Al campo sportivo di Tresnuraghes, un gruppo di uomini parla animatamente in un momento di relax dopo notti insonni. Sono passati tre giorni dall’inizio dell’incendio che ha devastato la costa ovest della Sardegna – da Santu Lussurgiu fino alle spiagge di Porto Alabe. Sabato 24 luglio, all’imbrunire, le fiamme sono arrivate alle porte del paese, 1200 abitanti nel cuore della Planargia tra Oristano e Alghero. I pali della luce – che in queste zone interne della Sardegna conservano ancora la loro forma originale e arcaica in legno – sciolti e anneriti sul fondo strada, l’odore di fuliggine diffuso e i muri di cinta delle case come l’interno dei camini spenti testimoniano una tragedia scampata. Intorno al paese scheletri di ulivi e vigneti, una tabula rasa di campi da pascolo.
“Ho l’occhio bruciato”, precisa Giuseppe Cottino quando gli faccio notare che ha gli occhi arrossati. L’allevatore e barracello [un corpo forestale speciale dedicato al presidio del territorio sardo] è riuscito a salvare il suo allevamento, gestito insieme al fratello Antonio. “Da sabato fino alle 10 di mattina di lunedì non ho chiuso occhio. Non abbiamo ancora capito cosa ci è passato addosso. Non capiamo come un incendio partito a 40 chilometri sia arrivato qui e abbia fatto questi danni. Avevamo bisogno di aiuto ma non c’era nessuno”. Quando i Canadair – gli aerei che raccolgono centinaia di migliaia di litri d’acqua dal mare per spegnere gli incendi boschivi – sono rientrati nella notte di sabato, il fuoco ha agito indisturbato complice la giornata afosa e il vento di libeccio. In poche ore, nella notte, gli abitanti di Cuglieri e Tresnuraghes si sono ritrovati assediati dalle fiamme.
Il bilancio fa male: 20mila ettari di prati e boschi bruciati, ma non è ancora possibile calcolare i danni economici alle aziende della zona, dove prevalgono gli allevamenti di pecore e bovini. Anche la famiglia Cottino possiede terreno, mezzi e bestiame per la produzione di latte, precisamente un gregge e due allevamenti di bovini: “L’azienda che delimita il terreno bruciato dalla parte salva è la nostra. Adesso abbiamo anche paura che una possibile riaccensione porti via quello che siamo riusciti a salvare. Devi anche aiutare gli altri e non far pesare le situazioni, riuscire a fare tutto in modo equo per tutti”, spiega Cottino. Nel campo sportivo si accumulano gli aiuti: balle di fieno che dovranno sfamare il bestiame rimasto senza pascolo. “Da lunedì il foraggio accumulato sarà destinato agli aiuti. Sono circa 20 allevatori coinvolti a Tresnurghes tra chi ha perso tutto, fieno locali e pascolo”.
La comunità della Planargia è una realtà agro pastorale, il rapporto con greggi, terra e boschi fa parte dello spirito di chi la abita, soprattutto gli allevatori, come Cottino: “È un lavoro che continua sempre, c’è una selezione continua sul bestiame sulle colture. La pecora non è una zappa o un utensile che anche se si rompe poi riparte. Dobbiamo sempre cercare di migliorare o almeno ottenere uno standard alto. Oltretutto adesso che abbiamo margini di guadagno bassi, dobbiamo puntare su una certa produttività che ci costa mantenere”.
I barracelli sono un nucleo di protezione civile e forestale creato in Sardegna nel 1897, fanno la vigilanza alle proprietà, e dai primi di luglio facciamo anche una parte di antincendio del comune. “Quello che manca sono i mezzi, noi abbiamo solo un pick-up con la possibilità di trasportare 400 litri sopra. Mancano anche infrastrutture, ci sono le vecchie strade rurali ma non sono percorribili. Nei boschi mancano le fasce frangifuoco, oggi vengono realizzate solo dove passano i mezzi. Il personale interessato all’antincendio non ha le condizioni fisiche di idoneità. C’è un’età media abbastanza alta tra i forestali sardi, credo che l’ultimo concorso bandito in Sardegna risalga al 2005”.
A fiamme spente, nei paesi non si parla d’altro. Al bar, nelle piazze si raccontano storie di eroici cani da pastore che hanno tratto le loro pecore in salvo, allevatori costretti a scavare fosse comuni per il proprio bestiame, aziende olivicole in ginocchio. Si dice che i piccoli incendi per ripicca o vendetta siano frequenti in zona, si parla di mancate assunzioni, gelosie e competizioni. C’è chi azzarda la teoria della distruzione del territorio per scoraggiare il turismo o la ripresa economica, ma nessuno riesce a ricostruire il percorso del fuoco, che ha proseguito per 50 chilometri tirando in direzioni imprevedibili. La lettera “che aveva previsto tutto” – come ha titolato la cronaca locale e nazionale – firmata dal Comitato spontaneo del Montiferru (un’associazione locale costituita come Onlus) il 7 giugno segnalava al sindaco di Cuglieri la situazione a rischio dei boschi. Il gruppo di cittadini chiedeva misure urgenti per mettere in sicurezza le centinaia di ettari di bosco, diventato “un deposito di combustibile”. L’abbandono dei boschi e la proliferazione del sottobosco, è un elemento segnalato anche dagli allevatori del luogo, gli stessi che ipotizzano tre incendi distinti appiccati in momenti diversi. Mentre i Canadair continuano il loro percorso dal mare ai pascoli bruciati per prevenire nuovi roghi e iniziare la bonifica, il procuratore di Oristano Ezio Basso ha iniziato i sopralluoghi sul posto. L’inchiesta è stata avviata con l’ipotesi di incendio colposo aggravato, per il momento non ci sono nomi iscritti nel registro degli indagati.
Sulla strada provinciale che collega Tresnuraghes alla marina di Porto Alabe, si può ristabilire il percorso delle fiamme seguendo la linea d’ombra sui monti segnata dal fuoco, dai monti di Santu Lussurgiu e Cuglieri fino al piccolo canale che porta al mare. La guida è Giovanni Piras, ex poliziotto in pensione che ha perso il suo uliveto: “A me è andata bene, il mio uliveto è perso, e il vigneto solo bruciacchiato”. In tanti hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno saputo che una parte del cantiere di rimboschimento della guardia forestale – un progetto iniziato mezzo secolo fa – è stato salvato dalle fiamme. Solo attraversando entrambe le fasce del bosco, passando dal grigio, aspro e incolore della terra bruciata fino alla parte salva, ancora popolata da ettari di pini marittimi, eucalipti e sottobosco di macchia mediterranea si prende coscienza del danno evitato dal dispiegamento dei mezzi di soccorso. “Sono felice”, afferma Piras, “pensavo che non avremmo più potuto fare le nostre passeggiate domenicale nei boschi”.