Aldo Busi rompe il silenzio, dopo che intorno alla sua figura e alla sua opera (inedita) si era fatto ormai assordante. Uno scrittore talmente ingombrante nel panorama italiano che è in grado di far discutere di sé anche quando non parla, non appare e non pubblica nulla. Anzi, proprio perché (apparentemente) scomparso, negli ultimi tempi è diventato ancor più centrale nel dibattito culturale.
A inizio gennaio è Paolo Landi su Doppiozero a lanciare il sasso nello stagno, rivelando il titolo e alcuni dettagli di una nuova opera già conclusa: Seminario sul postmortem, stampato in 850 pagine, archiviato dallo stesso autore come Romanzo senza neppure i posteri. Da un lato, probabilmente, perché sembra che gli eredi convocati da Busi per essere informati almeno di una pubblicazione postuma gli abbiano risposto: «Grazie zio, ma non lo vogliamo». Dall’altro, perché nessun editore, finora, pare avergli fatto un’offerta concreta e, soprattutto, congrua. Pare incredibile, ma il più grande scrittore italiano vivente non lo vuole più nessuno. Ma sarà vero?
Su questa singolare vicenda il primo a muoversi, con una iniziativa-provocazione, è stato lo scrittore Massimiliano Parente, che ha lanciato un appello dalle pagine de Il Giornale: «C’è un suo romanzo, che sarà una specie di testamento letterario di un genio, e non c’è un editore? Qualcuno dice: chiede troppi soldi. E perché non dovrebbe, è Aldo Busi, mica uno dei timbratori di cartellini narrativi della narrativa italiana che fanno a gara per farsi dare il famoso premio, giustamente, perché cosa volete che resti di questi qui? Il problema è che Busi vuole centomila, duecentomila euro? Ma gli editori non avevano l’alibi culturale di pubblicare paccottiglia commerciale con il fine di potersi permettere di pubblicare la vera letteratura? Il venditore di collant lo paghi per quanto vende, il genio per avere dignità culturale, non più? Organizziamo una colletta, i giornali non sono messi bene ma penso che i lettori del Giornale sarebbero disposti a mettere la loro parte, e lo facciano pure quelli del Corriere della Sera, Repubblica, il Fatto Quotidiano, La Verità, Libero, e di tutti coloro che hanno delle pagine culturali. Si faccia avanti un editore, Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Adelphi, La nave di Teseo, chiunque sia disposto a pubblicarlo e dica: “Vorremmo, ma costa troppo, se lo pagate voi lo pubblichiamo noi”». Ha fatto discutere, ma in pochi hanno aderito.
Personalmente, ho provato più volte a chiedere a Busi un’intervista: sempre rifiutata, attraverso lunghi messaggi scritti nella sua scintillante prosa, di cui non divulgherò i contenuti perché privati. Questa volta, però, quando gli ho chiesto conto della “colletta”, prima mi ha risposto via mail con un rammarico: «Lei desume cose da cose di cui non sono l’agente bensì la vittima, per quanto divertita dalla coglionaggine imperante. Ma si chieda almeno “Busi che c’entra?”».
E poi mi ha messo in copia in un’altra missiva nella quale approfondiva la sua posizione rispetto a tutta la questione. Un lettore gli ha scritto: «Una mancata pubblicazione di un Suo libro, nel panorama della “letteratura italiana” di oggi, è come una medaglia d’oro al Suo Valore». E Busi ha rintuzzato, mettendo tutti in riga: «Grazie della sintesi fulminante che spazza via tutta la marea di sciocchezze propalate dalla stupidissima stampa fascistoide a commento dell’articolo sull’infausto (?) destino del mio SSP (Seminario sul postmortem, nda), tra le quali spicca quella che per me sarebbe un’umiliazione, un fallimento, una diminuzione delle mie mire di gloria e soldi (pensano come stanno, questi poveri diavoli orbati di una vera Inquisizione), come se qualcosa potesse mai cogliermi di sorpresa e non fosse stato (da decenni!) messo in conto dato il tipo di vita esistenziale e politica che ho perseguito senza mai deflettere un istante: lei ha trovato l’unica morale possibile di questa triste storiella che sancisce la definitiva tumulazione dell’editoria italiana e il mio assoluto trionfo intellettuale, etico, estetico e civile. Che poi SSP venga pubblicato o no, me in vita o no, cosa vuole che importi e me ne importi? Vive cordialità, Busi».
Inutile aggiungere altro, visto che il primo capitolo del Romanzo senza neppure i posteri si intitola, non a caso, Gli uomini non sono desiderabili, la vita è sopravvalutata e il rame non è infinito.