Se qualche settimana fa ci avessero raccontato che, per riuscire nell’impresa di riportare una giunta di sinistra a Verona dopo quindici anni d’attesa, avremmo dovuto attendere la candidatura di un ex calciatore digiuno di esperienza politica e totalmente scollegato dalle dinamiche di partito, probabilmente avremmo reagito con una risatina isterica; e, invece, il capolavoro politico di queste elezioni amministrative lo ha compiuto proprio lui, Damiano Tommasi: ottenendo il 53,5% dei voti, l’ex centrocampista della Roma è riuscito a imporsi nel ballottaggio che lo ha visto contrapposto al sindaco uscente, Federico Sboarina, che si è fermato al 46,5%.
Verona, Tommasi sindaco: la gioia dei suoi sostenitori #DamianoTommasi #Verona #localteam pic.twitter.com/Zd2agRsMk2
— Local Team (@localteamtv) June 26, 2022
Espugnare Verona, notoriamente una roccaforte della destra – che ha espresso tutti i sindaci dal 1994 a oggi con l’eccezione di Paolo Zanotto, che governò per il centrosinistra dal 2002 al 2007 – è un risultato storico, che segna un prima e un dopo nella vicenda amministrativa della città.
Certo, la campagna elettorale di Tommasi è stata agevolata da alcune congiunture positive, in primis la frammentarietà della coalizione di centrodestra, che ha scelto di presentarsi all’appuntamento elettorale divisa – mentre Fratelli d’Italia e Lega hanno appoggiato la candidatura di Sboarina, Forza Italia ha scelto di schierarsi con Flavio Tosi, già sindaco veronese per due mandati, dal 2007 al 2017.
Nonostante le spaccature interne alla coalizione di destra, però, Tommasi ha dovuto affrontare diverse insidie, come ad esempio il grottesco appello del vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, che la scorsa settimana ha pensato bene di sfruttare la propria influenza per fare irruzione nella campagna per il secondo turno e fornire la propria benedizione a Sboarina, calando Tommasi nei panni di nemico pubblico numero uno dei valori cristiani (proprio lui che, ironia della sorte, è notoriamente un cattolico convinto, anche se progressista).
Nella speranza di indicare agli elettori quale strada seguire nel segreto delle urne, Zenti ha inviato una lettera ai confratelli della diocesi di San Zeno, invitando i fedeli a «individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender, al tema dell’aborto e dell’eutanasia», in quella che ha avuto l’aspetto di una presa di posizione contro l’elezione di Tommasi – un’ipotesi rafforzata dal fatto che, nella sua precedente campagna elettorale, Sboarina aveva cavalcato moltissimo il tema della lotta contro la diffusione delle “teorie gender” nelle scuole. Proprio il sindaco uscente ha provato, senza successo, a capitalizzare sulle dichiarazioni di Zenti, spingendo l’acceleratore su razzismo e omofobia: «Dietro la faccia del “brao butél” che fa il candidato civico – ha scritto in una nota – si nasconde tutto il peggio della vecchia sinistra, Pd e Cinque stelle che già stanno recando caos e danni all’Italia minacciando la sicurezza e il benessere di noi cittadini», ossia quella che, a detta di Sboarina, «ci ha riempito di campi Rom, di clandestini, di degrado, di disordine, di abusivi perfino in via Mazzini. Non si tratta di scegliere tra due facce, ma tra due modelli: il nostro, che ha a cuore famiglie e attività economiche, e il loro, che invece le ostacola e regala soldi ai nullafacenti». Per tutta la scorsa settimana, poi, l’ex sindaco ha provato a mutuare le parole di Zenti, senza perdere occasione per sottolineare che “La sinistra vuole portare l’ideologia gender nelle scuole dei nostri bambini»; la chiamata alle armi, però, non ha fatto il gioco della destra.
Durante la sua carriera da calciatore, Tommasi ha scelto di incarnare un profilo assolutamente atipico, ossia quello dell’anti-divo per definizione: ad esempio, nel 1993, quando aveva 19 anni, rifiutò la leva militare e approdò come obiettore di coscienza (il primo nella storia del calcio) alla Caritas (che a sua volta lo mandò a Telepace, fondata da monsignor Guido Todeschini, notoriamente un suo grande estimatore); della sua esperienza a Roma, dove è considerato una bandiera, oltre alle prese di posizione contro il razzismo e la violenza viene ricordata soprattutto la scelta “proletaria” che ha compiuto nel 2005 quando, a 31 anni, dopo essersi ripreso da un grave infortunio, chiese di poter tornare a giocare al minimo salariale previsto per un calciatore – ha percepito circa 1500 euro per 10 mesi –, scelta che gli valse la nomea di “calciatore operaio”. Dopo il ritiro dal campo, Tommasi è stato legato soprattutto alla politica del pallone: nel 2011 è stato nominato presidente dell’Associazione italiana calciatori, con tanto di proclamazione di uno sciopero di categoria e di un discusso braccio di ferro con la Lega, sfociato nella firma, in extremis, del contratto collettivo e nell’apertura di un dibattito per la creazione di un fondo di garanzia che potesse agevolare le squadre minori.
Una coscienza politica, quindi, Tommasi l’ha sempre coltivata. Ora, però, lo attende una sfida ardua: amministrare il fortino inespugnabile della destra da sinistra. Nelle ultime settimane, è stato accusato a più riprese di essere un idealista, pieno di valori ma privo di capacità d’esecuzione. Anche il suo programma politico è stato tacciato eccessiva vacuità, mentre i suoi oppositori politici lo hanno accusato di badare troppo all’immagine e poco alla sostanza politica. Per tutti questi motivi, se dovesse inciampare, il percorso politico di Tommasi potrebbe interrompersi prima del tempo. Va da sé che, per un sindaco privo di retroterra politico, cambiare il senso comune di una città infiltrata per lunghi anni dall’alleanza tra neofascismo, leghismo e cultura da stadio non sarà un’impresa semplice. Nell’attesa, auguriamogli buon lavoro e lasciamogli godere la rete più sorprendente della sua vita.