Se hai fatto il film che ha cambiato la direzione del cinema, sei solo un attore? Forse sì, perché i film non sono degli attori, eccetera eccetera. Ma, nel caso di Jean-Paul Belmondo, morto oggi a 88 anni, insomma. C’è un avanti e un dopo À bout de souffle, cioè Fino all’ultimo respiro, millenovecentosessanta, e c’è un avanti e un dopo JPB. Nel film di Godard il suo naso schiacciato, il cappello, la camicia a righe, l’amore sotto le lenzuola, tutto concorreva a cambiare la strada, a stortare la forma dei divi.
Se esiste un derby tra i fighissimi di Francia, ovviamente lo giocano Delon e Belmond, il primo affilato, sottile, femmineo, l’altro con l’aria da botte, molto fisico, molto maschio (allora c’erano solo i due generi classici). Entrambi sarebbero entrati nel cinema di Jean-Pierre Melville, l’autore polar che meglio di tutti ha saputo definire il divismo maschile francese. Con lui Belmondo ha fatto Léon Morin, prete e Lo spione, e Lo sciacallo. E poi i rivali, che in realtà non lo erano, si sarebbero trovati nel caposaldo Borsalino di Jacques Deray, che sigla, in modo più pop e meno intellettuale, il loro apporto enorme al thriller e ai sogni di mezzo mondo.
Ma ci sono stati pure il nostro De Sica (La ciociara), Chabrol (che bello A doppia mandata), e Becker, Ophüls, Malle, Lelouch, Varda, Clément, Sautet, fino al Truffaut che resta tra le vette (di certo per me), La sirène du Mississippi, da noi tradotto scioccamente La mia droga si chiama Julie, un Hitchcock tropicale alla Réunion con Catherine Deneuve, altra coppia bellissima, divissima.
Con gran spirito e simpatia, negli anni Belmondo era diventato il nonno coi capelli bianchi (e, nella realtà, di una nipote oggi attricetta-socialite), e l’attore che si perculava da solo con le commedie (Uno dei due di Leconte, Actors di Blier), e il presidente di concorsi di miss e affini. Ma lui era leggenda, che gl’importava.
Il frame più bello di tutti resta il finale di Pierrot le fou (Il bandito delle 11), sempre Godard pochi anni dopo il Respiro rivoluzionario, lui con la faccia dipinta di blu un po’ clown e molto icona, ancora. (Ma pure lui che legge nella vasca con la sigaretta che pende dalla bocca e Anna Karina che lo guarda, anche quell’immagine ci va benissimo.)
No, c’è un altro frame. La notizia della morte di Belmondo arriva in piena di Mostra di Venezia, e lui ci venne cinque anni fa a ritirare il Leone alla carriera. Arrivò sul tappeto rosso al braccio di Sophie Marceau, cravatta rossa e stampella, zoppicante ma ancora bandito. A farla semplice, si dovrebbe chiudere con “fino all’ultimo respiro”, e visto che per lui il cinema è stato una cosa semplicissima, allora lo facciamo.