Buon compleanno Rosario Dawson, icona dai Mid 90s a oggi e attrice molto spesso sottovalutata. Da Spike Lee a Quentin Tarantino, dal nostro Muccino d’America alla recente incursione nella serialità “adulta”, ha sempre dimostrato di prendersi lo schermo, anche con piccoli ruoli. Questa gallery è qui per dimostrare che come Rosario c’è solo Rosario.
Kids (1995) di Larry Clark
Primo film, ed è subito cult. Siamo nei pieni anni ’90, e Larry Clark la sceglie per il film generazionale più scandaloso di sempre. Accanto a Chloë Sevigny, fotografa una nuova gioventù bruciatissima. E una nuova leva di attori. Il regista la scelse dopo averla notata per strada a NY: come non accorgersi di lei, del resto.
La 25ª ora (2002) di Spike Lee
Seconda collaborazione con Spike Lee dopo He Got Game, e uno dei suoi titoli più iconici di tutti. La sua Naturelle Riviera (che nome bellissimo) ruba la scena persino al monologhista Edward Norton/Monty Brogan, e definisce il senso della vita di protagonista e regista. Memorabile la tenuta da college girl sull’altalena, ma anche il vestito da sera silver non si dimentica.
Sin City (2005) di Frank Miller e Robert Rodríguez
Robert Rodríguez è l’altro regista che meglio definisce la carica insieme erotica e cazzuta che Dawson sa rivelare sullo schermo. La graphic novel di Frank Miller (co-director) diventa un film che sintetizza la poetica dei due autori, e la Gail ‘inguêpièrata’ di Rosario è una faccia cartoonesca perfetta. Tornerà nel sequel Una donna per cui uccidere, del 2014.
Grindhouse – A prova di morte (2007) di Quentin Tarantino
Altro giro, altro nome (e regista) cultissimo. Un personaggio come quello di Abernathy, pensato da Quentin Tarantino nel dittico “motoristico” co-diretto con Rodríguez (again), non poteva non incontrare (letteralmente) la strada della nostra. Che, frangetta corta e T-shirt rosa, è una instant icon anche estetica. Chi l’avrebbe mai detto, eh?
Sette anime (2008) di Gabriele Muccino
E poi arriva il nostro Mucci. Che le offre uno dei suoi ruoli drammatici più belli e pieni, e una delle sue performance migliori. Nel mélo in cui divide la scena con Will Smith, diretto per la seconda volta da Gabriele nostro dopo il successo La ricerca della felicità, dà tutta sé stessa. E, come cantano i Muse in colonna sonora, «I’m feeling good». Nonostante la tragedia.
The Mandalorian (2020)
Dopo tanti copioni per il cinema non perfettamente a fuoco, arriva il piccolo schermo a darle quella che sembra solo una partecipazione, ma in una serie così grande da diventare unforgettable. Al pari del suo look subito iconograficamente altissimo. Nello spin-off starwarsiano (su Disney+) è Ashoka Tano, copricapo tribale e spada laser: what else? Ah, be’: lei.
Dopesick – Dichiarazione di dipendenza (2021)
Altro giro in tv (no, su piattaforma: sempre Disney+), e stavolta una parte più densa e intensa in questa miniserie super corale (tra gli altri nomi coinvolti, Michael Keaton e Peter Sarsgaard). Ovvero quella di Bridget Meyer, l’agente della Drug Enforcement Administration che cerca di stanare i misfatti della Purdue Pharma. Storia vera e altro ruolo cazzutissimo: buon sangue non mente.
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