Mai come in questi ultimi anni sono stati pubblicati in Italia così tanti libri sulla psichedelia. Cruciale, tra tutti, è L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, di Merlin Sheldrake. Perché mette d’accordo tutte le possibili vie della psichedelia. La via psiconautica. La via scientifica (quella delle psicoterapie psichedeliche del cosiddetto rinascimento psichedelico). La via sciamanica (che ci riporta alle piante sacre, nella selva). Altre possibili declinazioni (estreme) sono da un lato la via mistica, dall’altro la via delirante (o cospirativa). L’ordine nascoso è il libro che le mette d’accordo tutte. Dimostrando come, anche nel passaggio dall’una all’altra, ci sia un ordine nascosto, una rete ctonia che le collega.
Uno dei guru della psichedelia, Terence McKenna, ha delle ipotesi, che stanno tra la via psiconautica, la via scientifica, la via sciamanica, la via mistica, e la via delirante. Provo a fare un estratto del suo pensiero. Un fungo – scrive – è la più antica forma di vita intelligente, è il grande vecchio di questo pianetino imberbe, e offre la sua esperienza di moderazione a questi ragazzini umani, che ancora costruiscono giocattoli nucleari.
Lascio la parola a questo scritto, o meglio, trascritto da McKenna, perché è ancora il fungo che gli parla, in prima persona.
“Sono vecchio, più vecchio del pensiero della tua specie, che è cinquanta volte più vecchio della tua storia. Sono sulla terra da diverse ere ma vengo dalle stelle. La mia casa non è un pianeta, perché diversi mondi, sparsi nella galassia, creano le condizioni, per le mie spore, di vivere e riprodursi. Il fungo che vedi è una parte del mio corpo. Il mio vero corpo è una fitta rete di collegamenti di fibre che crescono nel suolo. Questa rete può estendersi per interi chilometri, può avere più connessioni di quanti numeri il cervello umano possa concepire. La mia rete di miceli è quasi immortale. Solo l’improvviso avvelenamento di un pianeta, o l’esplosione di una stella vicina, possono spazzarmi via. Tutte le mie interconnessioni miceliche nella galassia sono in comunicazione nello spazio e nel tempo oltre la velocità della luce. Il corpo del micelio è fragile come una ragnatela ma la sua iper-mente collettiva e la sua memoria sono un enorme archivio”.
McKenna era un anarchico, in quanto tale essoterico, non voleva (esotericamente) tenersi le conoscenze per sé. Sotto questo aspetto somiglia più a Timothy Leary che ad Aldous Huxley. Perché allora fu risparmiato dalla persecuzione? Perché fu risparmiato dalla repressione? Perché, con uno così pericoloso, non si trovò un motivo qualunque per chiuderlo in carcere? Ma perché gli anni Settanta saggiamente se li trascorse in sonno, per così dire, a parte il manuale del coltivatore dei funghi magici, che ebbe l’accortezza di pubblicare sotto pseudonimo. Solo a partire dagli anni Ottanta viene fuori il guru conferenziere. E negli anni Ottanta gli animi si erano placati. La temuta Lsd era ormai dimenticata, e McKenna non si interessa di Lsd, ma di piante. Enfatizzerà sempre questo aspetto (che condivido): non si può mettere fuori legge le piante (sarebbe come mettere fuori legge la natura) e se vi sono piante psichedeliche usate per millenni da sciamani, da cinquanta o cento generazioni, e non vi sono stati aborti spontanei, tumori, cecità, malformazioni, problemi di salute fisica o psichica, beh, quello è indice che la pianta è collaudata. È sicura (bisognerebbe spiegarlo bene ai consulenti del Ministero della Salute).
Ma ascoltiamolo ancora, in una delle sue memorabili conferenze. Nel 1991 è a Claremont, invitato dalla Jung Society. “Ho fondato un orto botanico alle Hawaii, per salvaguardare le piante importanti dal punto di vista sciamanico”. “Questo è un lavoro politico”. “Io parlo della forza dell’esperienza psichedelica perché credo che la gente debba sapere quali sono i suoi diritti naturali. M’inquieta molto l’idea che qualcuno possa passare dalla culla alla tomba senza aver mai vissuto un’esperienza psichedelica”. È un po’ come privare un essere umano dell’esperienza sessuale, privarlo dell’esperienza dell’orgasmo. È come impedire l’orgasmo agli umani, ma è qualcosa di immensamente più complesso, perché proibire l’orgasmo è proibire il piacere, proibire l’esperienza psichedelica è proibire la conoscenza, è una riedizione del divieto di cogliere il frutto dell’albero della conoscenza.
Abbiamo il diritto a vedere dissolti i confini del nostro io. Il malessere della nostra civiltà è conseguente a qualche migliaio di anni di ego e di storia. “L’ego è un’invenzione moderna”. L’ego è giovane. L’ego è una conseguenza dell’abbandono della consuetudine di procurarsi stati psichedelici di coscienza. È sempre McKenna che parla, McKenna, l’avrete capito, è un anti-darwiniano. È uno di quelli che l’antropologo sobrio Jean-Loup Amselle definisce i retrovoluzionari (coloro che cercano di trovare, nel passato di società esotiche immaginarie, soluzioni ai problemi della modernità). L’ipotesi evolutiva di McKenna è diversa da quella di Darwin. Tre fasi, secondo McKenna, hanno permesso agli ominidi di staccarsi dalle scimmie e diventare umani. A un certo punto le scimmie arboricole scendono dagli alberi. Cercano cibo. Assaggiano di tutto. All’inizio poco di ogni cosa. Assaggiano anche i funghi coprofili. A piccole dosi (ciò che oggi si assume nel microdosing di fungo, 200 milligrammi secchi, o due grammi freschi) aumenta la vista, se sei un predatore migliora la caccia e dunque ti nutri meglio. Capisci che il fungo funziona, tu scimmia ne mangi di più (mettiamo cinque grammi freschi equivalenti a mezzo grammo di fungo secco) e l’effetto ora è stimolante, come avessi preso anfetamina, più energia più erezione più sesso più accoppiamenti più prole. A questo punto il rinforzo porta a aumentare ancora la quantità e ne mangi una dose consistente (mettiamo cinquanta grammi freschi, che valgono quanto cinque grammi secchi) ma a questa dose non c’è più l’eccitazione sessuale o l’iperattività ma uno stato di estasi, di dissolvimento dei confini, di comunicazione telepatica, di coesione amorevole di tutto il gruppo, non solo, ma accade una specie di miracolo: aumenta l’attività linguistica, xenoglossia, o glossolalia, un linguaggio sconosciuto irrompe nel cervello, si localizza nell’area di Broca e di Wernicke, aree della corteccia cerebrale che prima non ci sono e dopo ci sono, dunque la psilocibina di questo fungo alieno conferisce il logos, innesca il linguaggio che si fa pensiero che si fa autocoscienza che si fa religione che si fa devozione a un Dio. E quando accade tutto questo? Cento, cinquanta, ventimila anni fa?
Ecco, mettiamo che siano cento o cinquantamila anni di non storia, di non ego, di coscienza collettivamente psichedelica. A un certo punto questa condizione edenica svanisce, perché si forma l’ego, vien fuori la differenza tra sé e non sé. E con l’ego si cade, dice McKenna, a piè pari nella storia.
L’ipotesi di McKenna, se ci fate caso, è molto più intrigante di quella che Julian Jaynes illustra ne Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, eppure, come non lo è quella di Jaynes, neppure la teoria di McKenna è scientifica, perché? Ma perché gliel’ha suggerita il fungo! Che è un maestro semmai, un maestro alieno, ma non uno scienziato (sì ma le teorie non è necessario che siano scientifiche – direbbe l’epistemologo anarchico Paul K. Feyerabend – l’importante è che possano essere vere).
L’ipotesi di Terence McKenna, dunque, è che a cominciare da un milione di anni fa gli ominidi incontrano i funghi visionari e questo, gradualmente, trasforma il cervello degli australopitechi, e dopo trasforma il cervello dell’onnivoro Homo abilis, che dal mezzo chilo arriva a 770 grammi, quando l’abilis si fa erectus il peso del suo cervello è già un chilo. Ed ecco che appare il sapiens, 100.000 anni fa. Com’è possibile un aumento di peso cerebrale, triplicato, così marcato, in così poco tempo? L’ipotesi McKenna è che questo cervello cresce per l’introduzione, nella dieta dell’ominide, degli alcaloidi psicoattivi dei funghi o di altre piante, dunque psilocibina, armalina, dimetiltriptamina. Ciò innesca il linguaggio, ciò produce l’autocoscienza, ciò crea la religione.
Dei molti alcaloidi possibili (convolvoli e segale cornuta i cui alcaloidi rassomigliano alla semisintetica Lsd, psilocibina dei funghi, mescalina dei cactus, Dmt di varie piante eccetera) quello che, secondo McKenna, ha le maggiori chance di essere stato il farmaco selvaggio e stupefacente capace di trasformare le scimmie ominidi in Homo è il fungo Psilocybe cubensis. Perché lui? Perché è pandemico, cresce da solo, non bisogna coltivarlo o concimarlo, si nutre della merda degli animali (che cosa meravigliosa, un essere così complesso che si accontenti di un nutrimento così umile) gli animali ne producono senza sosta e non bisogna essere bravi mestatori per comporre una bevanda sofisticata come l’ayahuasca.
A un certo punto, però, il fungo capace di catalizzare linguaggio, coscienza, autoriflessione, religione, esce gradualmente di scena. Mettiamo a causa di cambiamenti climatici. E viene sostituito da altre piante inebrianti. Il passaggio che ci fa cadere nella storia è il passaggio dal culto del fungo a quello dell’alcol. E Dioniso, nato due volte, da dio del fungo viene trasformato in dio del vino. L’ultima sopravvivenza di un rituale psichedelico in Occidente sembra essere stata Eleusi. Lì si celebra la visione, per mezzo di una bevanda a base di segale cornuta. Che è un fungo. Distrutta Eleusi, nel 268 dopo Cristo, finisce il ruolo giocato dalle piante psicoattive nell’elevare la coscienza umana.
Si passa dal fungo al miele all’idromele al vino alla birra. Si passa dalle feste con i funghi a quelle con bevande alcoliche. Si passa dal culto dell’estasi con i funghi al culto dell’ebbrezza con le bevande alcoliche. Si cade nella storia. Ego. Patriarcato. Famiglia nucleare. Possesso. Confini. Dominio.
Per fortuna sono sopravvissute isole sparute di cultura sciamanica, in Amazzonia, Messico, Nord America, Australia e nel continente asiatico nelle regioni artiche. La salvezza degli umani, e del pianeta Terra, dipende dalle tecniche dell’estasi, dalle medicine psichedeliche, che gli sciamani conoscono, e che gli scienziati del mondo occidentale solo da un secolo a questa parte, o poco meno, hanno scoperto. Ecco: questo è il visionario, delirante pensiero di Terence McKenna. Lo dicevo che sta in mezzo tra le diverse vie, e per alcuni è un genio che ha capito tutto per altri un matto da legare.
Eppure c’è qualcuno che ha confermato le intuizioni di McKenna, spazzando via il sospetto che fossero costruzioni deliranti indotte dal fungo. Nel 1994 va a fargli visita alle Hawaii il biologo Rupert Sheldrake, e porta con sé moglie e i due figli, Merlin che ne ha sette e Cosmo che ne ha quattro. I due ragazzini ascoltano i discorsi di Terence e Rupert intorno ai funghi e alla loro vita segreta e ventisei anni dopo, Merlin, inevitabilmente diventato biologo e micologo, pubblica un libro stupendo che non può più essere definito delirante, come i discorsi di Terence di quei giorni, perché è il libro di un ricercatore ineccepibile. L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi è un libro che… sembra essere stato scritto apposta per corroborare tutti i deliri di Terence McKenna che ho appena riassunto.
I funghi, scrive Merlin Sheldrake, “sono una chiave per comprendere il pianeta in cui viviamo”, ma anche per comprendere meglio “il nostro modo di pensare, sentire, comportarci”. Ciononostante, “la loro esistenza ci è in gran parte sconosciuta”. Lo sappiamo forse che le reti di chiodini del genere Armillaria sono tra “gli organismi più grandi del mondo”? Lo sappiamo forse che se le piante sono state capaci di uscire dall’acqua, cinquecento milioni di anni fa, è stato “grazie alla collaborazione coi funghi”? E sappiamo forse che se le foreste pensano (vedi Eduardo Khon, Come pensano le foreste) è grazie alla capacità dei funghi micorrizici capaci di connettere le radici (rhiza) degli alberi in modo da formare reti di alberi che sviluppano un wood wide web, un internet ctonio? E sappiamo forse che il genere Homo, “comparso solo due milioni di anni fa”, ha iniziato pure lui a usare i funghi per curarsi, ci sono le prove che già i Neanderthal si curavano le infezioni con certe muffe, molto prima che Alexander Fleming nel 1928 (l’altro ieri) proprio da una muffa scoprisse un battericida, la penicillina, o che nel 1943 (ieri) Albert Hoffman dalla Claviceps purpurea sintetizzasse quello psicofarmaco prodigioso (troppo prodigioso) che è la Lsd, o che estraesse dai funghi di Psilocybe mexicana la psilocibina? I funghi ci sono sempre stati, molto prima che comparisse il genere Homo, e ci saranno dopo. Eppure: sembrano non interessarci.
McKenna è sicuro che siano esseri intelligenti. Ma che tipo di intelligenza è quella dei funghi? Secondo Merlin Sheldrake lo schema di comportamento delle ife assomiglia a quello “collettivo” dello sciame di insetti, o dello stormo di storni, o del banco di sardine. I funghi non se ne stanno racchiusi in un involucro corporeo e non hanno un cervello stipato in una scatola cranica (non c’entra niente, ma ripenso alla contessa Amanda Fielding che si trapanò il cranio apposta per far vagar fuori un po’ della sua intelligenza dal teschio, come fosse fungo, si fece fungo), i funghi sono apposta “stravaganti”, nel senso che il micelio “vaga fuori”, fuori dal confine corporeo che delimita e imprigiona, direi, noi umani. “I funghi, come le piante, sono organismi decentralizzati: non hanno centri operativi, né capitali, né governi. Il controllo è diffuso” (I funghi sono anarchici. Mi sa che dovremmo prendere esempio).
Lo vedete che aveva ragione Terence McKenna a sostenere che siano forme di vita molto intelligenti e con molta memoria? Continuate a credere che non possano essere intelligenti perché non hanno un cervello? Merlin Sheldrake ribatte che “la prospettiva cervellocentrica è troppo limitata”. Sopravvalutata, direi. Troppo antropocentrica. Per Daniel Dennet è “un mito arcaico”. Per Charles Darwin l’intelligenza è fare ciò che è necessario alla sopravvivenza. E piante, funghi e muffe pur senza cervello lo sanno fare: risolvere problemi per mezzo della loro swam intelligence, intelligenza di sciame. Se valutassimo l’intelligenza di specie paragonando quanto una specie ha vissuto finora: i due milioni di anni della specie Homo contro i due miliardi di anni del micelio, chi ci sembrerebbe più intelligente?
Ma come hanno fatto a risolvere problemi e a durare così a lungo? La spiegazione principale è che hanno saputo cooperare, collaborare, lavorare insieme, fare simbiosi (il principe anarchico russo Pëtr Kropotkin, autore de Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione, sarebbe un fan dei funghi magici). Noi umani, così legati al concetto di individuo autonomo e individualismo, abbiamo moltissimo da apprendere dall’evoluzione dei funghi. I licheni, per esempio. Nel 1869 un botanico svizzero, Simon Schwendener, propone la dual hypothesis, secondo cui i licheni non sono organismi singoli ma composti da due entità: un fungo e un’alga, che si aiutano a vicenda: il fungo protegge l’alga fisicamente e l’alga raccoglie luce da cui ricavare energia. I licheni, grazie a questa collaborazione tra due entità, sono resistentissimi agli ambienti estremi e ricoprono l’otto per cento del pianeta: rocce, alberi, deserti. Ma non è l’unico esempio di simbiosi e di collaborazione tra viventi. Le nostre stesse cellule (noi siamo fatti di cellule eucariote, come animali piante e funghi, cellule più grandi dei batteri e degli archei) all’interno del nucleo hanno piccole centrali di energia, i mitocondri, che, come i cloroplasti delle cellule vegetali, non sono altro che un batterio (con un suo DNA diverso) inglobato dalla cellula eucariote. Anche per gli eucarioti, dunque, come per i licheni, vale la dual hypothesis.
E se questa ipotesi duale fosse valida anche per la coppia umano-fungo? Questo, probabilmente, ha suggerito il fungo a Terence McKenna, questo insegnarono i funghi a Maria Sabina: “I funghi sacri mi prendono per mano e mi accompagnano nel mondo in cui tutto si sa… io domando e loro rispondono”.
Ci sono alcuni funghi, come l’Ophiocordyceps unilateralis, che zombizzano letteralmente alcuni insetti, penetrano nel corpo delle formiche carpentiere, ne occupano la maggior parte del corpo (tranne il cervello) e ne modificano il comportamento. E così le acrofobiche formiche carpentiere una volta possedute dal fungo perdono la paura delle altezze e, mosse dalla summit disease, lasciano i loro nidi sicuri e si inerpicano sulle piante dove vengono obbligate dal fungo a stringere le mandibole intorno a una foglia, dopodiché il micelio si dissemina nel corpo della formica, lo digerisce perfino, finché un piccolo gambo di fungo spunta dalla testa di quella che un tempo era formica e ora è diventata fungo-formica da cui rilascia spore che cadono sulle altre formiche in un processo di zombizzazione di tutto il formicaio. A quel punto il “quaranta per cento della biomassa di una formica infetta è costituita da fungo”. Dappertutto tranne che nel cervello della formica.
Mentre leggo questo processo con cui il fungo si impossessa dell’insetto ripenso a quello sciagurato progetto degli anni Cinquanta-Sessanta targato CIA dell’MK-Ultra. Non avrebbero voluto fare la stessa cosa con gli umani, quei paranoici della CIA, utilizzando la Lsd come un fungo (in effetti la Claviceps purpurea è cugina della Ophiocordyceps unilateralis) che rendesse gli esseri umani una specie di formiche carpentiere, burattini docili e ubbidienti, manipolabili come zombie insomma?
In realtà, e torniamo alle intuizioni di McKenna (o meglio a ciò che i funghi hanno rivelato a McKenna) probabilmente se gli umani sono diventati degli esseri provvisti di coscienza, linguaggio e spiritualità, lo si deve proprio ai pasti psilocibinici di cui si sono nutriti dal Paleolitico in poi. Le scimmie umane incontrano il fungo/albero della conoscenza, ne vengono possedute come le formiche carpentiere dall’Ophiocordyceps, e diventano qualcos’altro. Con una dose sufficientemente alta di psilocibina – insiste Terence McKenna – “il fungo prende la parola” e parla “in maniera eloquente di sé nella fredda notte della nostra mente”. Allo stesso modo con cui l’Ophiocordyceps si impossessa delle formiche carpentiere per modificarne a proprio vantaggio il comportamento, i funghi psilocibinici sanno “prendere in prestito un corpo umano e sfruttarne il cervello e i sensi per esprimersi”. I funghi, secondo McKenna, sanno “indossare la nostra mente” con lo scopo di “influenzare gli esseri umani nel tentativo di cancellare le abitudini distruttive della nostra specie”.
È una relazione simbiotica, quella tra noi umani e i funghi magici. Il cui scopo sembra essere migliorarci. Aprirci la mente a nuovi modi di pensare la nostra vita.
Merlin Sheldrake è solo l’ultimo dei micomani. Negli anni Trenta iniziò la ricerca sulla carne degli dèi il botanico di Harvard, Richard Evans Shultes. Proseguì il vicepresidente della J.P. Morgan, Gordon Wasson, che andò a prendersi i teonanacatl dalle mani di Maria Sabina la sabia. Poi ci furono i fratelli McKenna, Terence soprattutto, con un libro che nel 1976 insegnava come coltivarsi i funghetti: Psilocybin: Magic mushroom grower’s guide. Nel 1983 il loro allievo, Paul Stamet, pubblica The mushroom cultivator. Oggi c’è questo libro, preziosissimo, di Merlin Sheldrake, che ci spiega perché i funghi potrebbero essere così decisivi per il futuro degli umani.
I saperi sciamanici potrebbero gradualmente scomparire. Com’è possibile? L’ultimo avamposto di questi saperi è l’Amazzonia. L’Amazzonia brucia. Ettaro dopo ettaro. Le sue piante scompaiono. A un certo punto, senza piante, pure i saperi sciamanici scompariranno. Resteremo in balia delle droghe occidentali funzionali al capitalismo. Quelle legali. Psicofarmaci antipsicotici e benzodiazepine per tranquillare. Psicofarmaci antidepressivi per ottimizzare le performance. Lavorare meglio. Lavorare sempre. Scrive McKenna: si può capire molto di una cultura solo osservando le sostanze psicoattive che esclude, demonizza, persegue, criminalizza, e viceversa quelle che esalta. Siamo una cultura della narcosi: antipsicotici, benzodiazepine, alcolici vari, derivati sintetici dell’oppio quali morfina, eroina, metadone e il terribile fentanyl. Ma anche una cultura delle molecole performative, quelle per crepare di lavoro, quelle per morire di lavoro (il karoschi dei nipponici, la morte per eccesso di lavoro, in realtà, riguarda l’intero mondo occidentale): cocaina illegale, antidepressivi e anfetamine legali.
McKenna, alla luce della scomparsa di molte conoscenze e pratiche sciamaniche con piante psichedeliche, ritenne fosse urgente preservare queste piante dall’estinzione. “È un lavoro politico”, disse. Perché le persone, tutte, non solo le élite (le élite, vi do questa notizia, già si curano con queste molecole, sono gli altri, poveri diavoli, che ancora si abboffano di psicofarmaci e droghe) hanno il diritto di sapere che esiste questa possibilità. Che esistono queste piante. Questi strumenti. Queste tecniche. Queste medicine prodigiose. Medicine che consentono di fare un’esperienza soprannaturale. Numinosa, direbbe quella vecchia volpe di Jung. “M’inquieta l’idea che qualcuno possa passare dalla culla alla tomba, senza fare un’esperienza psichedelica”, scrive McKenna. Dovrebbe essere un diritto naturale, di ognuno.
Ma in definitiva: qual è il loro pregio? Che qualunque sia l’esperienza che si fa, nel corso del viaggio, il senso di sé, del proprio io, quel senso di essere qualcosa di monadico, staccato dal resto, dagli altri, dalla natura, dal cosmo, si perde. I confini dell’io, per cui io sono io e tu sei altro da me, si dileguano, io sono tu, ecco ciò che succede con il farmaco psichedelico. Il farmaco della dissoluzione dell’io. Il farmaco dell’unità col non-io. Il farmaco che scioglie i confini. “Gli psichedelici sono una vaccinazione contro l’ego”, scrive McKenna. Ai negoziati di pace tra Russia e Ucraina, proporrei di fare una cerimonia psichedelica. Putin, Zelensky, Biden, Xi Jinping e tutti gli altri capi di questo mondo, ne trarrebbero un gran beneficio. Forse è l’unica terapia capace di scongiurare l’apocalisse.