Sharon Van Etten sa che cos’è un dramma. Ha passato una vita a spezzare cuori e trasformare lutti, desideri e dolori in bellezza catartica. Ultimamente, però, la sua vita si è incasinata un po’ troppo, persino per i suoi standard. S’è innamorata del suo batterista e assieme hanno fatto un figlio. S’è trasferita in California, giusto in tempo per l’inizio della pandemia. Ha preso il Covid. Ha pianificato concerti che non hanno mai avuto luogo. Non solo concerti: anche un matrimonio. Come dice ridendo, «l’universo ha scoperto il mio bluff».
Nonostante tutto, Van Etten non ha perso il suo tocco magico come dimostra il suo nuovo fenomenale We’ve Been Going About This All Wrong. La musica è intensa ed emozionante, racconta un caos sia personale che culturale. I pezzi sono stati registrati in buona parte nello studio casalingo della cantante, che all’epoca era una mamma spaventata che si trovava ad affrontare una pandemia.
«Ogni album è un capitolo della mia vita», dice Van Etten, in collegamento Zoom dalla California col cane che le corre attorno. «Ai tempi del precedente Remind Me Tomorrow me la passavo bene, riflettevo su dov’ero, offrivo i miei pensieri agli altri. In questo è come se dicessi: sì, è dura, non ho le risposte ma sto cercando di venirne fuori e so che anche per voi è così. È un “ma che cazzo sta succedendo” collettivo».
Lo si sente un po’ in tutto il disco. We’ve Been Going About This All Wrong pone domande difficili su come trovare la bellezza nell’oscurità. Come dice Sharon della sua famiglia, «all’improvviso ci siamo ritrovati in lockdown in una casa nuova con ancora gli scatoloni da disfare. Nel bel mezzo dell’apocalisse mi sono ritrovata a pensare a che tipo di madre fossi, che tipo di compagna, di autrice. Come tutti, ho avuto alti e bassi e depressione, ansia, ho bevuto e fumato. E ne ho scritto».
Sin dal debutto del 2009 Because I Was in Love, Van Etten ha costruito un catalogo formidabile che l’ha resa una delle autrici più coraggiose e intense del pianeta. L’anno scorso altri musicisti e autentici fan della sua musica, tra cui Fiona Apple, Shamir, Lucinda Williams, Aaron Dessner dei National e Justin Vernon, hanno suonato quelle canzoni per la compilation-tributo dedicata al decennale del suo album del 2010 Epic. È uscito anche un duetto con l’amica Angel Olsen, una cresciuta idolatrandola. Nel 2019, Remind Me Tomorrow ha portato la sua voce alle orecchie di fan nuovi. Barack Obama ha inserito il singolo Seventeen nella sua playlist estiva.
Già allora, però, voleva resettare tutto. «Mi sono trasferita a Los Angeles (da Brooklyn, ndr) per rallentare, concentrarmi sulla famiglia, capire come diversificare il mio lavoro e tornare a studiare», dice. «Mi sarei dovuta sposare a maggio 2020». Dopo il trasferimento col partner-manager Zeke Hutchins, il mondo s’è fermato. «A febbraio 2020 sono andata al mio addio al nubilato. Ricordo di essere atterrata al LAX, dopo il viaggio, pensando: non c’è nessuno all’aeroporto, che strano, mi sa che questa è una cosa seria, non è come l’aviaria».
Le canzoni sono arrivate mentre cercava di adattarsi ai primi giorni della pandemia. «Tendo a usare la scrittura come una forma di terapia. A volte è l’unico modo per superare certi momenti. Vado in una stanza, premo “registra” e tiro tutto fuori». Molte delle nuove canzoni sono nate così. «Registravo dieci minuti, ma non riuscivo a riascoltarli quello stesso giorno. Lo facevo quando mi sentivo pronta a tornare a certe sensazioni, ad accettare il fatto che stessi attraversando un brutto periodo».
Le prime due canzoni a cui ha lavorato sono anche le migliori dell’album, Darkish e Far Away. «Le avevo scritte a New York mi sembravano troppo cupe, apocalittiche. Non mi sembra il momento di pubblicare canzoni sulla morte e la fine del mondo. Le altre, invece, erano come un meccanismo di difesa. A volte ero infuriata con me stessa, pensavo: non voglio che mio figlio esca in giardino e mi veda che fumo di nascosto una sigaretta o che bevo in pieno giorno. Ma che cazzo sono diventata?».
Come molti musicisti, pensava che avrebbe passato il 2020 on the road. E invece ha passato l’anno «costretta alla vita domestica», affrontando la paura della morte e preoccupandosi di come avrebbe protetto il bambino da quello che c’era là fuori. Questi sentimenti sono evidenti in ballate come Anything. «Quel pezzo parla di me, quando finalmente metto a dormire mio figlio e mi faccio un whisky a letto, piangendo».
Van Etten ha sempre avuto interessi molto vari. Con sua grande sorpresa, nel 2016 è stata scelta per un grosso ruolo in tv. Ha interpretato Rachel in due stagioni di The OA, il thriller fantascientifico di Netflix. L’anno successivo ha fatto un’apparizione nel revival di Twin Peaks di David Lynch, ha cantato Tarifa nel Bang Bang Bar. Ha anche provato con la stand-up, niente di sorprendente per chi conosce l’ironia delle sue canzoni. «Scrivo un sacco di roba seria, ma amo lo humour nero. Sai chi dovrebbe produrre il mio prossimo disco? Christopher Guest. Sarebbe perfetto, davvero».
Diventare madre l’ha costretta a rimettersi in carreggiata. «Mio figlio ha appena compiuto cinque anni», dice ridendo. «Il suo migliore amico abitava accanto a noi, avevano i walkie-talkie e parlavano da una casa all’altra. Quando i vicini annaffiavano il giardino, mio figlio s’arrampicava sul bidone della spazzatura, sollevava la testa sopra il muro e si mettevano a chiacchierare». Il figlio è una presenza costante in tutto l’album. «Voglio che sappia che pensavo a lui», spiega. «Nel disco ci sono vari messaggi nascosti per lui, così che ricordi che ho fatto del mio meglio. Spero che quando sarà sufficientemente grande per ascoltare le canzoni e leggere tra le righe, capirà che ho fatto tutto il possibile. Il messaggio del disco, però, è per quelli che si sentono come me».
Un altro tema centrale del disco sono gli alti e i bassi della vita di coppia. «Succede. Eravamo in un posto nuovo, cercavamo di adattarci e non ci riuscivamo. A un certo punto abbiamo pensato: tra un paio di mesi dobbiamo sposarci, eppure sembra che manchi qualcosa. Stare in una relazione significa superare pantani come questo e lavorare insieme per una vita domestica più sexy».
Come Back è una canzone d’amore adulta. Parla di tenere vivo il rapporto, di resistere alla tentazione di mettersi al telefono, al computer, alla tv. «Sto ancora elaborando tutto quanto, ma credo che se sei davvero innamorato hai ancora più paura perché è tutto più reale e ha una proiezione nel lungo periodo. E quando sei costretta a pensare ogni giorno alla morte, inizi a ragionare sulle tue ultime volontà e ti chiedi: se morissi per prima, cosa vorrei fare? E se morissimo entrambi? Abbiamo parlato di tutti questi argomenti pesanti».
Lo scorso inverno ha anche preso il Covid. «Subito dopo Capodanno», dice. «Avevo resistito un sacco di tempo e poi l’ho preso a gennaio, come un sacco di gente che conosco. Dovevo andare una settimana in studio con la mia band per lavorare alle nuove canzoni».
L’anno scorso ha pubblicato un fantastico duetto country-rock con Angel Olsen, Like I Used To. Sembrano due spiriti affini. «Angel è un faro per me. Siamo sempre state amiche, ma negli ultimi anni ci siamo sostenute molto, sia come amiche che come autrici. È divertente cantare con una persona che ti capisce davvero».
Per We’ve Been Going About This All Wrong Van Etten ha scelto una strategia di promozione molto insolita: non ha pubblicato alcuna canzone in anticipo. «Non vi siete stufati dei singoli?», chiede. «Mi metto nei panni di un fan: sei eccitato per un nuovo album e quando esce ne hai già ascoltato metà. È come vedere un trailer che anticipa tutta la trama di un film. Non voglio reinventare nulla, ma mi manca l’eccitazione e l’attesa per l’uscita di un disco». Il suo obiettivo è mettere il pubblico nelle condizioni di ascoltare l’album tutto in una volta. «I tempi sono cambiati, ma credo ancora nell’idea dell’album, e la mia etichetta fa dischi. La gente lo ascolterà come meglio crede, ma voglio dare la possibilità di goderselo nella sua interezza, senza alcuna anticipazione».
In quanto appassionata di dischi, adora la sfida di costruire la scaletta giusta. «È come giocare a Tetris, è come fare un puzzle. Volevo che la seconda metà fosse più potente, soprattutto per i fan del vinile. Sai quel momento in cui giri il disco e pensi: ora cosa succede?».
L’effetto si può sentire in Anything e Born, due tra le ballate più strazianti di tutta la sua carriera, canzoni che esplorano sfumature nuove della sua voce. «Born è uno dei pezzi che ho scritto in un momento difficile. Guardavo fuori dalla finestra, suonavo il piano, mi sentivo isolata e indifesa. Chiunque abbia vissuto un trauma sa che quelli del passato vengono riattivati da quelli del presente, e noi ne abbiamo vissuto uno collettivo. Sapere che non si è soli aiuta».
È per questo che la sua musica non suona cupa, ma ha qualcosa di terapeutico. Per quanto possa sembrare strano, Darkish è uno dei pezzi che ha scritto di ottimo umore. «Ero sul divano, guardavo fuori dalla finestra del mio compagno, prima che iniziassimo a vivere insieme. Pensavo: oggi non sono depressa, è una bella giornata. Era uno di quei momenti in cui cerchi di vivere il presente, perché guardandoti indietro ti incupiresti».
Van Etten l’ha scritta nel 2019 e le sembrava troppo cupa per farla ascoltare a qualcun altro. Il fatto che ora sembri un pezzo ottimista dice molto dello stato in cui è il mondo. «Volevo che obbligasse tutti a fermarsi, ad ascoltare gli uccelli cantare, volevo che ricordasse i momenti in cui il cielo di Los Angeles era blu e abbiamo sentito gli uccelli cinguettare. Nel nostro primo anno ce n’erano tantissimi nel nostro giardino. Volevo che la canzone ricordasse quei momenti di calma».
Van Etten respira a fondo e ricorda quei giorni. «Se hai sofferto d’ansia o depressione, la cosa più importante da sapere è che sono stati momentanei, che sono momenti che puoi superare. Volevo che il pezzo suonasse carico di speranza, non troppo cupo».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.