Ciriaco De Mita spiegato a chi è nato nel terzo millennio | Rolling Stone Italia
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Ciriaco De Mita spiegato a chi è nato nel terzo millennio

A 94 anni è morto l'ex premier e leader della Democrazia Cristiana. Ultimo testimone di un tempo in cui non ci dicevano niente e capivamo tutto (mentre adesso ci dicono tutto e non capiamo niente)

Ciriaco De Mita spiegato a chi è nato nel terzo millennio

Credits: Wikipedia

Chi è nato nel terzo millennio faticherà a crederlo, ma è esistito un tempo in cui la politica contava qualcosa. Anzi, contava molto. Ed era un affare complesso, dunque ad occuparsene era per lo più gente complessa. Pure troppo. Ciriaco De Mita, morto giovedì 26 maggio ad Avellino all’età di 94 anni, è stato tra i più forbiti, criptici e tortuosi esponenti della fine arte di dire e non dire, fare e non fare, progettare e distruggere tipica della cosiddetta Prima Repubblica, un uomo in grado di progettare, rifinire e portare a termine accordi talmente ingarbugliati che, spesso e volentieri, era difficile capire chi davvero ci avesse guadagnato e chi perso. Eppure il popolo seguiva, partecipava, interveniva, in ossequio al principio ormai storico che quando non ci dicevano niente in realtà capivamo tutto, e adesso che praticamente ci dicono tutto non capiamo più niente.

De Mita, militante democristiano dagli anni ’40, è stato undici volte parlamentare, tre volte parlamentare europeo, tre volte ministro, una volta sottosegretario e una volta presidente del consiglio. Soprattutto, però, è stato segretario della Dc per quasi sette anni durante gli anni ’80. Dal 2014 fino al giorno della sua morte, poi, è stato sindaco di Nusco, il suo paese, quattromila abitanti in provincia di Avellino, nell’Irpinia Felix che tanto ha dato alla politica italiana, nel bene e nel male. L’avvocato Gianni Agnelli, con la tipica arroganza settentrionale, aveva bollato il terrone De Mita come «intellettuale della Magna Grecia», con Indro Montanelli che arrivò a spostare un po’ più in là l’asticella della cattiveria: «Non capisco cosa c’entri la Grecia». De Mita, dal canto suo, rimise al suo posto quantomeno Agnelli definendolo «un mercante moderno, con poche idee e tanti interessi particolari». Game. Set. Match.

La verità è che, al di là della parlata tipica, delle «t» che diventavano sempre «d» e dei discorsi lunghissimi, dei «ragionamendi», De Mita un intellettuale lo è stato davvero. Figlio di un sarto e di una casalinga, dopo il liceo classico in Campania, il giovane Ciriaco vinse una borsa di studio al Collegio Augustinianum di Milano, dove si iscrive alla Cattolica e si laurea in giurisprudenza. La sua vita politica, sbocciata sul finire degli anni ’60, è stata addirittura spregiudicata, a tratti: è stato lui, infatti, il primo a svolgere il doppio incarico di segretario di partito e presidente del Consiglio, cosa che veniva vista generalmente malissimo, e infatti il suo soggiorno a Palazzo Chigi non durò poi molto: poco più di un anno, tra l’aprile del 1988 e il luglio del 1989.

De Mita è sempre stato considerato (e forse si è sempre considerato) un uomo di sinistra: la sua corrente, «la Base», era sostenuta dall’industriale Enrico Mattei e dal partigiano Giovanni Marcora. Tra le altre cose, si deve a lui l’ingresso in politica di due personaggi come Romano Prodi e Sergio Mattarella. Attenzione, però, «di sinistra» non vuol dire affatto «comunista». De Mita, infatti, è stato tra i più abili e, a tratti, cattivi avversari del Pci. Intelligentissimo per unanime definizione, abile stratega dotato di tempra addirittura autoritaria (così diceva Andreotti), è durante la sua segreteria che il Psi arriva alla rottura totale con i comunisti e diventerà fedele alleato della Democrazia Cristiana non solo al governo ma anche nei territori, il tutto senza rinunciare a bombardare un giorno sì e l’altro pure Bettino Craxi, suo avversario diretto in un dualismo più sportivo che politico, una cosa tipo Coppi e Bartali ma con contorno di botte da orbi e agguati. Come la volta che Craxi si rifiutò di cedere, come concordato, il suo posto da presidente del Consiglio a De Mita e quest’ultimo non esitò a fargli mancare la maggioranza, con conseguente scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate (era il 1987).

Il doppio binario governo-territori per De Mita è sempre stato una stella polare: brillante creatore di equilibri instabili a Roma, a casa sua, in Irpinia, la sua azione politica appare più vicina a certe pratiche feudali che a una società democratica. La logica spartitoria dei posti pubblici, del potere, del sistemare/aggiustare/piazzare, nella terra di De Mita, non appariva come la solita lottizzazione ma come un vero e proprio latifondo. Il sospetto che i grandi discorsi, le astrazioni teoriche e il suo discorso sulla politica fosse solo una cortina fumogena per coprire gli affari e gli affarucci campani è sempre stato forte. Ma in Italia le cose funzionavano così: è più importante che sia stata fatta l’Autostrada del Sole o che il suo tracciato sia stato modificato per passare attraverso Avellino (peraltro con due caselli in un momento in cui due caselli li avevano solo Roma, Bologna e Firenze)? La risposta a questa domanda è probabilmente la risposta definitiva alla domanda fondamentale sul funzionamento della cosiddetta Repubblica italiana.

Negli ultimi anni di De Mita si sono un po’ perse le tracce: la fine della Dc l’ha indubbiamente confinato ai margini del dibattito e i suoi passaggi nei partitini centristi, nel Pd (di cui è stato fondatore) e poi nell’Udc non hanno fatto molto rumore. Però in molti ricordano quando in un dibattito televisivo alla vigilia del referendum costituzionale del 2016, l’allora sindaco di Nusco le suonò di santa ragione a un supponente Matteo Renzi: «Presidente, io non ho esperienza parlamentare». «Si vede».

Cosa resta di De Mita? Il ricordo nostalgico di alcuni, l’ammissione finale della sua statura politica, qualche battuta fulminante («Se una cosa difficile ti sembra semplice vuol dire che non hai capito niente») e un’eredità che si vede ancora oggi. Mattarella, come detto, è stato una sua invenzione. Perché, a differenza dei comunisti, i democristiani il futuro l’hanno sempre saputo prevedere. Adesso non ci resta che scoprire quanto sia vera l’ultima profezia di Ciriaco De Mita: «Quando morirò continuerò a parlare».

Restiamo in ascolto.