È possibile concepire una musica che metta insieme Franco Califano e i Joy Division creando qualcosa di originale in tempi nei quali sembra sia già stato inventato tutto? A questa domanda rispondono i Bobby Joe Long’s Friendship Party, formazione romana de Roma, più precisamente delle periferie est, che dal 2016 porta avanti una missione: unire suono darkwave (quello inglese di fine anni ’70-inizio ’80 ricreato con certosina attenzione) e testi in dialetto. Detto così può sembrare l’apoteosi del kitsch, ma provate ad ascoltarli e capirete che questi tipi hanno trovato la quadra.
In maniera del tutto spericolata avevo inserito il loro primo album, Roma Est (2016), nella mia lista dei migliori album prog italiani degli ultimi 20 anni. Lista che ha fatto parecchio discutere perché andava oltre la classica formula: prog = Genesis + gruppi similari. Si cercava invece chi avesse fatto sua la filosofia del prog, ovvero scardinare la pop song e condirla di suggestioni mutate da generi disparati per farla evolvere. «Quando ho saputo che eravamo stati inseriti in una lista di dischi prog la cosa mi ha fatto parecchio ridere, guardando però anche gli altri album e leggendo l’introduzione mi ci sono ritrovato in pieno. In effetti Roma Est secondo quella chiave può essere definito prog, avendo capito chiaramente che è qualcosa di molto diverso dai Genesis».
A parlare è il leader della Oscura Combo Romana (è il loro secondo nome) che si fa chiamare Henry Bowers, come uno dei personaggi di It di Stephen King e ha un look dandy-dark tra Bryan Ferry e Peter Murphy dei Bauhaus. È lui che dà voce ai Bobby Joe Long’s Friendship Party con il suo recitativo colmo di pathos, ma all’occorrenza anche algido e distaccato. In poche parole, uno Ian Curtis che si esprime in romanesco. «Perché, mi chiedevo, Califano non può sposare i Sisters of Mercy? Ho messo su questo progetto proprio per riempire uno spazio, aggiungere al panorama musicale italiano una cosa che mancava».
Bobby Joe Long è stato un serial killer americano giustiziato nel 2019: questa è gente che ama scherzare con tutto il cinismo e il sarcasmo di questo mondo per mettere in scena un immaginario che sarebbe piaciuto molto a Claudio Caligari. Grazie a una cultura che abbraccia diverse arti, amano poi lanciarsi in una ridda di citazioni a 360 gradi tra l’alto e il basso, un gioco collagistico che probabilmente sarebbe piaciuto molto al Battiato de La voce del padrone: «Credo che i miei testi siano molto cinematografici, c’è dietro un grande lavoro per condensare pensieri, sensazioni, riferimenti, aforismi. È un gran calderone nel quale trovano spazio tutti i miei interessi che sono molti e variegati».
Tra il 2016 e il 2019 i Bobby Joe Long’s Friendship Party (che sono nati come parte di un laboratorio artistico denominato 03:33) hanno realizzato tre album che nella mente di Bowers vanno a comporre la cosiddetta trucilogia, lavori nei quali la componente wave-dark la fa da padrona. È da poco disponibile il nuovissimo Aoh! che fa fare un balzo ulteriore al messaggio artistico della band, il suono si è fatto più maturo e raffinato, le influenze si sono ampliate. «Ha avuto una lunga gestazione, quasi due anni, ed è un lavoro nel quale ho alzato ancora di più l’asticella a livello di produzione, con un suono potente e quasi mainstream, più emotività, più attenzione alla forma canzone, un taglio più pop, chitarre alla Chic o alla Alan Parsons Project messe insieme ad atmosfere joydivisioniane, drum machine degne dei Depeche Mode, synth gommosi, sax, scratch, synth pop, funk, new romantic, punk e omaggi ai New Order».
Tutto questo bendidio è assemblato dalla fervida mente di Henry Bowers che sa contornarsi dei giusti musicisti che possano dare consistenza alle sue visioni. «Nasco come pittore e alla fine mi reputo un non-musicista secondo la lezione di Brian Eno, sono il compositore di tutti i brani del progetto e lo faccio tramite idee che ho chiare in mente e che poi descrivo agli abilissimi musicisti che mi accompagnano – ne cito uno per tutti: Arthur Ciangretta, chitarrista e compositore clamoroso – per tradurle in suoni». Suoni che denotano una cultura musicale ad ampio raggio che poi sono ciò che determina la peculiarità della proposta. «Se tu conosci un genere farai sempre e solo quello, se ne conosci tanti puoi anche pensare di metterli insieme, a volte anche in maniera spericolata, per creare un qualcosa che sia unicamente tuo».
Sì, ok, va bene tutto, però come può venire in mente una folle proposta del genere? Cosa c’azzecca il dark con Lando Fiorini? «C’azzecca eccome! Se ascolti Si er papa me donasse tutta Roma, sentirai che il ritornello è mutato da un canto storico romano, Il canto dei carcerati, cosa tutt’altro che solare. Oppure se leggi la poesia romana di Gioacchino Belli e altro materiale simile ti accorgerai che è dark. Il concetto di dark è sempre esistito nella cultura italiana, specie in quella romana. Quindi non è strano il mio unire determinate atmosfere con certi testi in romanesco, è solo un riappropriarsi della nostra cultura. Gli inglesi lo hanno sempre fatto, molte loro storie della tradizione, alcune molto oscure e violente, poi le rileggono in chiave elettrica o prog. Se tu prendi uno stornello romano e lo declami con chitarra a palla diventa punk» (da questo punto di vista ascoltare per credere C’ho tutto un sogno Ramones dall’ultimo album). «A volte mi chiedo come mai qui a Roma facciamo tutti gli esterofili quando viviamo in una città unica, incredibile, con vestigia di ogni epoca e un retroterra culturale che non teme paragoni. Perché cercare il dark da altre parti quando hai tutto a casa tua?».
La Roma che interessa ai Bobby Joe Long’s Friendship Party è quella delle periferie, che vengono rese quasi luoghi metafisici con i loro palazzoni, i centri commerciali e le strade notturne nelle quali girano lupi solitari. Attenzione però anche a questo aspetto: «Le periferie romane sono spesso raccontate con gli occhi di chi non le ha vissute mentre chi ci abita sul serio sa come parlarne e magari creare suggestioni musicali che le descrivano, usando tipo i synth glaciali che evocano il vuoto di certi non-luoghi che io ben conosco, avendoci vissuto». È una visione che sarebbe cara a David Lynch. «E infatti viene omaggiato nell’iniziale Chi ha ucciso Laura Palmer? che è il brano che preferisco del disco. Da lì parte un viaggio che, tra poesia urbana e sperimentazione futurista, integra nel concept artistico la componente “coatta” e neorealista elevata ad elemento letterario identitario».
In tutto ciò la “A” di Aoh! sistemata graficamente in copertina nel cerchio anarchico: «Per me l’artista deve essere sempre comunque di rottura. Come si è capito, mi piace far convivere cose impossibili, spiazzare, fare casino, essere intelligibile e allo stesso tempo non comprensibile. Da qui la “A” anarchica con l’aoh romano, che è spiazzante e fa anche ridere. E per me se una cosa fa ridere vuol dire che funziona».