Qualche giorno fa, durante Otto e mezzo, la trasmissione condotta da Lilli Gruber su La7, il filosofo Massimo Cacciari parlava della possibile trasformazione ed evoluzione – in bene o in male dipende dai punti di vista – della Lega e di un possibile futuro Paese governato dalle destre, affermando con molta serenità che l’unica soluzione possibile per mettere tutti d’accordo – la leadership indiscussa di Giorgia Meloni, il leader leghista Matteo Salvini, i filogovernativi di Forza Italia – e nel frattempo dare all’Europa l’immagine di una destra moderata fosse la candidatura a premier di Giancarlo Giorgetti, attualmente Ministro delle politiche per lo sviluppo economico.
Giorgetti è dunque l’uomo che potrebbe spodestare Salvini e portare la Lega a diventare un partito moderato. Laureato in Economia aziendale alla Bocconi, eletto per la prima volta deputato nel 1996, è cugino di un banchiere e ha fatto esperienza come sindaco in un piccolo comune del varesotto. Dal 2001 al 2006, con Berlusconi al governo, è stato Presidente della commissione camera e bilancio; nel 2002 è diventato segretario della Lega Lombarda; nel 2013 veniva invitato da Giorgio Napolitano a far parte del cosiddetto “Gruppo dei saggi” incaricato di elaborare un programma di riforme intorno a cui costruire la maggioranza per un nuovo governo. Infine, durante il primo governo Conte, è stato Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri.
Tutti hanno una storia e provengono da qualche parte. Matteo Salvini pare fosse uno di sinistra, che a Milano frequentasse il centro sociale Leoncavallo – che poi ha fatto sgomberare. Giancarlo Giorgetti ha un passato completamente diverso: è cresciuto nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Ma la differenza più netta con Salvini è un’altra: Salvini non sa cambiare, arriva in alto e non ci sa stare – come dimenticare il fatto che, arrivato all’apice della sua carriera, ha perso tutto per un mediocre delirio di onnipotenza, per quella famosa frase sui “pieni poteri”, peri i mojito al Papeete. Giorgetti invece sa andare avanti, indossare l’abito da “poteri forti” senza stringere la cravatta. Anzi, pare avere molto più respiro del suo leader e in caso di crisi sa cadere meglio.
Lo dimostra il fatto che, ormai da mesi, il nome del Ministro del governo Draghi è associato a una serie di polemiche, prese di distanza, battute e malumori non troppo celati che fanno sì che sulla stampa si parli già di scontri, di una frattura all’interno della Lega, di un passaggio di consegne – Matteo Salvini e base dura e pura del partito permettendo. Una vera e propria trasformazione, pare, a sentire le parole di una deputata leghista fuoriuscita dal partito che nel farlo non si è fatta mancare la frase “ormai qui comanda solo Giorgetti”.
E anche fuori dalla Lega tutto sembra girare a suo favore. Giorgetti si presenta come completamente diverso da Salvini, dal quale non ha mai avuto timore di prendere le distanze. Sul caso Morisi, l’ex guru della comunicazione salviniana accusato di spaccio di droga, Giorgetti non ha proferito parola, come se la cosa non lo riguardasse e come se in realtà non stesse aspettando altro che la caduta di Salvini. Non si è fatto problemi a dire che se fosse stato a Roma il suo voto sarebbe andato sicuramente a Calenda e non a Michetti, il candidato di Fratelli d’Italia sostenuto dalla Lega. Certo, Salvini gli ha prontamente risposto che la Lega non è un partito da salotti, ma in questo scambio di battute, a ben vedere, Giorgetti ha preso le distanze da tutti e due – Salvini e Meloni – in un colpo solo.
E il processo continua. Solo pochi giorni fa, all’assemblea annuale di Federcacciai a Rho, di fronte al presidente di Confindustria Carlo Bonomi, Giorgetti ha detto che “la virtù maggiore è portare pazienza, nessuno ha ben capito ma in realtà è così. Portare pazienza, portare pazienza… soprattutto con le persone moleste”. A chi si riferisse, chi fossero le “persone moleste” di cui parlava non possiamo saperlo con certezza ma possiamo supporlo con malizia.
L’intenzione di Giancarlo Giorgetti è anche quella di trasformare la Lega a livello europeo. Da tempo cerca in tutti i modi di far confluire il partito nel PPE, il Partito popolare europeo, dicendo che non pensarci “sarebbe da cretini”. Pochi giorni fa ha incontrato Michael Kretschmer, governatore della Sassonia e indicato da molti come l’astro nascente della CDU – il partito di Angela Merkel, fondatore del PPE. Dunque Giorgetti è un europeista, lontano dal sovranismo di Salvini, più vicino alla Merkel che a Viktor Orban.
Dato tutto questo, i malumori crescono ormai da tempo e tra Salvini e Giorgetti è un continuo botta e risposta. A differenza di quest’ultimo, il leader leghista ribadisce sempre di non avere tempo per concedere o leggere interviste perché troppo occupato a stare tra la sua gente, e in effetti la base della Lega è ancora il suo zoccolo duro. Dall’altra parte però ci sono i governatori leghisti, il loro operato e le loro prese di distanza da Salvini. Uno su tutti Luca Zaia, governatore del Veneto, quel “modello Veneto” sempre più lontano dalle idee del leader quanto a visione europea e gestione della pandemia.
La base, dicevamo. Ecco, nemmeno la base riesce più a seguire e a sostenere Salvini, almeno a giudicare dall’ultima tornata elettorale. Dalle elezioni amministrative la Lega e il suo leader ne escono con le ossa rotte a Milano, in Calabria, a Torino e a Roma, dove la Lega sente una spaccatura profondissima. Dovesse vincere Michetti, sarebbe in realtà un trionfo di Giorgia Meloni, che spodesterebbe finalmente Salvini. Il quale si troverebbe così schiacciato: da una parte secondo, e non più primo, nella coalizione di destra; dall’altra spinto contro un muro dall’ascesa di Giorgetti.
C’è da dire che la Lega non è nuova a queste fratture. Basti pensare alla figura di Roberto Maroni, ex ministro degli Interni ed ex presidente della Regione Lombardia. Anche lui era un duro e puro che, una volta ministro, aveva imparato la differenza tra governare e parlare. Anche allora si parlava del suo possibile passaggio a leader della Lega al posto di Salvini, ma non è successo e Maroni è finito a governare la Lombardia. A Giorgetti potrebbero presentarsi le stesse due possibilità: sfruttare la caduta d’immagine del suo leader oppure accettare la guida di un centro di potere minore. Fatto sta che le recenti tensioni tra Salvini e Draghi e – soprattutto – il silenzio di Giorgetti non fanno che alimentare una competizione tra i due che ormai è difficile da nascondere. La Lega ormai non è forse più la creatura di Salvini, la macchina inizia a perdere i pezzi, e anche il nome del leader sul simbolo sta sbiadendo. Ci vorrà ancora del tempo perché sbiadisca del tutto ma Giancarlo Giorgetti, come ha detto di recente, è uno che ha pazienza.