A volte succedono cose che esulano dalla normale percezione terrena: ad esempio, qualcosa che nasce sottotraccia ed è apparentemente in secondo piano rispetto al tutto, finisce poi per diventare un tassello fondamentale per cui, se lo sfili, crolla tutto il resto. È il caso del Telaio Magnetico, una superband nata nel 1975, una delle tante emanazioni di Franco Battiato che fino al 1995 sembrava seppellita dalla storia e poi salita agli onori della cronaca musicale fino a diventare un vero e proprio caso, sfiorando il culto.
Battiato, il percussionista Lino Capra Vaccina (autore dell’osannato Antico adagio) Mino De Martino e Terra Di Benedetto (meglio conosciuti come Albergo Intergalattico Spaziale, il primo duo cosmico mai uscito in Italia), Juri Camisasca (potentissimo cantautore postbarrettiano nonché poi cantore mistico), Vincenzo Zitello (uno dei principali suonatori di arpa celtica e autore di deliranti progetti come ‘A Sciara) e il sassofonista Roberto Mazza che ricorda e sintetizza il Telaio con queste parole: «Un comune filo di follia collegava le nostre performance. L’ho pensato come un caos organizzato, tutto puntava a trovare un singolo passaggio musicale che rappresentasse il nostro stato al momento».
Un imbattibile laboratorio di improvvisazione astrale quindi. Per saperne di più abbiamo deciso di intervistare due dei protagonisti della mitica band. Nello specifico, Terra Di Benedetto e Lino Capra Vaccina, entrambi ancora attivissimi e pieni di energia musicale. Ascoltiamo dunque i loro ricordi di un progetto che, nonostante il tempo passato, sembra uscito e prodotto oggi.
Iniziamo con una domanda fondamentale: come vi siete conosciuti voi membri del Telaio?
Terra: Io sono a Milano dove recito al Piccolo Teatro. Avevo conosciuto Claudio Rocchi a Terrasini e Claudio mi aveva chiamato a cantare in un suo brano, Essenza. Lì in studio incontro Mino. Una mattina Franco – che per la prima volta appare alla mia vista – piomba in casa con un pezzo da far ascoltare assolutamente a Mino, un brano che gli era venuto di getto. Ascoltiamo e il pezzo, è bellissimo: Riduci le stelle in polvere… un testo quasi arcaico. Anche il viaggio ad Avignone, per un evento culturale, è stato importante. L’ingegno e l’audacia per risolvere in maniera brillante le difficoltà economiche per tornare a casa ha creato un certo affetto tra noi del gruppo. Abbiamo suonato insieme e quel concerto è stato un’anticipazione del Telaio, secondo me.
Lino: Andai a sentire un concerto di Franco a Milano, dopo lo show ci siamo incontrati e conosciuti, in quella occasione incontrai anche Mino: mi pare fosse il periodo di Pollution. Poco tempo dopo ho conosciuto Juri negli uffici della Bla Bla, l’etichetta discografica nella quale eravamo attivi. Poco dopo ancora conobbi Terra.
E da dove nasce il nome?
Terra: Il nome è un’idea di Franco.
Lino: L’idea del nome nasce per caso. Parlando con Franco si diceva che sarebbe stato interessante cercare di realizzare un suono magnetico, la parola chiave quindi divenne quella. Franco propose Telaio Magnetico e decidemmo che era il nome giusto.
Come è nata l’ idea di mettere su il supergruppo?
Terra: Si dovrebbe aprire un discorso sull’epoca degli eventi ed è complesso. Forse basta dire che era un’epoca inquieta, creativa, una fucina di fuochi e scintille, nuove influenze o influenze ritrovate, dal piano politico a quello dei linguaggi culturali e artistici. Mino aveva lasciato i Giganti, Franco stava emergendo. Juri, anche lui emergente, sceglierà in seguito la vita monastica. Io avevo lasciato il Teatro. Insomma, quel che intendo dire è che le anime avevano una loro direzione interiore. Ecco, in comune c’era che avevamo una vita interiore che… che tracciava una direzione.
Lino: Volevamo fare un gruppo che fosse unico nel suo linguaggio e che facesse della ricerca sonora, esprimendola attraverso l’improvvisazione spontanea. Direi che fu più per caso, non credo ci fossero motivazioni storiche precise.
Quali erano le vostre influenze all’ epoca?
Terra: Musica sperimentale, musica ripetitiva, musica popolare, musica orientale, rock, pop, contemporanea, musica antica, musica teatrale, ballate romanze. Tutti studiavano musica, ognuno tendeva a concretizzare la propria conoscenza e competenza in una visione del proprio io, diciamo.
Seguivate la scena estera o eravate autarchici?
Terra: Io sono anarchica. Per me sperimentare esige la distruzione creativa dei moduli cognitivi ripetuti fino alla coazione. La ricerca e la sperimentazione hanno a che fare anche con il mostruoso, l’inconscio, l’anormalità, a volte l’amoralità… per ritrovare una sospirata innocenza del sentire, no?
Lino: Sia una che l’altra cosa, seguivamo la scena estera ma eravamo anche autarchici.
Come sono nati i vostri leggendari live?
Terra: Ad Avignone, dove per ricavare soldi e tornare a casa abbiamo suonato insieme. Alla formazione del tour si sono poi aggiunti Zitello e Mazza, ancora giovanissimi. Zitello partecipò solo al primo concerto però.
Lino: I live nascono in modo semplice. In quel periodo il Partito radicale organizzava anche concerti: Franco chiese a Pannella se ce ne organizzava qualcuno, così venne fuori un breve tour. Roma, Milano, Bari, Reggio Calabria, Gela.
Lo stile del Telaio è in effetti un mix perfetto delle influenze individuali di ciascun elemento. Siete d’accordo?
Terra: È vero. E proprio per questo la capacità di coesione nell’improvvisazione era fondamentale: non abbiamo mai fatto prove, solo soundcheck e via, ognuno partiva e intrecciava il suo percorso con gli altri. Potrei dire che erano jam session. Era interessante sentire come la musica si creava da Franco e passava a Mino, Yuri e Lino. Il risultato era il fascino, l’altrove, una sottile inquietudine, una realtà essenziale. Era questa la rete di connessioni interiori da cui germinavano gli spazi sonori e i canti archetipici e spirituali nel Telaio, secondo me.
Qual è stato l’apporto che avete dato alla band in questo senso?
Terra: Lo definirei un apporto teatrale. Io ero attrice, avevo un timbro e un’estensione vocale particolare, voce e corpo educati alla recitazione, all’interpretazione, all’improvvisazione e al canto. Ero educata alla scena, alla presenza e al respiro degli altri attori ai quali si è collegati da un filo unico di memoria. E lo spazio dove il tracciato addensa le vite dei personaggi-attori. Era tutto studiato per comunicare in modo preciso quello che l’autore o la regia voleva che si intendesse. C’è anche un apporto spirituale: la scuola di Meditazione Trascendentale (Gurdjieff è venuto dopo) mi insegnava una costante salita delle vibrazioni sonore nel corpo, una salita che si muoveva in molte direzioni, finché reggeva non il fiato, ma l’attenzione. La voce e il respiro creano toni, timbri, fonemi, onomatopee, fasce vibrazionali, suoni emotivi di varie intonazioni, parole, canti e così via.
Lino: Non saprei dirti qual è stato il mio apporto, penso di aver contribuito alla ricerca sonora e a creare il linguaggio musicale del gruppo.
È curioso che il Telaio non abbia mai registrato nulla: come mai in un periodo in cui fissare qualcosa su supporto era quasi una febbre voi ve ne siete praticamente infischiati?
Terra: Ma sai… avevo la bimba appena nata, altre priorità.
Lino: Semplicemente non ci abbiamo pensato. Ognuno di noi aveva una propria attività artistica in atto, e quindi proseguimmo il nostro cammino.
Forse siete diventati una leggenda forse proprio per quest’aura di mistero? Ricordo che quando uscì il vostro primo disco Live 75 (nel 1995!) rimanemmo stupiti del fatto di non aver mai saputo che esistesse questo anello mancante della musica cosmica italiana…
Lino: È stato possibile realizzare Live 75 grazie al fatto che conservai le due bobine datemi da dei fan che registrarono due concerti, uno a Reggio Calabria e l’altro a Gela. Poi, nel 1995, mi venne chiesto di ristampare Antico adagio in CD dalla Musicando e il produttore mi chiese di queste registrazioni live del Telaio, così decidemmo di pubblicarle.
Come avete selezionato i pezzi da includere?
Terra: Quando Musicando pubblicò il CD io ero appunto impegnata in una delle nostre manifestazioni, se ne è occupato Mino.
Lino: L’abbiamo fatto io e Mino, siamo stati selettivi per ragioni di durata. Scegliemmo le parti più salienti e a nostro avviso interessanti delle registrazioni. Sì, il lavoro di ascolto fu lungo e impegnativo.
Parliamo di Battiato, la cui scomparsa ha scosso tutti: cosa ricordate di quel periodo con lui? In che fase era a quel tempo?
Terra: Era serio, serissimo, studiava. Dopo il pianoforte, il violino. Leggeva molto: filosofia, religioni, mitologia. Non si distraeva, seguiva un percorso iniziatico. Con Mino erano molto legati: siciliani di origine, condividevano gusti e pensieri. Io ricordo con che piacere programmava e accendeva il suo VCS nei concerti del Telaio.
Lino: In quel periodo Franco era nella cosiddetta fase sperimentale, basti pensare che nello stesso anno pubblicò l’album M.lle le Gladiator.
Col senno di poi, quanto ha influenzato il Telaio la nuova generazione di improvvisatori analogici? E secondo voi c’è qualche erede della vostra ricerca?
Terra: Non lo so, difficile dirlo.
Lino: Penso sia un punto di riferimento per molti della nuova generazione di improvvisatori “analogici” (vedi il fenomeno Thalassa) e sì, penso ci sia sicuramente qualcuno che ha raccolto il testimone.
Perché alla fine la band si è sciolta?
Terra: Il fato…
Lino: Non si è sciolto. Ognuno di noi aveva una propria attività artistica oltre al gruppo, quindi in modo naturale, siamo tornati a fare ciò che facevamo.
Avete mai pensato di riformarvi?
Terra: No. Come sai ognuno prese la propria direzione…
Lino: Non penso sia mai venuto in mente a nessuno di noi, e comunque non lo avrei fatto.
In fondo Battiato con l’operazione Joe Patti sembrava voler ritornare a perfezionare determinate strade musicali già percorse con voi…
Terra: Franco lo ricordo estroso, giocoso. Ricordo la piece teatrale Babysitter: era spiritoso, caustico, con un’aria di antica melanconia un aspetto elegante, uno sguardo dolce e lontano. Era molto centrato su se stesso, anche autoironico. Ricordo che durante un esercizio di meditazione, in cui la frase interiore era «io sono», mi disse che una vocina burlesca si era messa a canticchiare: «chi si…. tu si a canaria» (ride).
A proposito di strade musicali, quale è stato il vostro percorso dopo il Telaio?
Terra: Prima e dopo il Telaio c’è l’Albergo Intergalattico Spaziale. Io e Mino abbiamo svolto molto lavoro culturale come associazione, con manifestazioni di arte e scienza dove sono apparsi molti musicisti, poeti e attori. Abbiamo lavorato a spettacoli teatrali, musica di scena, laboratori. Come band abbiamo pubblicato un album. Personalmente ho partecipato a rassegne di poesia sonora. Sono in un paio di antologie e ho pubblicato una plaquette di poesie. L’ultima copia si trova oggi alla fondazione Gramsci, casualmente.
Lino: Il mio percorso artistico dopo il Telaio è stato intenso, pieno di attività, di dischi, sarebbe lunga da raccontare qui, possiamo fare in un’altra intervista, se vuoi (ride).
Quell’esperienza ha in qualche modo influenzato la vostra evoluzione musicale?
Terra: Sì, certo, anche se in quel periodo Mino ed io abbiamo avuto molte relazioni con altri artisti: pittori, scultori, poeti. Ma il sound astrale è rimasto, e la visione interiore pure.
Lino: Influenzato non direi. È sicuramente stata un’esperienza importante e straordinaria della mia carriera artistica, quello senza dubbio.
Nel 2017 le vostre musiche sono state usate come colonna a sonora del film Controfigura. Come avete vissuto questo rinnovato interesse?
Terra: L’effetto è stato molto scintillante.
Qual è secondo voi la lezione più grande che avete imparato dal Telaio Magnetico?
Lino: Non saprei dirti quale sia la più importante, diciamo che di certo è stato un capitolo importante e imprescindibile della musica sperimentale, non solo italiana ma mondiale. Non ci sono dubbi su questo.
Terra: Ha dato musica sincera, vera, imprevedibile, non c’è dubbio. Direi che l’irrealtà evocata dalla musica del Telaio Magnetico era spaesante. Chi ascoltava non aveva parametri o comparazioni certe, tranne forse alcuni. E qualunque senso acquisisse per la gente, restava nell’aria un indefinito stupore, un dubbio, un sospetto, una velata domanda negli sguardi, come se dicessero: «ma chi sono quelli?». Forse la lezione è stata mettere in gioco la propria identità.