La stragrande maggioranza degli italiani – quasi il 75% – ritiene che ci sia troppa confusione sui temi del riscaldamento globale e della sostenibilità. Se ne parla tanto, ma l’enorme diffusione di informazioni – spesso parziali e non verificate – genera un rumore di fondo che non aiuta a comprendere un fenomeno così complesso e stratificato. È questa la fotografia scattata dai dati dell’Osservatorio Assogestioni-Censis, presentati lo scorso 20 dicembre a Milano. A confondere i cittadini non è soltanto la grande mole di notizie relative alle sorti del pianeta, ma anche la scarsa comprensione della finanza.
Un problema con cui l’Italia convive da tempi non sospetti: secondo una ricerca pubblicata nel 2018 dalla Banca d’Italia, continua a persistere un gap sostanziale fra il nostro paese e il resto dell’area Ocse dal punto di vista dei temi legati alla finanza personale, al risparmio e agli investimenti. Solo il 30% della popolazione ha raggiunto un livello di conoscenza di questi aspetti della propria economia domestica adeguato, contro una media Ocse del 62%.
Eppure, secondo le rilevazioni del Censis, per più di due terzi degli italiani la finanza rappresenta il principale strumento per coniugare, da un lato, la necessità di accelerare il processo di decarbonizzazione e, dall’altro, quella di mantenere sotto controllo l’inflazione indotta dall’applicazione delle politiche green.
In questo contesto, gli investimenti ESG (acronimo di Enviromental, Social and Governance) stanno diventando sempre più importanti: si tratta di prodotti finanziari che investono in realtà che, utilizzando uno slogan parecchio in voga, potremmo definire “politicamente corrette” – ossia rispettose dell’ambiente, socialmente responsabili (ad esempio, aziende che non sfruttano la mano d’opera minorile) e con una gestione dei conti trasparente.
Quando si parla di ESG, i prodotti più citati sono quasi sempre i cosiddetti “green bond”. “Un green bond è un’obbligazione come le altre, ossia un prestito che può essere emesso sia dalle aziende che dagli Stati”, racconta a Rolling Stone Morya Longo, giornalista finanziario de Il Sole 24 Ore. L’unica differenza è che, nel caso delle obbligazioni verdi, l’emissione è legata a progetti che hanno un impatto positivo per l’ambiente, come l’efficienza energetica, la produzione energie rinnovabili e l’edilizia ecosostenibile, per citare alcuni esempi. Anche l’Unione Europea sta procedendo convintamente in questa direzione: “A luglio l’UE ha emesso i primi green bond, che serviranno a finanziare parte del piano Next Generation Eu: l’obiettivo dei vertici comunitari è raccogliere 250 miliardi di euro entro il 2026, ossia il 30% dell’intero piano. Anche l’Italia ha iniziato a emettere obbligazioni di questo tipo, ma siamo ancora a uno stadio iniziale”.
Gli investimenti ESG esistono da tempo, ma hanno avuto un boom gigantesco negli ultimissimi anni. La loro crescita è dovuta a diversi fattori, come gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dai grandi vertici internazionali sul clima, una sempre più diffusa presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica e l’attività di pressione di alcuni colossi finanziari, che stanno cercando di imporre nuove linee di condotta alle aziende che dipendono dalle loro iniezioni di liquidità – ad esempio, lo scorso anno, nella sua annuale lettera indirizzata agli stakeholders – i clienti e i CEO delle società in cui investe – Larry Fink (l’AD di Black Rock, il più grande fondo d’investimento al mondo) ha fatto sapere di aver votato contro o revocato la fiducia a 4800 top manager di 2700 società diverse, tutti accomunati da performance scadenti in tema di sostenibilità.
Tenendo conto di questa nuova tendenza di massa dei mercati finanziari, lo scorso 21 aprile la Commissione europea ha adottato un pacchetto di misure per contribuire a rafforzare gli investimenti verso attività sostenibili in tutti gli Stati membri dell’Unione. Ad esempio, sta lavorando sui rating e sulla nuova tassonomia – che entrerà in vigore a step nei prossimi anni – per creare dei criteri certi che possano stabilire, una volta per tutte, cosa può essere considerato “sostenibile” e cosa no, imponendo degli obblighi precisi agli investitori.
Inoltre, sono state adottate delle modifiche al regolamento che disciplina la cosiddetta Direttiva MiFID2 (la legge europea che regola la trasparenza finanziaria) per rendere i clienti più consapevoli delle ricadute ambientali che scaturiscono dalle loro scelte finanziarie e favorire investimenti più “responsabili”, che non tengano in considerazione soltanto il guadagno potenziale che potrà essere ottenuto nel breve periodo, ma anche aspetti non puramente economico-finanziari, come appunto la sostenibilità ambientale.
Come evidenzia Longo, si tratta di un’evoluzione di non poco conto, dato che “Ogni cliente avrà, finalmente, la possibilità di scegliere quanto sostenibile debba essere il suo portafoglio”. Date queste premesse, è chiaro che, tra i motori della tanto sbandierata “transizione ecologica”, la finanza sostenibile occuperà un posto di primissimo rilievo.
Una visione condivisa anche dalle stime dell’IEA (International Energy Agency), secondo cui gli investimenti annuali in energia pulita nelle economie emergenti e in via di sviluppo dovrebbero aumentare di circa sette volte – da 150 miliardi di dollari dell’anno scorso a un trilione di dollari entro il 2030 – per raggiungere l’obiettivi delle emissioni nette entro il 2050. “Per farlo, non possono bastare soltanto i piani comunitari, anche se ambiziosi: sarà fondamentale incanalare gli investimenti privati verso obiettivi di sostenibilità”, conclude Longo. Il messaggio è chiaro: siamo già in ritardo, ma imparare a gestire meglio i nostri soldi può fare la differenza.