Una mostra della durata di un giorno è stata la chiosa magica di una collaborazione ben riuscita, e davvero particolare. È quella tra Marracash e Tarik Berber, l’uomo che narra i mille volti dell’espressione umana. Vorrei parlarvi di lui.
L’ho conosciuto una buona manciata di anni fa a Milano, durante una sua mostra, e mi colpirono tre cose: il tratto antico, il rosso sanguigno, e i volti con degli sguardi che ti trovano l’anima.
Tarik è un artista bosniaco, arrivato con la famiglia in Italia a causa della guerra, prima a Bolzano e poi a Firenze dove si è diplomato all’Accademia di Belle Arti, e ora dopo aver vissuto per un po’ a Londra, si trova a Milano. Dal 2000 espone in numerosi spazi pubblici e privati in Italia e all’estero, come è successo con la fondazione Maimeri, o al Rector’s Palace a Zara divenuto uno dei musei più importanti della Croazia.
Poi, appena due giorni fa, l’ho ritrovato ad affiancare il lavoro di un noto rapper italiano con migliaia di disegni in movimento, che vanno ad accompagnare le parole di un pezzo musicale che ha molto da raccontare. Questa volta il rosso non è presente, neanche lo sguardo potente, ma c’è una figura in questo lavoro. Una figura che cammina solitaria, come il personaggio che Alberto Giacometti faceva marciare solo (“l’homme qui marche”), come simbolo della solitudine nelle criticità esistenziali.
Tarik si è trovato coinvolto inaspettatamente da Marracash per animare e raccontare il pezzo musicale Dubbi. Il suo è stato un lavoro totalizzante, immersivo e simbiotico con il ritmo. Un flusso non stop di tavole su tavole, senza mai interrompere i beat, disegnate per mesi interi. Il connubio è sicuramente ben riuscito. L’artista ha avuto carta bianca e la fiducia totale sulla realizzazione del lavoro. Marracash ha deciso di affidarsi a una forma espressiva – diversa dalla sua – che potesse scavare nel profondo la complessità e il valore di un testo cosi animato.
Ad AssabOne, Milano, è stato presentato questo lavoro. Una serata per immergersi nel videoclip della canzone e in una selezione di tavole dell’artista Berber. Un’animazione che respira con il suono, che intercede e intercala il ritmo del rapper. A supporto di quest’operazione è stata chiamata la Collezione Ramo, che di opere su carta se ne intende, e ne ha fatto un vanto a livello mondiale. Infatti è considerata la più grande collezione al mondo di arte italiana su carta del XX e XI secolo.
È stato bello veder fondere il mondo della musica con quello dell’arte. Un connubio che sarebbe bello coltivare, così da poter vedere più spesso «un’idea che entra nella realtà», come ha detto Irina Zucca Alessandrelli, la curatrice della Collezione Ramo, del lavoro di Tarik. Poche ore e la mostra è svanita, c’era un solo giorno per visitarla, ma sicuramente non il suo effetto e la voglia di vedere ancora, ancora e ancora progetti come questo!