un balletto corale d’infelicità e disperazione che fa a cazzotti col sogno americano accogliente e redentivo a cui siamo abituati.
Raccontare un thriller ben scritto e ben sviluppato (che sogno!) senza anticipare nulla è maledettamente difficile, ed era dai tempi di quel gioiello di The Night Of… che non ci si godeva un bel crime drama come si deve. Schivando spoiler come un vietcong in un campo minato cambogiano, Omicidio a Easttown si compone di due storie parallele, eppure legate indissolubilmente l’una all’altra. La prima è la storia privata di Mare, una che è stata presa a pugni e calci dalla vita, e ogni colpo inferto si vede sia a livello esteriore – il corpo appesantito, i capelli con dieci centimetri di ricrescita, l’assenza di make-up, gli abiti sformati, le mille Rolling Rock bevute – che interiore – la durezza, le spigolosità, la brutale sincerità che comunque non si trasforma mai in stronzaggine.
La seconda è il mistero attorno al quale ruota la serie, l’omicidio di una ragazzina avvenuto a Easttown, che a un certo punto sembra risolto e invece no, la questione è molto più complicata, ben strutturata e coinvolgente di quanto credessimo all’inizio. E, soprattutto, trascina con sé in maniera più o meno diretta qualsiasi abitante di Easttown, inclusi quelli di passaggio, come l’affascinante scrittore Richard Ryan (Guy Pearce). I comprimari sono strepitosi, partendo dal citato Guy Pearce (la sottoscritta è una delle principali esponenti del partito Make Guy Pearce Cool Again), passando per la divertentissima madre di Mare, Helen (Jean Smart), fino allo sfacciato e idealista collega detective Colin Zabel (Evan Peters) e alla migliore amica, la tenera e materna Lori (Julianne Nicholson).
La butto lì: Omicidio a Easttown è la versione “seria” di The Undoing, il thrillerone che c’aveva tenuto incollati allo schermo a gennaio, salvo concludersi dopo sei puntate con uno dei finali più deludenti della storia della tv. Di The Undoing ricorderemo per sempre i cappottini di Nicole Kidman; il real estate-porn ai suoi massimi storici; Matilda De Angelis ignuda; Hugh Grant in smoking; i capelli, gli occhi, il portamento e il botox di Nicole Kidman. Di The Undoing, insomma, ricorderemo l’estetica e i furbissimi cliffhanger; di Omicidio a Easttown ricorderemo che – nonostante la trama non sia nuova e il genere sia stato ampiamente trattato – fare un’ottima miniserie crime è ancora possibile.
E qua arrivo al punto dolente. Dolente perché quando s’è pentita d’aver lavorato con Woody Allen e Roman Polański – che l’hanno diretta nei due migliori film della sua carriera – l’ho detestata. Dolente perché non ne posso più di polemichette, scaramucce e provocazioncine sul corpo femminile: vuoi farti ritoccare il rotolino sulla pancia e le rughette? Bene, lo capisco. Non vuoi? Va bene uguale, è folle pensare che durante un thriller al cardiopalma io stia lì a contare i tuoi chili di troppo. Dolente perché sì, lo ammetto, ora come ora mi sta antipatica, ma la sua performance in Omicidio a Easttown è a dir poco sublime. E io, d’altronde, sarei davvero sciatta e sleale se lasciassi prevalere le mie personali insofferenze su una prova che, mi auguro, le varrà una cascata di premi. Qui lo ammetto e qui lo confermo: Kate Winslet sposta l’intera miniserie – già notevole di suo – svariate spanne sopra, elevando innegabilmente la qualità del prodotto e deliziando noi fan assetati di polizieschi dove non bisogna dare nulla e nessuno per scontato.
C’è chi si dilungherà a parlarvi della “bellezza naturale” e del “coraggio” di Kate; chi sottolineerà che in Omicidio a Easttown i cosiddetti “temi importanti” (droga, suicidio, preti pedofili, gravidanze adolescenziali, omosessualità) sono efficacemente narrati; chi non farà a meno di notare con gioia che il capo di Mare è un afroamericano; chi darà fondo al suo sacco di luoghi comuni sugli Stati Uniti – che non sono mica New York o Los Angeles, ma questi covi di bifolchi che tengono la pistola nella cassetta degli attrezzi insieme al cacciavite. Io mi limito a ribadire quanto affermato nel titolo: Omicidio a Easttown è un thrillerone pazzesco, punto. Guardatene e godetene tutti, ché se una volta tanto ci facessimo bastare questo, senza l’immancabile inutile contorno, non sarebbe poi così male.