La cucina di Santigold, che si intravede sullo sfondo della finestra di conversazione di Zoom, è modernissima, con superfici grigio opaco e acciaio praticamente intonse. Fino a qualche tempo fa, quella stessa cucina aveva un aspetto molto diverso, ben più caotico: era il periodo del lockdown, e l’artista aveva dovuto mettere temporaneamente da parte la sua carriera musicale per badare a faccende molto più prosaiche.
«Avevo tre figli, due gemelli di due anni e un bambino di sei, che erano completamente dipendenti da me», ricorda. «Amo fare la mamma, ma di solito c’è qualcuno che mi dà una mano, o quantomeno c’è la scuola, per cui per qualche ora al giorno riesco a lavorare. In questo caso, invece, eravamo allo sbando. Ero l’unica in casa a saper cucinare, cambiavo pannolini, dovevo intrattenerli… In più si svegliavano continuamente la notte, anche perché erano spaventati da ciò che stava succedendo. Sentivo che tutta la mia esistenza si era ridotta semplicemente a un lato di me, e non a tutto ciò che sono davvero».
L’isolamento domestico era arrivato in un momento particolarmente infausto anche perché, dopo un silenzio durato anni (il suo ultimo album edito, 99¢, risale al 2016), aveva finalmente ricominciato a mettere la testa su musica nuova. «Avevo già cominciato a lavorare a un nuovo album prima della pandemia, ma avevo una specie di blocco dello scrittore», ammette. «Mi capita sempre. Ogni volta che ne inizio uno mi convinco che sia finita, che stavolta non ce la farò, che anche se so di cosa voglio scrivere non so più come farlo».
Ci sono voluti mesi prima che la situazione tornasse a una relativa normalità, sia in senso psicologico che pratico. «Ho cominciato a ritagliarmi tre ore ogni due giorni per scrivere: mia mamma veniva a tenermi i bambini e io mi chiudevo nel mio home studio e lavoravo». Il suo processo creativo di solito si basa sulla condivisione: «Mi piace incontrare faccia a faccia le persone, tant’è che quasi tutti i provini li avevo iniziati in sessioni di co-writing con le persone coinvolte, prima del lockdown». È stata la tecnologia a venirle in aiuto. «Ero chiusa in casa nel mio studio, e il mio sound engineer era a casa sua, che mi registrava controllando da remoto il mio computer».
Anche la seconda parte dell’album è stata lavorata in remoto, ma in una situazione molto più rilassata rispetto a quella dei mesi precedenti. «Siamo partiti per il Canada, il Paese di mio marito, e a quel punto avevo finalmente una tata, quindi potevo concentrarmi sul lavoro», ride sollevata. «Abbiamo affittato una baita nel bel mezzo del nulla, immersa nel verde, e ci collegavamo tutti insieme: era come essere nella stessa stanza».
Fin dagli anni ’00, Santigold è una delle cantautrici e produttrici più interessanti della sua generazione, anche grazie ai suoi trascorsi da autrice conto terzi e A&R, che le danno una marcia in più rispetto a tante altre colleghe. Brani come L.E.S. Artistes, Lights Out, Disparate Youth, o le sue collaborazioni con Diplo e Mark Ronson, rivelano una cultura musicale profondissima e la perfetta unione tra diverse influenze: musica bianca, nera, elettronica, rielaborate in maniera mai banale. Le sue nuove canzoni non deluderanno i fan della prima ora. La musica di Santigold continua ad essere un caleidoscopio di riferimenti imprevedibili, dalla new wave alla Motown, dalla club culture al pop, grazie anche ai numerosissimi collaboratori intervenuti: SBTRKT, Lido, Boys Noize, Psymun, Rostam dei Vampire Weekend, il genietto del contemporary R&B Illangelo (co-autore dell’ultimo singolo Nothing, uscito ieri). È molto istintiva nelle sue scelte: di solito registra i suoi provini inventandosi delle parole senza senso sulla melodia, e anche quest’album nato in lockdown, che si intitola Spirituals e uscirà il 9 settembre, non fa eccezione. «I temi sono in qualche modo venuti da soli in un secondo momento, perché con tutto ciò che stava succedendo sia a me che nel mondo – la pandemia, Black Lives Matter, i movimenti anti-femministi – c’era tantissimo da dire».
Il titolo dell’album, Spirituals, è stato scelto con in mente la tradizione dei canti religiosi tramandati dagli schiavi afroamericani. «Una musica che ti risolleva l’anima, che ti dà la possibilità di sentirti libero anche se libero non lo sei per niente», spiega. «Queste canzoni, anche se musicalmente non c’entrano niente con i veri spiritual, hanno rappresentato esattamente questo per me». Ad esempio My Horror, che «parla proprio della sensazione di essere rinchiuso in un piccolo spazio soffocante da cui non puoi uscire. Di dover ripetere la stessa trafila, facendo le stesse cose, giorno dopo giorno, ma senza mai farle per te stesso. Scriverla è stato catartico».
Altri brani, come No Paradise, fanno riferimento all’attualità sempre più pressante: «Siamo in un ambiente ostile, in cui succedono tante cose brutte e la situazione rischia continuamente di degenerare. Parla della mia esperienza di persona nera, di donna, di cittadina, ma allo stesso tempo credo che possa essere condivisa un po’ da tutti, perché capita a tutti di sentire e provare queste sensazioni, negli ultimi anni». Poi ci sono pezzi più spensierati e liberatori, come Shake, che ricorda certe hit estive del soul anni ’60. «Un brano così non l’avevo ancora mai fatto. Ci stavo lavorando con SBTRKT, e inizialmente sarebbe dovuta essere una traccia destinata al suo album. Poi, però, appena l’ho sentita ho reclamato i miei diritti e gli ho detto che volevo tenermela: “Questa è mia!” (ride). In un certo senso è una canzone un po’ da chiesa: ti dà la sensazione dello spirito che discende su di te e ti fa uscire dal tuo corpo. Non a caso le parole mi sono uscite da sole, praticamente».
Santigold è molto emozionata all’idea di tornare a condividere nuova musica: era un bel po’ che non lo faceva, e comunicare attraverso le sue canzoni è da sempre un bisogno primario per lei, spiega. Non vede l’ora che la gente le ascolti, e di poterne parlare e suonarle in giro. «Ciò che invece detesto è tutto l’aspetto dell’industria che riguarda il marketing e la promozione: ormai la musica non è più centrale, essere un artista non è più sufficiente, devi fare di tutto e di più per attirare l’attenzione su quello che fai», si sfoga. «Io non sono per niente brava con i social media e TikTok, anche perché mi sembra che riducano sempre di più il tempo in cui posso esprimere il mio messaggio: alla fine, ci ritroviamo con questi pezzettini di informazioni e di brani che alla fine non veicolano nulla». Anche per via del cambiamento in atto nell’industria discografica, ha deciso di aprire una sua etichetta indipendente, la Little Jerks: Spirituals sarà il primo album pubblicato tramite la nuova label.
Considerando i suoi trascorsi in discografia, sarà interessante vedere applicate le sue idee e la sua esperienza, anche se Santigold ci tiene a sottolineare che non ha la bacchetta magica. «Per me la cosa più importante che deve fare un’etichetta discografica è mantenere il focus sulla creatività», dice semplicemente. «Tutti pensano di sapere cosa fare per promuovere le canzoni: pagare gli influencer su TikTok per usarle, piazzarle nelle playlist giuste, strutturarle in un certo modo. Ogni giorno però escono qualcosa come 49 mila nuove canzoni su Spotify, e allora che senso ha? È ovvio che stiamo tutti procedendo per tentativi, e che anche chi mette in atto quelle strategie sta sparando nel buio. Ciò che gli artisti vogliono davvero, in questo momento, è riportare l’attenzione sul prodotto, ridargli centralità». Ormai nessuno guadagna più dalla musica, commenta amaramente. «Ecco perché gli artisti finiscono per dipendere così tanto dai brand, o dalle sincronizzazioni. Però stiamo entrando in recessione e i brand investono meno, quindi la domanda che tutti si fanno è: questo modello di business durerà?». Probabilmente no, si risponde ogni volta che se lo chiede. «Ci vorrà molta creatività per affrontare questa nuova fase, e la creatività è tutto ciò che ho. Spero che, superando tutta la confusione e il rumore di fondo che c’è in giro, l’ascoltatore davvero appassionato si accorga della nostra piccola realtà e trovi il modo di supportarla come preferisce. Basta semplicemente che condivida la nostra musica: via Twitter, consigliandola agli amici, facendola ascoltare ad altri». D’altra parte, come dice il detto, ogni rivoluzione comincia con un singolo atto di ribellione.