Chissà come ci si sente a essere stato cacciato dai Beatles. È la storia di Pete Best. Mai troppo amato da John, Paul e George, subito criticato da George Martin e prontamente sostituito da Ringo sulla strada per la gloria, la fama e tutto il resto. Dici Pete Best e dici occasione perduta, destino beffardo che decide che gli altri diventeranno una band da sogno e a te resteranno solo gli incubi. O così vuole il luogo comune, perché c’è anche chi da un gruppo destinato alla gloria se ne va perché non si diverte più, perché non gli piace più la musica che si suona insieme, perché ha in testa altre cose. Insomma, non sempre essere un Pete Best è fonte di rimpianti. Poi certo, ci sono quelli che vengono lasciati a casa perché nel futuro del gruppo non c’è spazio per loro: troppo diversi dagli altri, magari poco compiacenti con il leader, oppure addirittura ragazze in mezzo ai ragazzi. Qui sotto raccontiamo 10 storie di musicisti che hanno fatto parte di una band di grande successo, ma hanno solo sfiorato la storia. Non tutti sono finiti male: alcuni hanno avuto successo con altre band o in altre professioni.
Stuart Sutcliffe (The Beatles)
Bassista dei Beatles nei giorni frenetici di Amburgo, durante i quali dietro i tamburi siede proprio Pete Best, il compagno di studi di John Lennon al Liverpool College of Art decide di lasciare la musica per dedicarsi alla pittura. Si iscrive alla scuola d’arte della città tedesca e vive la propria storia d’amore con la fotografa Astrid Kirchherr, autrice di alcuni dei più bei scatti dei Fab Four in quel leggendario periodo di apprendistato. Morirà a soli 22 anni a causa di un’emorragia cerebrale. La sua storia è raccontata da Backbeat, film girato nel 1994 da Iain Softley, in cui Sutcliffe è interpretato da Stephen Dorff.
Anthony Phillips (Genesis)
Fondatore del primo nucleo della band assieme ai compagni di scuola Mike Rutherford e Tony Banks, il chitarrista partecipa alle registrazioni dell’esordio From Genesis to Revelation, ma si accorge ben presto che la paura che lo coglie al momento di salire sul palco rischia di minare la sua salute. Colpito anche da una brutta polmonite, riceve dai medici un consiglio radicale: meglio abbandonare l’attività live. Dopo essersi ripreso, registra con gli altri anche Trespass, ma poco dopo l’inizio del tour decide di lasciare definitivamente. Banks e Rutherford racconteranno che dopo il suo abbandono pensarono seriamente di mettere fine alla storia dei Genesis. Numerosi gli album solisti e le partecipazioni a progetti musicali di vario tipo, nessuno con un seguito minimamente paragonabile a quello del gruppo di Peter Gabriel e Phil Collins.
Keith Levene (The Clash)
L’incontro con Mick Jones a soli 16 anni lo porta a entrare nel primo nucleo del gruppo londinese. È lui, dopo averlo invitato a fare una chiacchierata nel suo squat di Shepherd’s Bush al termine di un concerto dei 101ers, a convincere Joe Strummer a lasciare la band per diventare il cantante dei Clash. La fine della storia arriva prima dell’uscita dell’album d’esordio, a causa delle classiche divergenze musicali. «Li trovavo una punk band zoppa. Non mi piaceva il loro modo di vestirsi e non mi piaceva nessuna delle canzoni del primo disco, nemmeno quella che ho scritto io. Non erano abbastanza dure». What’s My Name, un minuto e 40 di musica accreditata a Levene, Strummer e Jones, resterà l’unica sua traccia discografica nella storia dei Clash. In seguito sarà tra i fondatori dei Public Image Limited, abbandonati nel 1983 dopo l’uscita dei primi tre album.
Dik Evans (U2)
Dopo aver imparato a suonare su una chitarra acustica acquistata dal fratello minore e con lui condivisa, è fra i pochissimi a rispondere all’annuncio per fondare una band affisso da Larry Mullen Jr. alla bacheca della Mount Temple Comprehensive School di Dublino. Dik e Dave Evans diventano i due chitarristi dei Feedback, il gruppo che si riunisce in cucina a casa del batterista. Anche in questo caso hanno una chitarra in due, costruita in casa. Non il massimo, ma non è questo il problema. Man mano che le prove continuano, Dik si rende conto che la sua età e i suoi interessi (è leggermente più anziano degli altri e si è iscritto al college) fanno di lui un corpo estraneo. La band, che ha ormai definitivamente assunto il nome di U2, gli dà l’addio con un concerto tenutosi in un salone parrocchiale di Howth. Dik scende dal palco e gli altri quattro si ripresentano nella loro definitiva incarnazione. Lui, dal canto suo, fonderà i Virgin Prunes, dei quali sarà il chitarrista dal 1977 al 1984.
Stephen Duffy (Duran Duran)
Dopo avere conosciuto John Taylor in una scuola di Birmingham e cooptato un amico d’infanzia di quest’ultimo, Nick Rhodes, fonda i Duran Duran con lo stesso Taylor alla chitarra e Rhodes alle tastiere, mentre a lui vengono affidati i ruoli di cantante, bassista e autore dei testi. Con l’arrivo del bassista Simon Colley si sposta alla batteria per poi uscire definitivamente dal gruppo. Manca solo un anno alla firma del contratto che porterà alla pubblicazione del primo album. «Penso dia più fastidio a loro che a me, è come se avere questo tipo strano tra i loro fondatori minasse la loro unità. Sono io che sono una spina nel fianco per loro, non loro per me», dirà a proposito della propria scelta, di cui non rivelerà mai in modo chiaro le vere ragioni. Fonderà i Tin Tin e i Lilac Time e collaborerà, tra gli altri, con Robbie Williams, di cui coprodurrà Intensive Care (2005) ricoprendo il ruolo di direttore musicale del successivo tour.
Michael Dempsey (The Cure)
A 19 anni fonda gli Easy Cure assieme a Robert Smith, Lol Tolhurst e Porl Thompson. Quando quest’ultimo lascia e il quartetto diventa un trio chiamato semplicemente Cure, suona il basso in Killing an Arab e Boys Don’t Cry e nell’album d’esordio Three Imaginary Boys, dove canta nella cover di Foxy Lady di Jimi Hendrix. È la prima e unica volta nella storia dei Cure che Robert Smith lascia la voce solista a uno dei suoi compagni. Il 15 ottobre 1979 sale per l’ultima volta sul palco con i suoi compagni, nell’ultima data di un tour di spalla a Siouxsie And The Banshees che si conclude all’Hammersmith Odeon di Londra. Poche settimane dopo, le classiche divergenze musicali e il rapporto conflittuale con il leader lo portano fuori dal gruppo. Resterà un personaggio di culto della scena new wave, anche grazie alla sua militanza negli Associates prima e nei Lotus Eaters poi.
Vince Clarke (Depeche Mode)
Un caso unico, in questa lista, di fondatore e songwriter che lascia la propria band all’indomani del debutto discografico sulla lunga distanza. Accade poco dopo l’uscita di Speak & Spell, l’album d’esordio del gruppo fondato assieme a Andrew Fletcher e Martin Gore. Durante le interviste che seguono racconta che il successivo materiale dei Depeche Mode è un po’ troppo dark per i suoi gusti, che non gli piacciono gli aspetti pubblici del successo, come i tour e le interviste, e che non si trovava a proprio agio con gli altri, soprattutto sul tour bus. Fonderà gli Yazoo assieme a Alison Moyet e successivamente gli Erasure assieme a Andy Bell, nei quali milita tuttora.
Kate Shellenbach (Beastie Boys)
Batterista a soli 15 anni nella primissima formazione della band newyorkese, viene allontanata su iniziativa di Rick Rubin, il cui ultimatum ai maschi del gruppo non lascia spazio a dubbi: il futuro dei Beastie Boys sarà con lei o con me. La scelta cade sul produttore. Come racconta in Beastie Boys Book, in un capitolo significativamente intitolato “La ragazza del gruppo, ovvero Arrivederci a voi e al vostro pene gonfiabile”, Shellenbach resta amica dei suoi ex compagni, pur sentendosi sempre più lontana “dalla loro spavalderia hip hop, dalle loro battute sessiste e dai loro comportamenti da testa di cavolo”. Un periodo, quello del primo album Licensed to Ill, rinnegato dagli stessi Beastie Boys. In seguito diventerà batterista delle Luscious Jackson e oggi è un’apprezzata producer televisiva, premiata con un Emmy per il suo lavoro all’Ellen DeGeneres Show e attualmente impegnata nel Late Show di James Corden.
Tracii Guns (Guns N’ Roses)
A 17 anni forma gli L.A. Guns assieme al bassista Ole Beich, al batterista Rob Gardner e al cantante Mike Jagosz. Quest’ultimo viene brevemente sostituito da Axl Rose, proveniente dagli Hollywood Rose, dopo essere stato arrestato in seguito a una rissa in un bar. Nelle prime settimane del 1985 le due band si mescolano per formare la prima line-up dei Guns N’ Roses: Tracii Guns, Axl Rose, Rob Gardner, il bassista Steve Darrow e il chitarrista Izzy Stradlin, anch’egli proveniente dagli Holllywood Rose. Tracii Guns ne andrà dopo soli due mesi, al termine di una litigata con Axl («Non mi divertivo più») e verrà sostituito da Slash. Nello stesso anno rifonderà gli L.A. Guns, nei quali milita ancora oggi, pur dopo innumerevoli cambi di formazione.
Jason Everman (Nirvana, Soundgarden)
Un Pete Best al quadrato per la generazione grunge, salito brevemente sia sul treno dei Nirvana sia su quello dei Soundgarden. Subito dopo essere entrato a far parte della band di Kurt Cobain, è lui a pagare i 600 dollari per le registrazioni di Bleach, da poco terminate al Reciprocal Recording di Seattle. Everman non suona in nessuno dei brani ma compare sulla copertina e soprattutto partecipa come chitarrista al tour che segue la pubblicazione dell’album, al termine del quale però i Nirvana gli comunicano che la loro storia assieme è finita. Troppo lunatico, secondo la leggenda. Lo stesso motivo che, al termine del tour di Louder Than Love, spingerà i Soundgarden (cui si è unito come bassista) a lasciarlo a casa dopo pochi mesi. Passano quattro anni e, ispirato da una frase di Benvenuto Cellini secondo cui un uomo completo deve essere artista, guerriero e filosofo, si arruola nell’esercito. Combatterà in Afghanistan e Iraq, per poi laurearsi in filosofia alla Columbia University. Oggi lavora come consulente militare e ha fondato una band, i Silence and Light, assieme ad altri veterani dell’esercito.