Erede dell’opera visionaria di Philip K. Dick, la saga di Matrix ha portato nel cinema una miscela iconica di fantascienza, mistica e mito. A dispetto del pubblico che si aspettava un remake nostalgico, il quarto capitolo Resurrections sviluppa tutti i punti forti della saga e ci offre un’analisi lucida di questo inizio millennio.
In una magistrale operazione di meta-cinema nella prima parte del film, Lana Wachowski critica la macchina hollywoodiana desiderosa di voler continuare la storia dopo il successo della trilogia originale. Un confronto tra due prospettive diverse che separa il vero mito dalla semplice narrazione: da un lato la saga intesa come una struttura narrativa formata da elementi manipolabili che devono seguire un canone; dall’altro lo svolgersi di una trama già presente nella sfera collettiva, che l’intuizione dell’artista attinge dagli elementi più essenziali e profondi dello spirito di un’epoca.
Non a caso in Resurrections la trilogia originale è un videogioco creato all’interno di Matrix dalla fantasia di Thomas Anderson, alias Neo. Lana enfatizza la simulazione nella simulazione, come a dire che il cammino dell’eroe della vecchia trilogia, incentrato su l’Eletto, è in realtà un’illusione prospettica. Se consideriamo che Resurrections è stato scritto da Lana assieme a David Mitchell, autore del sublime Cloud Atlas, e Aleksandar Hemon, con cui le Wachowski hanno lavorato alla serie Netflix Sense8, i giochi sono fatti. Reincarnazioni continue, spezzoni della serie originale sapientemente inseriti per rompere la continuità dello schermo, i volti dei personaggi che rivestono nuovi avatar. Se una saga fosse riducibile solo a trame intercambiabili a piacimento per compiacere la propria ideologia, allora la nuova trilogia disneyana di Star Wars non sarebbe stata un disastro dove un branco di gente agita spade laser a caso, salvata solo in parte dall’intervento di Dave Filoni, uno dei pochi che ne hanno compreso il mito di fondo. Il vero artista invece lascia sorgere l’opera dalla necessità, comprende quali sono i filoni mitologici che prendono corpo attraverso il proprio immaginario, e li lascia liberi di esprimersi fuori dalle leggi di mercato.
Ciò significa andare oltre le prime impressioni simboliche. Per le Wachowski The Matrix è l’allegoria di una transizione trans, ma questa è solo la sfera personale del mito. Dall’esigenza individuale si sfocia su piani collettivi e impersonali. Una possibilità che la regista riconosce in Resurrections, quando nelle battute iniziali Anderson e gli sviluppatori discutono dei modi con cui la saga è stata interpretata. Politiche queer, critica al fascismo, tutte risposte valide ma non esaustive, che Lana riprende per chiederci di scavare a fondo. Troppe simulazioni appesantiscono l’immaginazione e danno vita a paranoie che portano a interpretazioni superficiali, negazioniste o complottiste. Non per niente in questa incarnazione Anderson è un programmatore che mette in dubbio la propria immaginazione. Realtà virtuale, intrattenimento e capitalismo. Gli uffici del Deus Machina si riferiscono al modo con cui il demiurgo virtuale, per dirla con Edoardo Camurri, ci rinchiude in spazi (virtuali) alienanti e disperde la nostra concentrazione rendendoci dipendenti da dopamina e distrazioni. Videogiochi, app e social creano una pluralità di immagini che isola il singolo in un mare di rappresentazioni illusorie. Una critica serrata al metaverso e alla gamification dei social. Bugs, una giovane credente risvegliata dalla presenza radiosa dell’Eletto, confessa a Neo, «Hanno preso la tua storia, una cosa che conta tantissimo per le persone come me, trasformandola in una banalità. Quale posto migliore per seppellire la verità di un comunissimo videogame?».
Di che storia si tratta? Può essere utile seguire il libro di Paolo Riberi, Il risveglio di Neo, edito da Lindau, dove si percorre la quadrilogia di Matrix seguendo le tappe del viaggio dell’eroe di Joseph Campbell. La storia di Neo e Trinity ha cambiato la vita a molte persone perché tocca temi millenari come la relazione tra libero arbitrio e destino, oppure il rapporto tra tempo ed eternità, ma anche perché riprende l’iniziazione ad altre realtà comune a diverse tradizioni. Seguendo il monomito di Campbell, il libro di Riberi è il primo a identificare i motivi archetipici dell’intera saga nel suo insieme (The Matrix, Reloaded, Revolutions e Resurrections). Inizialmente la saga è incentrata sul tipico immaginario maschile. L’appello alla chiamata e la separazione con lo stato iniziale di ignoranza, l’aiuto soprannaturale e il varco della soglia verso l’altra realtà, il suo rifiuto, l’incontro con la Dea madre e la riconciliazione con il Padre, la prova finale e il dono, il viaggio verso la Luce della conoscenza, l’apoteosi e l’ascesa a una nuova condizione che riunisce l’umano e il divino.
Per Riberi Morpheus è il guardiano della soglia e il mentore di Neo, figura che introduce l’eroe all’altra realtà con il nome del dio dei sogni greco che può assumere qualunque forma. Trinity è la sposa mistica del messia, colei che guida il destino dell’eroe, il cui nome non è tanto un riferimento alla Trinità cristiana ma alla Dea Trina lunare che compare nei motivi mitologici delle Tre Parche greche o delle Tre Norne norrene. L’Oracolo è la Grande Madre, la mediatrice tra tutti i personaggi, mentre l’Agente Smith è il Doppio e l’antitesi dell’eroe, il suo aspetto egoico. Tutta la trilogia riprende gli stessi motivi su livelli diversi, sintetizzando assieme le correnti buddhiste e induiste, il mito giudaico-cristiano e la società interconnessa di fine secolo scorso.
In altri libri come Pillola rossa o Loggia nera? Riberi aveva già ricondotto la storia di Matrix alle correnti gnostiche, culti esoterici nati all’inizio dell’era cristiana, i quali spingevano l’individuo a liberarsi dalla natura illusoria della realtà materiale e dall’azione delle potenze malvagie che lo volevano assoggettato al corso degli eventi, per attingere una conoscenza illuminata e trascendere così la condizione mortale. Questi miti dalla matrice ebraico-cristiana, ereditati dal Medio Oriente, sono la base su cui si sono sviluppati gli ordini iniziatici della Massoneria in Europa, i cui simboli e riti vengono richiamati da diverse saghe dell’immaginario pop contemporaneo. Anche in Il Risveglio di Neo Riberi esamina i simboli massonici inseriti nella saga. L’aquila a due teste che troneggia sulla porta dell’Oracolo nel primo film riprende il dio romano Giano bifronte, la conoscenza del passato e del futuro, ed è adoperata ai gradi più alti del Rito Scozzese Antico e Accettato. Nell’ultima parte di Revolution, la morte di Neo è accompagnata da una croce di fuoco in mezzo al petto dell’eroe e dalla visione mistica di una rosa di luce che si rifà non solo al Paradiso dantesco, ma anche all’ordine dei Rosa+Croce, la congrega iniziatica inventata dalla penna del teologo tedesco Johannes Valentinus Andreae.
Ancora, la chiave del Fabbricante di Chiavi in Reloaded, con la quale Neo può aprire la porta di luce che lo condurrà dall’Architetto, per Riberi riprende la chiave d’avorio consegnata al maestro segreto massonico con la quale può accedere al Santo dei Santi, nell’ebraismo il luogo più sacro del tempio in cui solo il sommo sacerdote può entrare per incontrare il dio. Nel caso dell’Architetto di Matrix in effetti c’è una rivisitazione gnostica del dio ebraico, presentato nel suo aspetto puramente calcolatore e razionalista, crudele e incapace di amare, il cui nome richiama anche l’Architetto inteso dai massoni come principio creatore sommo. Nel libro il passaggio di testimone tra l’Architetto e l’Analista indica il dio che implementa le caratteristiche dell’Oracolo (comprensione dei processi inconsci, emotivi e dei bisogni spirituali) assoggettandole al proprio scopo. Con Laurent de Sutter, possiamo chiamare l’Analista la personificazione del neurocapitalismo. Controllare la psiche per essere produttivi, sedare i bisogni spirituali con la razionalizzazione del processo psichico, tra psicofarmaci e caffè.
È facile comprendere come Matrix abbia ispirato diverse teorie del complotto e le ideologie woke. I riferimenti biblici non si contano. Ampio spazio nel libro di Riberi è dedicato alla coppia di Eletti introdotta in Resurrections. Ogni figura messianica ha la sua sposa divina, Neo e Trinity sono come il Cristo e la Maddalena, la dea che incarna l’energia divina universale, e perciò i due assieme rispecchiano l’Uomo perfetto della mitologia giudaica medievale, l’androgino Adam Qadmon che secondo il mito riunisce in sé gli aspetti mascolini e femminini prima che le due nature vengano separate e cacciate dall’Eden. La forza divina di Trinity è presente fin dal primo film, con la differenza che non viene spettacolarizzata quanto quella di Neo. In Resurrections, Trinity vive la stessa iniziazione di Neo, mostrando che lo spirito del tempo oggi richiede l’armonia del mascolino e del femminino sacro. Come dice Riberi, la meravigliosa danza nel cielo della coppia alla fine del quarto film sancisce la ierogamia, l’unione delle due divinità primordiali. A differenza di tutti gli eletti che l’hanno preceduto, l’incarnazione di Neo è diversa perché comprende l’amore. Un superamento dei santi asceti della tradizione occidentale, che cercavano la santità disprezzando la relazione con la donna, come molti uomini oggi, di contro a quella dei cantori provenzali che invece si votavano al femminino sacro.
Resurrections è uno schiaffo a tutti i redpillati che si aspettavano una copia della trilogia originale fatta su misura per loro, con scene d’azione, bullet time a manetta, l’ennesimo eroe con cui pomparsi l’ego per sentirsi veri maschi, in altre parole l’eterno ritorno dell’uguale. Non a caso Déjà Vu è il nome del gatto nero dell’Analista, che indossa occhiali blu dello stesso colore delle pillole disegnate per offrirti una rassicurante bugia. Lana strizza l’occhio e fa una critica serrata del neurocapitalismo memetico, dove gli uomini che credono di essere dei Chad in realtà sono schiavi del sistema e desiderano la classica donna sottomessa, a cui viene concesso il contentino di sentirsi indipendente con l’illusione della parità di genere. Come Tiffany, versione liberale di Trinity, moglie saldatrice con la passione delle moto e madre di tre figli, che vive una vita costruita su misura dall’Analista sulle aspettative del marito Chad. Sono risibili le critiche mosse al commovente finale di Resurrections, dove entrambi gli Eletti danzano liberi nel cielo. Evidentemente quando i redpillati hanno preso la pillola, la grafica di Matrix ha glitchato. Seguendo Riberi, le grandi saghe della cultura pop sono degli specchi sul mito vivente che informa i valori di una società, non ti danno quello che vuoi ma ciò che rispecchia la verità dell’immaginario collettivo indipendentemente dai desideri del singolo. «Non la puoi controllare?», grida l’Analista a Neo che assiste Trinity accarezzando Déjà Vu. No. Questa è l’arte del matrimonio mistico, la quintessenza dell’alchimia d’amore. La donna risvegliata che scopre la sua natura di Dea e messia assieme all’eroe che si risveglia alla buddhità.