Fino all’estate scorsa, Khalid Payenda era il ministro delle finanze dell’Afghanistan. Si occupava della gestione di un budget consistente, circa 6 miliardi di dollari, la linfa vitale di un governo che lottava per la sua stessa sopravvivenza nell’ambito di una guerra che, per vent’anni, ha occupato un ruolo centrale nella politica estera degli Stati Uniti.
La situazione è però precipitata il 31 agosto, quando è stato completato il ritiro delle truppe statunitensi dall’aeroporto di Kabul, dando di fatto il definitiva via libera all’occupazione del Paese da parte dei talebani.
Sette mesi dopo, la vita di Payenda è cambiata radicalmente: passa le giornata dilettandosi al volante di una Honda Accord in quel di Washington, guadagnandosi da vivere come autista di Uber, un servizio di trasporto automobilistico privato che funziona tramite un’app che mette a contatto diretto automobilisti e clienti.
«Se porto a compimento 50 viaggi entro i prossimi due giorni, ricevo un bonus di 95 dollari», ha detto Payenda a Greg Jaffe, giornalista del Washington Post.
Payenda ha anche raccontato il difficile periodo che ha vissuto nel 2020, quando sua madre è morta di Covid-19 in un povero ospedale di Kabul: è stato nominato come nuovo ministro delle Finanze poche settimane dopo. «Ho fatto parte del fallimento. È difficile quando guardi la miseria delle persone e ti senti responsabile», ha confessato. Payenda ha poi dichiarato che gli afghani «non avevano la volontà collettiva di riformarsi, di essere seri», senza risparmiare una dura reprimenda agli Stati Uniti che, a sua detta, hanno tradito il loro impegno per la democrazia e i diritti umani dopo aver reso l’Afghanistan un fulcro della politica post-11 settembre.
Payenda si è dimesso da ministro delle finanze una settimana prima che i talebani si impadronissero di Kabul, dato che il suo rapporto con Mohammad Ashraf Ghani Ahmadzai, presidente della defunta Repubblica Islamica dell’Afghanistan, era ormai irrimediabilmente deteriorato. Temendo che il presidente lo facesse arrestare, ha deciso di partire per gli Stati Uniti per riunirsi alla sua famiglia e creare i presupposti per una nuova vita. La delusione per il fallimento dell’esperimento politico in Afghanistan, però, è ancora ben presente.
«Abbiamo avuto 20 anni e il supporto di tutto il mondo per costruire un sistema che funzionasse per le persone», ha scritto Payenda in una comunicazione citata dal Washington Post, inviata a un funzionario della Banca Mondiale di stanza a Kabul il giorno stesso della caduta della capitale. «Tutto ciò che abbiamo costruito è stato un castello di carte che è crollato velocemente. Un castello di carte costruito sulle fondamenta della corruzione».