La campagna per un referendum sulla cannabis legale promossa da diverse associazioni per i diritti civili, tra cui in prima fila c’è l’Associazione Luca Coscioni, ha raccolto in soli tre giorni più di 300mila delle 500mila firme necessarie, con un successo straordinario e senza precedenti. Se si aggiungono le altre due campagne per un referendum attualmente in corso – quella per la legalizzazione dell’eutanasia, che con 750mila firme ha già superato alla grande l’obiettivo, e quella per l’abolizione della caccia, che è a quota 200mila – è chiaro che siamo di fronte a un fatto politico importante.
Tutti e tre questi casi hanno un elemento in comune: la possibilità di firmare online tramite lo Spid o altri strumenti di identificazione digitale, che ha cambiato profondamente il modo di presentare e organizzare referendum. Se infatti le 500mila firme necessarie erano un ostacolo notevole quando si dovevano raccogliere dal vivo, per esempio organizzando banchetti nelle piazze, adesso è possibile firmare in pochi click comodamente da casa. È lecito chiedersi dunque, se stia per cominciare un’epoca d’oro dei referendum.
Responsabile di questo cambiamento è il decreto semplificazioni approvato dal governo quest’estate, che ha aperto alla possibilità di firmare digitalmente per i referendum. L’autore dell’emendamento, il politico radicale Riccardo Magi, ha detto in un’intervista con Repubblica che ciò che sta succedendo è “un segnale forte per la politica”.
Secondo Magi la politica ha clamorosamente sbagliato la valutazione dell’importanza che i temi della legalizzazione della cannabis e dell’eutanasia hanno per gli italiani: non sono stati affrontati finora sostenendo che non fossero una priorità, eppure non appena gli italiani hanno avuto la possibilità di farsi sentire direttamente, a suon di firme hanno imposto i temi nell’agenda politica.
“Il referendum è una cosa seria: non serve solo a far pressione ma ad aprire un dibattito nel Paese”, ha detto Magi, ed effettivamente è in questo senso che si possono leggere i grandi successi delle raccolte firme in corso in questi giorni. Al di là di come finirà – se raggiungeranno le firme necessarie, se i referendum in questione si terranno o no, se vincerà il sì o il no – la cosa notevole è che si tratta di un ritorno clamoroso della politica attiva e diretta, dal basso, qualcosa che avrebbe fatto sognare il Movimento 5 Stelle delle origini.
Certo, ci sono soggetti promotori ma si tratta di associazioni della società civile e non di soggetti politici, e in ogni caso la campagna per la raccolta firme li ha ampiamente superati per prendere vita e andare avanti da sola. Il grosso del successo di queste campagne non è dovuto all’impegno diretto dei promotori ma al fatto che vadano avanti da sole, come per inerzia, in un Paese che evidentemente le ha accolte con favore. È dovuto al passaparola sui social, alle persone normali che si attivano per condividere le campagne con i loro amici e agli attivisti non legati a nessun soggetto politico che ne parlano e le diffondono.
Secondo il politologo della LUISS Giovanni Orsina, questo nuovo entusiasmo per i referendum si spiega anche con il processo di de-politicizzazione della politica. Sia nel breve – l’arrivo di Draghi con un governo sostenuto da praticamente tutti i partiti che ha messo come nel ghiaccio la competizione politica – che nel lungo termine: si tratta infatti di temi su cui la politica tradizionale è immobile da anni, se non da decenni.
Sempre secondo Orsina, però, non si dovrebbe esagerare nella valutazione di quello che sta succedendo. Fare referendum è più facile, sì, ma questo non porterà necessariamente all’avverarsi dei sogni di democrazia diretta. Oltre alla raccolta firme ci sono infatti ancora notevoli ostacoli nell’organizzazione dei referendum, che vanno dalle finestre temporali ristrette per raccogliere le firme alla necessità di raggiungere il quorum una volta che il referendum si fa. Il che vuol dire che non è che da oggi ci saranno referendum su ogni cosa ma che rimarranno comunque solo uno strumento utile, da abbinare a campagne su temi che già di loro hanno la forza di aggregare e mobilitare la cittadinanza. Senza contare poi che la politica può benissimo ignorare i risultati di un referendum – il caso più eclatante è quello sull’acqua pubblica, tenuto nel 2011 e rimasto sostanzialmente lettera morta.