Oggi, nel giorno in cui avrebbe compiuto 93 anni, forse è giusto ricordare (o per alcuni scoprire) che Ernesto Che Guevara non è stato “soltanto” un rivoluzionario legato a ideali politici. Anzi, la sua figura è ancora così amata, a più di 50 anni dalla sua scomparsa, proprio perché va ben al di là del guerrigliero. Ce lo conferma Luce che accende la tua notte, la raccolta di poesie del Che con la traduzione a cura di Cosimo Damiano Damato, recentemente pubblicata da Compagnia Editoriale Aliberti. È qui che emerge finalmente e viene posto in primo piano il lato più inedito, cioè quello legato alla sua poetica.
Perché, come spiega nella prefazione l’autore, «alla voce professione della carta d’identità di Ernesto Che Guevara non scriverei Rivoluzionario, ma Poeta. Sì, perché Ernesto non ha lasciato un segno, il Che ha lasciato un sogno. Sognare un mondo senza ingiustizie è una grande intenzione poetica. Benedetta utopia di passione, ideali, speranze, sogni. Una potente sacralità si cela in questo atto eroico. Il Che è stato un Cristo rabbioso che ha scritto l’ultimo Vangelo senza la promessa di una resurrezione. Non ho avuto bisogno di vocabolari per tradurre le poesie del Che, i suoi versi appartengono ai cinque sensi, sono poesie olfattive cariche di odori».
Un ribaltamento della storia: un poeta-guerrigliero, non più un guerrigliero con la passione un po’ naif della poesia. Affascinante, quanto verificabile da questi scritti. Le poesie furono realizzate fra il Guatemala e il Messico: versi ribelli, versi d’amore, versi di speranza, versi visionari, versi rivoluzionari «che oggi ci donano un nuovo fuoco di resistenza e di umanità». E se, come diceva Benedetto Croce, ci sono traduzioni brutte e fedeli e traduzioni belle e infedeli, in questo caso Cosimo Damiano Damato non ha avuto timore di scegliere la seconda strada: «Come raccontava Fabrizio De André, a proposito delle sue traduzioni da Leonard Cohen, “per la bellezza sono disposto a qualsiasi tipo di infedeltà”».
E così, “il poeta dallo sguardo civile”, non solo già allora aveva capito quanto fosse necessario combattere contro le ingiustizie e le diseguaglianze, ma persino che l’aspetto sanitario era direttamente collegato ai diritti delle persone: «Prima di essere un rivoluzionario, è stato anche un medico. Un medico carico di umanità, sempre dalla parte dei deboli, degli ultimi, capace di donare versi intrisi di lacrime per una povera anziana combattente alla quale non era riuscito a salvare la vita» si legge sempre nella prefazione.
Non a caso, Damato per descrivere in che modo ha tradotto questi versi, non si è mai collegato alle vicende politico-militari a tutti note nella sua biografia: «Qualche consiglio sul senso di alcune parole me l’ha suggerito il Premio Oscar argentino Luis Bacalov e mi piace chiamare il Che per nome, Ernesto, un coetaneo con il quale condividere l’amore per la poesia di Canto General di Pablo Neruda o il Don Chisciotte riletto da Léon Felipe, e ancora la letteratura, il cinema, l’arte, l’empatia per gli ultimi. Ho avvertito la sensazione netta di sentire la sua voce leggendo le poesie. È accaduto all’alba – ha descritto Damato -, mentre la luna finiva il suo turno di notte. È accaduto a Valencia con l’ultima luna de Higueras che tanto assomiglia alla luna boliviana de La Higuera. Respirando l’odore del mare anche per lui, compiendo poi un rito. Stendersi in silenzio sulla terra. Provare a sentirne il battito, come se fosse il suo petto nell’ultimo affanno, assistere alla passione e al lamento della visione del Mantegna che si è fatto ancora prima profeta e poi sangue. Ecco quindi le mie poesie infedeli del Che».
A corredo delle poesie del Che, in questo volume compaiono altri testi come frammento del Canto General di Neruda, una scelta di versi che poeti e cantautori hanno a lui dedicato e una nota intitolata Il figlio della rivoluzione: un dialogo con Camilo Guevara e Alberto Granado a firma dallo stesso Damato insieme a Raffaele Nigro.