Eduardo Scarpetta Revolution
Da ‘L’amica geniale’ a ‘Carosello Carosone’, al lavoro con Mario Martone. Prima ‘Capri-Revolution’ e poi ‘Qui rido io’, che gli ha dato la prima candidatura ai David di Donatello. E adesso ‘Le fate ignoranti’, la serie-reboot di Ferzan Özpetek in cui si mette (davvero) a nudo. La passione, la famiglia, Napoli, e «il culo che vedranno in 64 Paesi». È il migliore della sua generazione? Rolling lo sostiene da un pezzo, ora finalmente se ne sono accorti tutti
Foto: Danilo Currò
«Un sorso di caffè così, alla napoletana». Lo butta giù direttamente dalla caffettiera. Poi si siede tra Megan e Mina, due anni e mezzo una e tre mesi la seconda, «è arrivata da una settimana», la prima si vede che ancora deve prendere le misure di quest’altra canina con cui si è trovata a condividere il divano. E poi così, si comincia senza troppi preamboli. Se non quelli che so – sapete – già. Si può dire che Eduardo Scarpetta è il migliore della sua generazione? Rolling lo sostiene da un pezzo. E lo dicono pure L’amica geniale (dove fa il comunista turned bad Pasquale Peluso), Carosello Carosone (un altro modo, decisamente contemporaneo, di fare la biografia Rai: e il suo Renato che “vuo’ fa’ l’americano” è impeccabile), la doppietta firmata Mario Martone Capri-Revolution prima e Qui rido io poi (quest’ultimo sulla sua famiglia, i teatranti Scarpetta: gli è appena valso una candidatura al David di Donatello tra i non protagonisti). Adesso arriva Le fate ignoranti versione serie, reboot “presso sé stesso” di Ferzan Özpetek del film che l’ha imposto e che imporrà Eduardo, nel ruolo che fu di Stefano Accorsi, su piattaforma globale (cioè Disney+, dal 13 aprile).
Entrare nel mondo di Ferzan che significa?
Quando ho ricevuto la notizia del provino ero al parco con Megan e una mia amica. La mia agente mi manda un messaggio su WhatsApp: “Ferzan Özpetek ti vorrebbe vedere per Le fate ignoranti, la serie, su Disney+”. E allora pensi: Ferzan, Le fate ignoranti, e io… che vuol dire? Mi sembrava già una cosa strepitosa, e poi conosci Ferzan e immediatamente ci sei amico da sempre. È la sua grandezza, e anche il suo essere una fata ignorante, perché è lui la fata per eccellenza. C’è subito la confidenza, la schiettezza che si ha tra amici di una vita. Però un giorno, dopo avermi scelto, mi dice: “Eduardo, non mi sono ancora innamorato di te”, parlando chiaramente di innamoramento artistico. Ti senti dire una cosa del genere e che rispondi, “Se vuoi ti posso fare un balletto”? Poi quell’innamoramento c’è stato, e ora ci amiamo platonicamente tutti e due. Mi chiedevi: che significa entrare nel mondo di Ferzan. Tutti i messaggi che vengono dai suoi film sono racchiusi in una persona, che è lui. E Ferzan è una persona meravigliosa, aperta, con pure un suo dark side che delle volte ho assaggiato. Ed è bello così, sono belle anche le lune che vengono dai momenti di stress del lavoro sul set.
Nel tuo mestiere ci si deve innamorare in due.
Quello che io spero sempre di incontrare è il regista con la passione, e in quei casi io mi innamoro sempre. Il regista che viene lì e ti dice le cose col cuore, te le spiega nei minimi dettagli. Io sono precisissimo, quel minimo dettaglio te lo chiedo sempre, perché voglio restituire quello che hai in testa, e restituirlo con la mia passione. Mi pagan per farlo, ma io lo faccio comunque con amore. Perciò, quando incontri una persona che si fa i tuoi stessi problemi, che risponde alle domande che ti fai, anche le più recondite, allora ti innamori. Di Ferzan mi sono innamorato perché fa così, è così, ci crede tanto.
Ci sono momenti in cui le cose grosse coincidono. Nel tuo caso: la prima candidatura al David e l’uscita di una serie così attesa. Arriva il punto in cui ci si accorge che qualcosa è cambiato, che l’attenzione su di te è cambiata?
Ti accorgi che, semplicemente, ti fai spazio. Sgomiti e c’è chi ti nota prima, e chi solo a un certo punto. E chi ancora si chiederà: “Ma questo che fa il protagonista delle Fate ignoranti, ma chi è?”. E questo per quanto riguarda il pubblico. Per quanto riguarda gli addetti ai lavori, se lavori onestamente se ne accorgono. E io mi sento di dire che sta andando bene perché lavoro molto onestamente. Ho una trasparenza di sentimenti, di emozioni, dico sempre le cose come stanno. Sono un grande stacanovista, e questa cosa è apprezzata. Mi piace lavorare con persone che fanno la memoria la sera come me, mi piace che si crei un gruppo di lavoro che è come una compagnia teatrale, una squadra che lavora per lo stesso obiettivo, in cui non ci sono nemici, in cui nessuno vuole andare contro l’altro.
Quel “Ma chi è?” che dicevi prima un po’ ti piace.
Mi starete conoscendo sui social, e vedrete che faccio pubblicità ai miei progetti e poi me ne torno nella mia tana. Mi faccio molto i fatti miei.
Volevo portarti lì, e non per farti litigare con quei tuoi colleghi che – lo dico per capirci – fanno un po’ gli attori-influencer. Tu mi sembri interessato ad altro: a non corrompere, detto senza moralismi, il tuo talento.
So bene che potrei fare molti più soldi di quanti ne faccio. Il mio ufficio stampa potrebbe propormi delle collaborazioni, delle sponsorizzazioni, e in passato l’ha fatto. Ma a me non interessa. Su questo sono molto preciso: io sono un attore, e poi ci sono gli influencer che guadagnano con i social. Io i social li utilizzo semplicemente per comunicare i miei progetti, le cose che faccio. È una vetrina, poi è chiaro che io non sono quello che vedete lì. Sono la persona che incontri per strada, e quella è la persona che cerco di mantenere.
L’altro giorno ho preso un aereo e a bordo c’era un cantante piuttosto noto, la hostess gli ha chiesto un selfie a inizio volo, quando siamo arrivati lui si è ricordato e ha aspettato che tutti scendessero per andare dalla hostess e farsi la foto con lei. Mi è sembrato un gesto molto generoso, ma ci ho visto anche la paura, il pensiero: “Se non mi faccio la foto che quella hostess vuole postare sui social, lei forse su quegli stessi social scriverà che sono uno stronzo”. Questo per dire che quel tipo di esposizione ti dà tanto, ma ti chiede anche di più.
Io sono sempre dell’idea che, se non ci fossero loro, tu non saresti nessuno. Come il calciatore che prende cento milioni l’anno: li prende perché ci sono cento milioni di persone che lo seguono. Quindi dico sempre “Grazie mille” a tutti, mi faccio le foto con tutti. Vivo a Napoli quindi capirai, L’amica geniale, e Carosone, e Qui rido io, è una combo incredibile, ti ferma chiunque, l’analfabeta e il signore in giacca e cravatta, elegantissimo, che ti stringe la mano. E poi ci sono le persone che ti toccano, arrivano da dietro…
Ecco: Napoli. Una serie come Le fate ignoranti è anche un modo per uscire dalla napoletanità? Senti questi bisogno di cambiare, di espatriare?
Credo sia una cosa naturale, se vuoi fare l’attore. Se poi sei napoletano e vuoi fare solo le cose napoletane, anche quella è una scelta, e c’è chi ci tira avanti una carriera.
A Napoli si può fare: ci sono un cinema e un teatro altissimi che restano lì ma sono preziosi, oltre che totalmente autosufficienti.
Con una storia napoletana, fatta solo da napoletani, siamo appena arrivati all’Oscar. Quella tradizione c’è, ed è bellissima. Io però penso a un percorso diverso. Ora per me allontanarmi da Napoli è un lavoro, e tornare a Napoli è un lavoro.
Ancora su Napoli: l’incontro con Mario Martone, il lavoro su Elena Ferrante fatto con Saverio Costanzo.
Mario conosceva papà (l’attore Mario Scarpetta, bisnipote del capostipite Eduardo Scarpetta, nda), ci aveva lavorato. Qui rido io è nato perché Mario ha ritrovato il libretto originale e il manoscritto che è andato in tribunale del Figlio di Iorio, la parodia di Eduardo Scarpetta della tragedia di D’Annunzio. Dopo aver scritto l’episodio pilota di una serie sui De Filippo, ha scoperto che la storia era in mano a Rubini, che poi ci ha fatto il film (I fratelli De Filippo, uscito sempre lo scorso anno, nda). Allora ha deciso di scrivere un film sugli Scarpetta, e poco dopo sono stato convocato, e Mario mi ha detto: “Vorrei che tu interpretassi Vincenzo”. Con lui avevo fatto Capri-Revolution, che era sempre andato a Venezia. E dopo Capri è arrivato Saverio. Sono tutti e due grandi registi, grandi artisti, come Ferzan. Esattamente chiari, precisi nelle indicazioni, con una passione viva. Vale anche per Luchetti.
Che, da regista della terza stagione dell’Amica geniale, ha dato al tuo Pasquale ancora più peso, più presenza. E anche, indirettamente, tutti quei meme che, vabbè, conoscerai anche tu.
(Sorride) Li conosco.
Con Le fate ignoranti e tutti quei nudi – tutti quei culi, posso dirlo? – sai che quei meme aumenteranno esponenzialmente, sì?
(Ride) Considera che io le prime puntate le ho viste all’anteprima, e già che 1.500 persone stessero a vedermi così mi ha fatto un certo effetto. Poi ho pensato: “Adesso il mio culo va in 64 Paesi”.
Questa cosa dell’imbarazzo nei confronti delle scene di nudo la si domanda sempre alle donne, e invece la chiedo a te che, almeno nei due episodi che ho visto io, sei molto nudo.
Ti rispondo semplicemente: pensa che di episodi ne mancano ancora sei. Ti ricorderai la scena di Accorsi nel film che fa l’orgia con quei due… ecco.
La fisicità è un tratto determinante di Michele, il tuo personaggio.
Ferzan mi ha voluto più grosso. Nella serie ho quattro chili in più, presi in tre settimane. Prendevo la creatina a pranzo e a merenda, tre etti in tutto ogni giorno. E mi allenavo con un personal trainer che mi ha trovato Ferzan. La creatina ti fa essere più forte durante l’allenamento e trattiene il liquido nei muscoli, quindi per forza di cose diventi più grosso. E poi son tornato quello che ero, non faccio palestra. Mi sono rivisto l’altra sera ed effettivamente sono una bestia, per fortuna l’allenamento si vede. La presentazione del mio personaggio sono io allo specchio che mi faccio gli addominali, e già quello è molto divertente. Poi, davanti alla scena del famoso culo, io, Cristiana (Capotondi, nel ruolo di Margherita Buy, nda) e Luca (Argentero, l’amante di Scarpetta nella serie, nda), che eravamo seduti vicini, ci siamo pisciati sotto dalle risate.
Pensavo che i tuoi personaggi sono quasi sempre quelli che muovono l’azione, che agiscono, che provocano, nel bene e nel male, gli eventi.
Sono appassionati, sì. Pure Pasquale, per dire, ha la passione del comunismo che poi diventa una passione cattiva, lo porta a diventare un terrorista.
Sono i registi a vederti così, e dunque ad affidarti questi ruoli?
Penso di essere una persona molto empatica, molto comunicativa. A volte anche troppo. Venendo dal teatro, mi è capitato che Saverio, nella prima stagione dell’Amica geniale, mi dicesse quella frase per cui in Boris si chiedevano: “Ma che cazzo significa?”. Mi diceva: “Eduardo, fai meno”. Quando sei sul set con lui capisci cosa vuol dire. È come abbassare il volume alla radio: passa la stessa canzone, ma un po’ meno forte. In generale è vero, ho sempre fatto cose molto energiche. Feci una tournée di Filumena Marturano e dei tre figli – uno è il camiciaio, uno l’idraulico, uno lo scrittore – io facevo l’idraulico, che è il più accorato, il più popolano, il più empatico. Quindi forse sì, c’è una ragione per cui mi offrono questi ruoli. Poi di base io credo di essere un attore comico, e spero che prima o poi si vedrà.
Il teatro, la matrice. Non tutti avrebbero avuto il coraggio, anche psicanaliticamente parlando, di fare, come hai fatto tu in Qui rido io, un personaggio della tua stessa famiglia. Che è quella famiglia. È un modo per mettere subito le carte in tavola e, più o meno inconsciamente, dire al pubblico: bene, adesso non pensiamoci più?
In realtà, a un certo punto ho avuto il timore che Mario non mi avrebbe scelto proprio per questo, perché appartenevo a quella famiglia. Ho fatto il provino e poi per due settimane non ho avuto notizie. E allora mi dicevo: “Vuoi vedere che Mario ora sta pensando: Eduardo Scarpetta a fare Vincenzo Scarpetta in un film sugli Scarpetta non mi va, è troppo”. Invece mi ha scelto e vabbè, il film è andato benissimo, e ora arrivata la candidatura… E, soprattutto, è un film bellissimo, lo trovo molto più denso di piani rispetto ad altri film di Mario. Non li ho visti tutti, ma mi sembra più stratificato di Capri, e anche del Giovane favoloso. C’è il piano con gli Scarpetta, e quello coi De Filippo, quello della causa in tribunale, quello del pubblico…
Questo confronto diretto con l’autore, con il suo processo creativo, mi sembra interessarti molto.
Se ci credi tu, io ci credo ancora di più. Se ti vedo così appassionato, è una figata. Io lavoro così.
Questo tuo sguardo diciamo così “d’autore” vorresti portarlo dall’altra parte? Intendo nella scrittura, nella regia.
Sì, ma più in là. Con calma. Sto costruendo la mia carriera. Il 14 aprile faccio 29 anni. C’è tempo, si respira. Faccio yoga, ho due cani. Va tutto bene.
C’è chi, nella tua posizione, vorrebbe approfittarne e prendersi tutto subito.
A me va bene così. Tornando a quella cosa che dicevo a proposito dei social, ho sempre pensato che, se vado avanti, vado avanti per quello che so fare, non per i follower che ho. Se non vengo preso perché non ho abbastanza follower, mi rendo conto che anch’io quel progetto non lo volevo fare. Devi voler lavorare con me perché vuoi lavorare con me. Perché lavoro in un certo modo, perché ci tengo.
Mi sembri molto centrato.
Credo di essere molto centrato perché ho cominciato a nove anni, e a nove anni ho deciso che avrei fatto questo per tutta la vita, non ho mai avuto nessuna crisi d’identità, non mi sono mai chiesto: “Che faccio, insegno al liceo?”. Mai. Ho cominciato a nove anni, mi ha iniziato mio padre, e poi ho finito il liceo classico qua a Napoli, e ho pensato che mi serviva una scuola per formarmi, e ho scelto il Centro Sperimentale. Che ho condotto con la massima serietà, andavo lì tutti i giorni, ho fatto pochissime assenze, litigavo con i miei compagni perché lavoravano, facevano provini…
E quando ti sei detto “Sono bravo”, quando l’hai capito?
Una prima sicurezza credo stia nel fatto che, proprio perché mi chiamo Eduardo Scarpetta e perché nella mia famiglia hanno recitato tutti, se fossi stato un cane rabbioso a quindici anni ce ne saremmo accorti. Mia mamma (Maria Basile, nda), che fa l’attrice da cinquant’anni, o chi per lei mi avrebbe detto, proprio per il bene che mi vuole: “Allontànati, studia, fai altro, non rovinare tutto”. Questa è stata la mia prima certezza. Poi nel nostro campo, per quanto tu possa infondere fiducia a te stesso, sono le altre persone che vengono da te e ti dicono: “Edua’, sei bravo, continua”. Ho fatto tanto teatro, e il teatro è un mondo completamente diverso, c’è una preparazione molto più lunga, molto più profonda, hai tutto il tempo per costruire, “Falla così”, “Fai meno”… Sono entrato nel mondo della macchina da presa solo da quattro anni, con Capri-Revolution e L’amica geniale, anche se questi quattro anni mi sembrano dieci.
Hai aspettato.
Non ho mai avuto fretta. Quando sono entrato nella mia agenzia, la Volver, era la fine del 2014. Dopo uno spettacolo al Centro Sperimentale ho conosciuto il mio attuale agente, Gianni Chiffi, che mi ha preso a scatola chiusa. Dopodiché per tre anni e mezzo non ho fatto nulla. Facevo provini ma non li accettavo, continuavo a fare teatro, a seguire le mie cose. Poi in un anno sono arrivati insieme gli unici due provini guarda caso un po’ più approfonditi, Capri-Revolution e L’amica geniale. E ho detto: vedi, si può arrivare anche senza correre, senza andare a fare i provini per progetti in cui non credo. La differenza tra noi attori credo la faccia la fame. C’è chi vuole tutto subito. Io ho capito che non c’è fretta. Per ora, è andata bene.