20. “Semplice” Motta
Prima della pandemia, Motta non era mai stato un anno e mezzo lontano dai palchi. Anzi, si potrebbe dire che è proprio sul palco, di fronte al pubblico, che la sua musica sprigiona tutta la sua forza. Per questo, Semplice è un disco importante per la sua carriera. Per scriverlo ha «toccato più con mano la canzone e gli arrangiamenti», così da renderlo «il più simile possibile a quello che faccio sul palco». Ne è venuta fuori una raccolta di canzoni meno tormentate del passato ma con la stessa forza, il risultato di un confronto tra Motta e tutte le sue fragilità. L’intervista. A.C.
19. “Oceano paradiso” Chiello
L’artista un tempo conosciuto come 1/3 della FSK Satellite archivia il suo periodo trap, punta tutto sulla forma-canzone e si trasforma in uno dei personaggi più interessanti e originali della nuova generazione, grazie anche alla guida di produttori come Colombre, Shablo e Luca Faraone. La trascinante Quanto ti vorrei meriterebbe di essere in alta rotazione in radio (purtroppo così non è stato), ma è il resto del disco, con tracce come Abisso di Xanax o Acqua salata, a regalarci il meglio in assoluto: un profluvio di atmosfere malinconiche ed emo. M.B.T.
18. “Gvesvs” Guè
Per chi ama il rap fatto bene, gli album di Guè sono una certezza: prima ancora di metterli in play, sai già che saranno tecnicamente impeccabili, stilisticamente innovativi e densi di poetica e contenuto. Gvesvs, nonostante un nome così magniloquente da far sollevare un sopracciglio a chi si prende troppo sul serio, non fa eccezione: a meno di un mese dall’uscita parecchi brani – Futura ex, Piango sulla Lambo, Domai, Too Old to Die Young, Lunedì blu – sono già degli instant classic, di quelli che alcuni suoi colleghi non riuscirebbero a sfornare in una discografia intera. M.B.T.
17. “Exuvia” Caparezza
Il seguito di Prisoner 709, letteralmente e in senso figurato: è un concept album che racconta la fuga del prigioniero di cui sopra, che finalmente libero si perde in una foresta per rinascere in altra forma (l’exuvia è l’involucro che ogni insetto si lascia dietro quando cambia status, tipo la muta di un serpente). Come sempre capita con i dischi di Caparezza, è un’opera ambiziosissima in cui ogni traccia è inscindibile dal resto del progetto, dagli interludi, dai videoclip estratti. E in un periodo di shuffle automatico, di playlist scelte dall’utente e di algoritmi impazziti, andrebbe premiato anche solo per questo. L’intervista. M.B.T.
16. “Gommapiuma” Giorgio Poi
Per capire Gommapiuma basta il titolo: è una raccolta di canzoni soffici, in cui adagiarsi per affrontare “giorni affilati come rasoi”, come si dice in Rococò. Rispetto ai due dischi precedenti, qui c’è un’aria più classica e intima, con la psichedelica degli esordi un po’ più sullo sfondo. La scrittura di Giorgio Poi però non ha perso fascino o forza, sia negli episodi più ritmati e battistiani (I pomeriggi) che in quelli più pop (Bloody Mary, in collaborazione con Elisa). «Se non sono andato in frantumi è anche grazie a queste canzoni», ha detto. A.C.
15. “Bingo” Margherita Vicario
Canzoni per bambine ribelli dalla gioia quasi fanciullesca, alcune giocose e divertenti, altri famigliari e tenere come Pincio. Il 2021 è stato anche l’anno di Margherita Vicario che col suo pop euforico e teatralizzato racconta una meglio gioventù che fa festa e protesta (con qualche “para” eccessiva) in un mondo che appare feroce. Nel disco c’è qualche canzone di troppo, ma Vicario riesce a cantare di femminismo, inclusione, pandemia, sesso (e di un Family Day senza preti e massoni) in modo colorato e un po’ pazzo. Buonanotte, tristezza. C.T.
14. “Volevo fare la rockstar” Carmen Consoli
C’è una generazione che resiste e continua a esprimersi col linguaggio musicale di 25 anni fa. Ai tempi erano brillanti promesse che volevano rinnovare la canzone italiana. Oggi sono fuori moda, e però mantengono un pubblico fedele e hanno guadagnato un profilo da venerati maestri, alcuni senza nemmeno passare dallo stadio di soliti stronzi. È il caso di Carmen Consoli che col suo sound elettro-acustico a cavallo fra rock classico e alternativo, parole ed espressioni che nessuno usa più, ha dimostrato che con quel linguaggio si può raccontare il presente mettendo la propria piccola storia dentro una storia più grande. Abbiamo scritto dell’album qui e abbiamo dedicato a Consoli una cover story on the road. C.T.
13. “Discomoneta” Thru Collected
Uno dei dischi più sorprendenti dell’anno. Un disco collettivo, come collettivo è il nome Thru Collected, di 20 brani che evadono i canoni dell’industria musicale contemporanea. Da Napoli una decina di artisti e artiste (tra chi produce e chi canta) si mischiano tra loro in tutte le possibili connessioni e somme a creare un cortocircuito sonoro e lirico affascinante: c’è l’hyperpop, l’indie, la trap, l’UK garage. Discomoneta è la Gen Z al massimo della sua libertà, un trita-mastica-input incontrollabile, giovane ADHD accelerazionista. L’intervista. M.B.
12. “Taxi Driver” Rkomi
Come il bruco che si crea una crisalide per diventare farfalla, con Taxi Driver Rkomi si è creato un confortevole bozzolo di transizione per trasformarsi da rapper ad artista a tutto tondo. Le sue canzoni sono a tratti spiazzanti, perché nascono in una forma ibrida tra hip hop e canzone che ancora ci coglie impreparati; ma sono anche estremamente piacevoli e fresche, percezione condivisa dalla maggior parte degli italiani, considerando che è l’album più ascoltato del 2021 su Spotify. Non vediamo l’ora di vederlo spiegare le ali a Sanremo. M.B.T.
11. “Solo tutto” Massimo Pericolo
“Quanto è difficile scrivere il secondo disco / soprattutto se col primo diventi ricco”, esordisce Massimo Pericolo nella traccia Casa nuova. Nonostante le difficoltà, possiamo dire a buon diritto che sia riuscito a scrivere un’ottima opera seconda: con una palette sonora parzialmente rinnovata dal fido Crookers e la stessa solidità granitica nello sputare rime, aggiunge una buona dose di ironia (vedi pezzi come Sai solo scopare!) alla sua già notevolissima verve poetica e narrativa (Airforce). Ben fatto. M.B.T.
10. “Ghettolimpo” Mahmood
Mahmood è diventato grande e lo racconta nel suo secondo disco, Ghettolimpo. Una specie di autoanalisi post successo. Un album coraggioso, a tratti rischioso, e che forse poco si sposa con chi sceglie i pezzi solo come colonna sonora di TikTok. Ma che è specchio di una evoluzione artistica chiara, che passa dalle produzioni e arriva a testi ed estetica. Antiche divinità, fumetti giapponesi e, ovviamente, Milano sud. Dentro anche alcune chicche: tipo Rubini featuring Elisa, Karma feat. Woodkid e T’amo, canzone dedicata alla madre che è praticamente la sua versione di No potho reposare. Mahmood è qui per restare. F.F.
9. “Teatro d’ira Vol. 1” Måneskin
Oggi è impossibile ascoltarlo senza pensare all’enorme successo di Zitti e buoni e I Wanna Be Your Slave, ma prima che i Måneskin diventassero i Måneskin, Teatro d’ira era una cosa un po’ diversa. Registrato in presa diretta, scritto dopo un ritiro creativo in campagna e con addosso tutte le influenze arrivate dopo il tour e un viaggio a Londra, era la fotografia di una band pronta a cambiare passo, che voleva usare il rock per cantare di diversità, fobie, sesso e voglia di rivalsa. Loro lo presentavano così: «È figlio di un percorso, di tutto quello che abbiamo assimilato in questi anni. È molto crudo e sincero, senza alcun tipo di limite». C’è davvero bisogno di dire che ha funzionato? A.C.
8. “La terza estate dell’amore” Cosmo
La terza estate dell’amore è un disco scritto da una prospettiva unica, quasi folle se paragonata ai dischi a cui ci siamo abituati durante la pandemia. Se durante l’isolamento moltissimi artisti hanno scritto musica intimista oppure aperto gli archivi del passato, Cosmo si è ritrovato con «una fortissima sete di futuro», come ci ha detto in questa intervista, e con la voglia di scrivere musica corale, che si trasformi in un sentimento collettivo. Le canzoni de La terza estate dell’amore sfondano i confini del pop e si mischiano una dentro l’altra in un unico sabba elettronico. Non vediamo l’ora di viverlo sotto il palco, com’è successo con il “Blitz contro la paura” a Milano. A.C.
7. “Blu celeste” Blanco
Ci voleva un provinciale come Blanco per dare una scossa al pop italiano perso nelle sue pose, nella ripetizione di schemi, nella contabilità dei successi. Sbucato dal nulla, s’è imposto fin dai singoli del 2020 con uno stile carico, eccessivo, selvaggio, tutto sesso e pulsioni tradotte in musica dal produttore Michelangelo tenendosi in bilico tra musica suonata e rielaborazione digitale. Blanco è figlio di questo tempo, fa una musica senza genere, parla ai ventenni e fa orrore a molti cinquantenni. «A me piace il disordine», ci ha detto. Non è il solo. C.T.
6. “Madame” Madame
Uno degli esordi più attesi del 2021, nonché un rarissimo caso in cui la percezione, la solidità e la reputazione del disco e dell’artista sono cresciuti ulteriormente con gli ascolti: non a caso, è uno dei dischi che è rimasto più a lungo nella top 10 degli album italiani più venduti dell’anno. Anche chi inizialmente faticava a districarsi tra i testi eterei e le atmosfere vaporose di Madame ha dovuto soccombere al fascino di brani come Voce, Bugie, Tutti muoiono, e degli ultimi arrivati nell’edizione digitale, Marea e Tu mi hai capito. Le aspettative per il secondo album sono già altissime. M.B.T.
5. “Flop” Salmo
Salmo è un animale da palcoscenico, che trae le sue energie e la sua ispirazione dal contatto diretto con la gente: pubblicare un album dopo due anni di lockdown e conseguente assenza di concerti era una sfida ardua, come ha ammesso lui stesso. Anche in questo caso, l’ha vinta di larghissima misura. Da Kumite a La chiave, da A Dio ad Aldo Ritmo, alcuni dei pezzi più iconici del 2021 sono contenuti in Flop, dove Salmo dimostra che non ha bisogno di inseguire gli ultimi trend in fatto di sonorità e featuring per imporsi all’attenzione: è lui a dettare le mode. M.B.T.
4. “OBE” Mace
In un periodo storico in cui viaggiare ci è stato precluso, avevamo bisogno come l’aria di un progetto come OBE: un viaggione, letteralmente e in senso figurato, che ci ha aperto nuovi e inesplorati orizzonti. Dopo anni a lavorare dietro le quinte, Mace è arrivato a pubblicare il primo album a suo nome alla soglia dei 40 anni, e il bagaglio di esperienze che porta in dote si sente tutto: basterebbero anche solo tracce pressoché perfette come La canzone nostra, Senza fiato o Hallucination a valere l’ascolto del disco. M.B.T.
3. “Magica musica” Venerus
Magica musica è un disco d’esordio praticamente perfetto. Dentro c’è un mondo di suoni impressionante per cura e varietà (psichedelia e r&b, pop e world music), una grande hit (Canzone per un amico), collaborazioni con artisti con storie e sensibilità diverse (dai Calibro 35 a Rkomi, fino a Frah Quintale e Gemitaiz), un omaggio ai Beatles con una punta di LSD (Lucy). Dietro c’è un’idea “magica” della musica e una visione di scrittura a metà tra lo sciamanesimo e gli esperimenti in laboratorio. Insieme a OBE di MACE, è la mappa che ci guiderà nella musica italiana del futuro. A.C.
2. “Ira” Iosonouncane
«Volevo realizzare qualcosa che sia oltre le mie aspettative, oltre le mie perplessità, oltre la mia persona. Qualcosa che sia più grande di me», ci ha detto Jacopo Incani di Ira, un disco colossale, un viaggio onirico che in un’ora e cinquanta minuti di musica attraversa elettronica, jazz, cantautorato, musica del Maghreb e molto altro ancora. Tutto cantato in «una lingua momentanea, della necessità», un mix di italiano, inglese, arabo, francese, spagnolo e tedesco. Ira è un disco monumentale uscito in un’era in cui i dischi sono cantieri aperti, è complesso e quindi politico, perché «si pone di traverso rispetto al mondo che stiamo vivendo». A.C.
1. “Noi, loro, gli altri” Marracash
Per un breve periodo, appena uscito dalle superiori, Marracash è stato iscritto alla facoltà di Lettere moderne. L’ha lasciata dopo aver capito che era un ambiente che non faceva per lui, ma ha fatto in tempo a conoscere e assorbire l’opera di alcuni dei più importanti romanzieri e poeti italiani del Novecento. E si sente. Tra qualche anno è possibile che anche i testi di Noi, loro, gli altri (e del precedente Persona) saranno studiati in ambito universitario, perché il loro valore letterario è pari a quello dei lavori di molti scrittori suoi contemporanei: in particolare le tre title track, ovvero Noi, Loro e Gli altri, e i brani più psicanalitici e introspettivi, Io e Dubbi. Ma il merito dell’eccezionalità di quest’album va spartito anche con Marz, che è riuscito a cucirgli addosso un sound unico nel suo genere, che pesca dal passato e ammicca al futuro senza mai scimmiottare il presente. A poco più di un mese dall’uscita, e in poco più di 40 minuti di musica, Marra ha già ottenuto la sua laurea ad honorem. M.B.T.
Schede di Mattia Barro, Andrea Coclite, Filippo Ferrari, Claudio Todesco, Marta Blumi Tripodi.