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Vent’anni senza Aaliyah

Ora che i suoi dischi arrivano su Spotify ed esce un libro che racconta i dettagli dell'incidente che l'ha uccisa il 25 agosto 2001, è il momento di riconoscere il valore di una pioniera del contemporary R&B

Vent’anni senza Aaliyah

Aaliyah nel 2001

Foto: Sal Idriss/Redferns

Che siano trascorsi davvero vent’anni dalla tragica e prematura scomparsa di Aaliyah Haughton, una delle prime star dell’R&B a imporsi anche all’attenzione dei fan del rap e del pop, sembra quasi surreale. Non perché il tempo si sia realmente fermato, anzi; ma perché Aaliyah era così in anticipo da risultare avanti anni luce perfino oggi. Il suo look da maschiaccio, lontanissimo dagli stereotipi iper-sessualizzati degli anni ’90, riusciva a farla risultare ancora più femminile delle colleghe, ed è perfettamente in linea con le tendenze attuali. La sua vocalità delicata e complessa, sussurrata e mai sopra le righe è la stessa che ritroviamo nel contemporary R&B di artisti giovanissimi, che non erano neppure ancora nati quando lei è morta. Le produzioni futuristiche che ammiccano all’hip hop hanno aperto la strada a una generazione di sperimentatori e contaminatori. Nulla, nella sua storia e nella sua musica, suona polveroso o vetusto.

Il 25 agosto del 2001 Aaliyah stava sperimentando il periodo di maggior successo della sua breve vita. Ad appena 22 anni aveva già pubblicato tre album, l’ultimo dei quali, che portava semplicemente il suo nome, era stato incensato dalla critica e adorato dal pubblico. Si era finalmente e definitivamente lasciata alle spalle un periodo difficilissimo, che l’aveva catapultata al centro del gossip. Ad appena 15 anni era stata circuita dal suo primo produttore, il 26enne re Mida dell’R&B R Kelly (oggi in carcere dopo le molteplici accuse di abusi e violenze da parte di decine di donne, molte delle quali minorenni), che l’aveva convinta a sposarlo. Da quel matrimonio adolescenziale (e successivo divorzio) ne era uscita a pezzi, sia personalmente che a livello di immagine pubblica, e c’era voluto l’incontro con due nuovi produttori d’eccezione, Timbaland e Missy Elliott, a restituirle il sorriso e la credibilità. E finalmente aveva ritrovato anche l’amore: era fidanzata segretamente con Damon Dash, discografico e storico socio di Jay-Z, e presto sarebbero convolati a nozze. Si era inoltre lanciata in una nuova carriera cinematografica: aveva recitato nel ruolo di protagonista nel film culto Romeo deve morire, al fianco di Jet Li, e nell’horror La regina dei dannati, nei panni di una vampira millenaria. Non solo: aveva appena ottenuto uno dei ruoli principali, quello di Zee, in Matrix: Reloaded e Matrix: Revolution, le cui riprese sarebbero cominciate di lì a poco.

Negli ultimi giorni della sua esistenza terrena, si trovava alle Bahamas per girare il videoclip del suo nuovo singolo, Rock the Boat. Il piccolo velivolo da turismo che l’avrebbe dovuta riportare in America era stracarico di bagagli e affollato dalle persone del suo staff e, nonostante la contrarietà di Aaliyah a imbarcarsi su quel trabiccolo, la tabella di marcia di una diva in ascesa era troppo serrata per pensare alle contingenze. L’aereo si schiantò poco dopo il decollo, uccidendo tutti i passeggeri a bordo, lei compresa. Un’indagine successiva stabilì anche che il pilota aveva assunto alcol e cocaina.

Negli Stati Uniti, e soprattutto nella comunità nera, la sua morte sollevò un’ondata di commozione pari a quella che toccò alla principessa Diana in Inghilterra. Purtroppo, però, nonostante il suo ricordo non sia mai scomparso dal cuore dei fan e dei colleghi, la gestione del suo lascito è stata caratterizzata da scivoloni, involontari e non, che hanno impedito di renderle onore fino in fondo. Nonostante il grande amore per il cinema di Aaliyah, ad esempio, l’unica biopic finora prodotta su di lei è uno sdolcinato film tv a basso budget del canale americano Lifetime. Cosa ancora più grave e clamorosa, per problemi di burocrazia discografica fino a poco tempo fa l’unico suo album disponibile sulle piattaforme di streaming era stato il primo, Age Ain’t Nothing But a Number, che (ulteriore beffa del destino) è quello prodotto da R Kelly e non rappresenta minimamente l’evoluzione del suo sound.

Per fortuna, anche se ci sono voluti vent’anni, la situazione sta gradualmente cambiando. Da poco il catalogo in streaming è stato arricchito anche dal suo secondo album, One in a Million, e a breve dovrebbero arrivare finalmente anche il suo capolavoro Aaliyah e il disco postumo, I Care 4 You. Inoltre, è da poco uscito nelle librerie americane la ricca biografia Baby Girl (Better Known as Aaliyah), ad opera della giornalista specializzata in black music Kathy Iandoli. Un lavoro accurato e certosino, che rivela particolari inediti sulla vita e soprattutto sulla morte della cantante. Quel giorno lamentava parecchi malesseri e non aveva nessuna intenzione di volare, svela Iandoli nel libro, ma per non sgarrare sul fitto programma di promozione e apparizioni pubbliche già in agenda a quanto pare era stata caricata su quel fatale volo quasi di peso, dopo aver assunto dei misteriosi medicinali che l’avrebbero addormentata e “ammorbidita”.

In un’epoca pre MeToo, in cui la rivendicazione dei diritti di scelta delle artiste donne e l’importanza di prendersi cura di sé non erano ancora al centro del dibattito pubblico, Aaliyah non ha mai avuto il diritto ad alzare la voce e a parlare per sé, sottolinea la giornalista. Il che, per una delle voci più indimenticabili di tutti i tempi, è un paradosso grottesco.

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